Negli occhi degli italiani brilla ancora il riflesso dei sei David di Donatello di Tornatore e della sua “La miglior offerta”, sintesi del cinema made in italy che sa ancora attrarre attori di primo piano e parlare al mondo. Ma dopo i dovuti riconoscimenti, non si può voltare le spalle a una realt  desolante, ancora nostalgica dei migliori Mastroianni e Gassman e di una pellicola che non si limitava a onorare il grande cinema, ma dettava le regole del mondo di celluloide. Tutta l’Unione Europea, infatti, sembra concorde sulla necessit  di fondi pubblici per combattere lo strapotere americano, e mettere in risalto il genio del vecchio continente. Proprio questo “fil rouge” sembra essere carburante per nuovi talenti che non pongono limiti ai propri confini, tra questi Alberto Massarese, partenopeo classe ’75 che grazie a una borsa di studio Fulbright ha conquistato Hollywood.
Il suo viaggio collega Napoli e la San Diego State University, dove la sua trilogia di corti (presentata alla Fondazione Plart n.d.r) è nata dall’ossessione di fuggire la routine quotidiana trovando rifugio nel mondo onirico. Un approccio totale che abbraccia stili ed espressioni artistiche diverse, un talento che grazie alla Film Commission e alla Fondazione Plart torna a Napoli non solo per presentare il proprio lavoro, ma per importare il suo stile nato dall’incontro tra l’esperienza teatrale italiana e l’industria cinematografica americana. Un ibrido che fa tesoro della sua gavetta internazionale…
” In California il cinema, anche da studente si prende in maniera molto professionale, parte del master alla San Diego State University è impegnato nel produrre. E la prima cosa che si impara è l’unit  dello stile. proprio per questo che i miei corti sono connessi fra loro, perch è stato il mio lavoro di formazione l. Io vengo dal teatro, ne ho fatto tantissimo qui, ho portato i newyorkesi a Napoli per uno spettacolo nel 2006 che si chiamava “Napoli scorticata” della Lotos Collective, poi sono stato in Canada lavorando sempre per il cinema internazionale, poi mi sono laureato in Inghilterra (a Reading n.d.r.). Sono passato dal mondo dell’arte, dalla pittura facevo anche il gallerista al cinema. Quindi diciamo che i miei film sono molto visionari e onirici, vengono molto dalla pittura e dal teatro che sono le mie due grandi passioni. Nei miei corti c’è spazio per colori forti, molta ironia e personaggi caricaturali presi dalle favole e non nascondo che questi film spesso sono nati nel sonno. Poi ovviamente ci lavori sopra, scrivi. Mi ispiro molto al cinema straniero però, guardo poco quello italiano”.
Parlando proprio del cinema nostrano, sembra che oltre i soliti noti Sorrentino, Garrone, Bertolucci, Tornatore non ci sia spazio per gli italiani nel mondo…
” Il cinema all’estero è una vera e propria industria, cosa che qui purtroppo non abbiamo. Io consiglio a chiunque faccia cinema di produrre anche con i mezzi più poveri, film, video anche fatti con l’iphone, ma avendo in testa un pubblico mondiale. Non più solo il pubblico nostrano, o la cosa che mi è successa quando ero bambino. Io non credo che per raccontare delle vere storie devi averle vissute. Bisogna raccontare storie più universali, che non si guardino sempre nell’ombelico. E soprattutto girare, quando è possibile, in inglese”.
Però un po’ di tempo fa Dario Fo sosteneva che abbandonare ad esempio l’insegnamento dell’italiano anche negli Atenei universitari fosse un suicidio, perch l’Italia soprattutto nel campo dell’arte ha sempre introdotto importanti innovazioni…
“Ma continuer  a farlo. Senza abbandonare l’italiano. Però bisogna guardare al mondo, perch siamo in Europa adesso, c’è una certa mobilit . Io non ho più bisogno di un passaporto per andare a Londra o a Berlino. Faccio un esempio quando è nata Hollywood i produttori che si trovavano tutti a New York non riuscivano a girare film. Hanno attraversato il paese con i propri caravan all’epoca e sono andati a Hollywood perch Edison aveva il monopolio sulla pellicola e sulle macchine da presa, e l non era legalmente valido. E quindi sono andati tutti via. Ora io non dico scappiamo, però dico di produrre allontanandosi dai soliti schemi, cercare cose nuove. Storie nuove. Anche tramite nuovi modi”.
Avere però un budget importante alle spalle può essere decisivo. Come è possibile ovviare a questa mancanza?
“Guarda io sogno sempre in grande. Non mi faccio mettere limiti da quanto danaro ho. Sogno in grande. Poi, a seconda di quello che trovo riduco o no. Il budget è importantissimo però se si cerca un budget bisogna avere prima una visione, prima avere il film in testa. Non usiamolo come scusa. In America si ha gi  la sceneggiatura, lo storyboard, fanno letture dei copioni e anche i giovani senza soldi fanno tantissimo pitching, qui no. Se si chiede a un giovane regista di vedere i suoi storyboards, la sceneggiatura, si scopre che qui l’immagine viene quasi dopo, viene prima la parola. Poca importanza alle immagini. In America invece vogliono             6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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Quindi, l’unica differenza che trovi tra l’Italia e l’America è questa?
“Io credo che l’Italia stia crescendo molto. Devo ammettere che sono stato via tanti anni, quindi molto l’ho perso. Non voglio assolutamente sembrare presuntuoso, perch sono sicuro che in Italia fanno cose bellissime ed è vero che purtroppo i soldi sono di meno. Ma vediamo il lato positivo siccome è molto difficile trovare il produttore, i soldi, i finanziamenti…il film è più tuo, è più autoriale. Mentre in America li trovi in sei settimane i soldi per il film , però poi dopo ti dicono loro come deve essere fatto”.
Ora che sei a Napoli, hai intenzione di portare talenti internazionale qui in Italia?
“S, anche perch gi  l’ho fatto quando ero in Inghilterra con il British Council. L’esperimento di Napoli scorticata fu un successo. Porterò sicuramente i miei collaboratori, Nate Elegino e la coreografa italiana che vive a New York Bianca Falco”.
Per un italiano quanto è difficile adattarsi alle luci di Hollywood?
“Gli americani sono molto alla mano. Gli inglesi no. Diciamo che sicuramente non è facile, che è un mondo difficile. Io ho avuto la fortuna di avere la Fulbright che mi ha spinto tantissimo. Ma la cosa più importante è scrivere. Un regista scrive e disegna, ma se la sua motivazione è il successo, la bellezza delle immagini è inutile. Bisogna scrivere tanto e disegnare tanto. Se hai tante storie originali e tanto da dire il resto non conta”.
Parlando di nuove strade, di tecniche d’avanguardia, hai gi  una tua visione precisa?
“Io sogno di portare il teatro nel cinema. Ma è un sogno che sfugge e che inseguo. Forse non è possibile, perch come diceva Andrè Bazin – nel teatro c’è la presenza dell’attore, nel cinema sono ombre”.

Per saperne di più
www.massarese.com

In foto, Massarese durante le riprese di un corto

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