«Il 25 aprile non è come il 2 novembre, in cui si commemorano i morti. È, piuttosto, una data viva, in cui il nostro popolo deve ricordare cos’è stato il nazifascismo e quanto ancora resti da fare per conquistare la libertà e l’emancipazione dei lavoratori». Con queste parole, Gennaro Di Paola, partigiano delle Quattro giornate di Napoli, salutava la Festa della Liberazione.
Quest’anno, in cui cade il 77° anniversario dall’insurrezione popolare che liberò l’Italia dal nazifascismo, in città si terranno diverse iniziative. Da un lato, quelle istituzionali, cui prenderà parte l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, in cui verrà commemorato il tributo di patrioti caduti nelle nostre terre.
Dall’altro, le manifestazioni animate dalle nuove generazioni, come il corteo antifascista studentesco promosso dall’Unione degli Studenti, dal collettivo KAOS e altre strutture giovanili in piazza Dante o l’evento: “Odiamo la guerra, detestiamo gli eserciti, amiamo combattere”, organizzato dalla Palestra popolare “Vincenzo Leone” in piazza Garibaldi. A Napoli, dunque, seppur episodica e rimaneggiata dal periodo che viviamo, sopravvive una cultura antifascista, che si oppone a un clima di revisionismo storico pericoloso in cui il contributo del Sud alla lotta di liberazione viene sempre più marginalizzato e declassato al rango di jacquerie.
Com’è noto, dopo Stalingrado, Napoli fu la prima città d’Europa a liberarsi da sola dal nazifascismo. L’insurrezione popolare delle Quattro Giornate, tra il 28 settembre e l’1 ottobre del 1943, fu un episiodio cruciale che servì da esempio a tutto il movimento antifascista in Italia.
Come ricorda Angelo d’Orsi dalle righe di Barricate[1]: «La storiografia nazionale e la memoria collettiva hanno piuttosto negletto il valore della lotta antinazista nel Sud, anche se negli ultimi anni, fortunatamente, sono state pubblicate ricerche innovative che hanno aperto squarci di luce sui modi, le forme, i tempi dell’azione contro fascisti e nazisti nel Mezzogiorno, a lungo considerato terra inerte politicamente. Le Quattro Giornate napoletane del 1943, non solo rappresentarono il più importante episodio corale della Resistenza italiana, uno dei più significativi sul piano europeo, ma furono anche un tassello rilevantissimo del riscatto morale del Sud, che, sotto quest’aspetto, può essere considerato come la parte d’Italia più colpita dal “tradimento” degli ideali della Resistenza, nel dopoguerra».

In copertina: Torneo sportivo antifascista allo Stadio Collana promosso dall’ANPI e dalla squadra di calcio popolare Stella Rossa, anno 2013. Sopra: il partigiano Gennaro Di Paola, scomparso nel 2019 [foto di Alessia Schisano, che si ringrazia per l’amichevole collaborazione]

Dopo l’8 settembre 1943, con l’Operazione “Alarico”, la Wehrmacht della Germania nazista prese il controllo del Regno d’Italia, che era appena uscito dallo schieramento delle potenze dell’Asse concludendo un armistizio con gli Alleati pochi giorni prima (3 settembre) a Cassibile.
Formalmente, con la dissoluzione del regio esercito, la difesa di Napoli venne affidata ai due generali Enrico Del Tetto e Riccardo Pettimalli, che però si dileguarono all’arrivo dei nazisti. Entrambi vennero poi processati dopo la Liberazione per collaborazionismo e mancata difesa della città.
L’occupazione di Napoli venne assegnata al Colonnello Walter Scholl, che ebbe l’ordine da Hitler di «ridurre in cenere e fango» la città. Con il famoso proclama del 12 settembre 1943, Scholl assunse il comando della città, intimò ai napoletani di consegnare armi e munizioni, dichiarò il coprifuoco, minacciando rastrellamenti, deportazioni e fucilazioni sommarie.
Nonostante i crimini efferati che commise nei confronti della popolazione, Scholl fu poi, tra gli scampati del processo di Norimberga, in cui vennero condannati i gerarchi nazisti. Quando i nazisti fecero il loro ingresso, Napoli era una città già duramente provata da tre anni di guerra e intensi bombardamenti, secondi in Europa soltanto ai raid aerei tedeschi compiuti su Londra. In proposito, è utile ricordare che il 4 agosto 1943, la città subì il bombardamento di 400 “fortezze volanti” alleate, che misero a ferro e fuoco la città, provocando centinaia di morti.  
Lo storico Francesco Soverina, nel suo saggio “Le Quattro Giornate di Napoli e l’antifascismo”[2], parla di un «antifascismo della disperazione» già presente fra le masse popolari, private di generi di prima necessità, mancanza di lavoro, alloggi e la cui popolazione maschile era stata coscritta all’arruolamento militare. Questa disperazione, che portò ad una congenita avversione al regime, si stratificò all’antifascismo ideologico e militante.
L’invasione nazista, che fu particolarmente violenta, prese di mira i luoghi di cultura, come l’Università Federico II, che venne incendiata, e i quartieri popolari. Inoltre, al fine di “educare al terrore” e scoraggiare rivolte, la popolazione venne costretta ad assistere all’esecuzione di soldati, marinai e civili che si erano opposti in armi all’ingresso dei nazisti in città. Tutti questi ingredienti, furono da lievito per l’insurrezione dei napoletani.  

Il proclama del colonnello nazista Walter Scholl

Non furono solo gli scugnizzi a liberare Napoli. Nonostante l’assenza di un Comitato di Liberazione Nazionale, che si costituì soltanto nelle ultime ore della vittoriosa rivolta, l’iniziativa antifascista armata venne spinta da alcune figure carismatiche, che organizzarono attorno a sé nuclei di partigiani e patrioti in ogni quartiere, aggregando donne, operai, intellettuali, soldati, giovani renitenti ai bandi di arruolamento forzato.
Se per vent’anni non vi fosse stato in città questo manipolo di antifascisti che, dall’Arsenale militare alle officine di Gianturco, dai ferrovieri di Ponticelli agli operai di Bagnoli, dai quartieri popolari all’università di Adolfo Omodeo, Maria Bakunin e Renato Caccioppoli, dal Vomero di Antonino Tarsia in Curia e Vincenzo Stimolo alla Montesanto di Enrico Russo (già volontario internazionalista col POUM durante la guerra civile in Spagna), sfidando botte, galera e confino, l’insurrezione popolare non sarebbe avvenuta con le stesse caratteristiche di massa.
Durante le Quattro Giornate di Napoli fu indispensabile anche l’esperienza militare e la capacità politica di stranieri, come lo sloveno Federico Zvab, il cui prezioso contributo è stato riscoperto grazie allo storico napoletano Giuseppe Aragno, autore di numerosi studi e saggi sull’antifascismo e il movimento operaio napoletano.
Il Comune di Napoli rese omaggio alla figura di questo combattente antifascista con l’intitolazione di una targa il 30 settembre 2014, a 28 anni dalla sua scomparsa, grazie all’impegno dell’ANPI e dell’Associazione “Democrazia Socialista”.
E come non ricordare la straordinaria figura di Maddalena “Lenuccia” Cerasuolo? Unica donna delle Quattro Giornate di Napoli ad essere decorata con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, fu una leader carismatica, che trascinò in strada altri insorti dal popolare rione di Materdei, che aveva subito un rastrellamento, impedendo che i nazisti minassero e facessero saltare il ponte della Sanità. Grazie all’impegno dei suoi figli e del compianto consigliere municipale di Rifondazione Comunista, Francesco Ruotolo, oggi quel ponte reca il suo nome con una targa commemorativa.
Non bisogna dimenticare neppure l’impegno di partigiani napoletani all’estero, come Ettore “Pedro” Bonavolta, che combatté per due anni nella resistenza albanese. Tra i soldati italiani spediti da Mussolini nei Balcani, dopo l’8 settembre 1943 decise di unirsi ai reparti partigiani della regione Lushnja, prendendo parte al II Battaglione partigiano della provincia di Berati, sotto il comando di Koli Bozo.
Anche nella toponomastica poi, è rimasta una traccia degli episodi delle Quattro giornate. Vi sono quartieri di Napoli in cui, seppur scolorite o dimenticate, sono affisse lapidi e targhe, in cui si commemora il tributo degli insorti: basti pensare a Masseria Pagliarone e Masseria Pezzalonga al Vomero, all’ingresso del Bosco di Capodimonte, alla lapide affissa nel palazzo delle Poste centrali in piazza Matteotti, alle targhe affisse in piazza Borsa o in Palazzo San Giacomo (che ospita anche il quadro con le Medaglie d’oro di cui la città è insignita), fino a piazzetta Sedil Capuano su via Tribunali o a piazza Nazionale.

Napoli, ponte Maddalena Cerasuolo. Un gruppo di giovani antifascisti rende omaggio alla partigiana durante le celebrazioni del 25 aprile 2013 [Photo credit: Daniele Maffione]

Fu grazie a questi antifascisti, che l’insurrezione napoletana ebbe la meglio sulla Wehrmacht, ritenuto allora l’esercito più potente al mondo. Dopo la Liberazione, alcuni di questi ribelli proseguirono come volontari la lotta al nazifascismo nel resto d’Italia.
Napoli, però, una volta liberata dai tedeschi, visse l’occupazione degli Alleati angloamericani, che stabilirono il loro quartier generale nel complesso Ciano a Bagnoli, ove insediarono nel dopoguerra la base NATO e il comando della VI Flotta Usa. Gli americani, poi, portarono nelle loro retrovie due personaggi che ebbero un ruolo di peso nella Napoli del dopoguerra: il famigerato boss mafioso Lucky Luciano, che, come già fatto in Sicilia con la mafia, riorganizzò le file della camorra napoletana favorendo l’afflusso di truppe alleate e la proliferazione di traffici illegali e speculazioni; l’imprenditore Achille Lauro, già colluso col fascismo, che divenne sindaco e consentì alla camorra di mettere “le mani sulla città”, compiendo il sacco edilizio degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
Nonostante queste dinamiche, Napoli seppe ricostruirsi soprattutto grazie al contributo del suo antico cuore proletario, fatto di operai, bottegai, piccoli artigiani. Grazie alle lotte del movimento operaio, il tessuto urbano si trasformò in una metropoli viva e dinamica.
Oggi, purtroppo, sopravvivono poche tracce di quel passato, anche a causa di dimenticanza, incuria, letture bipartisan figlie di un’epoca in cui si sostiene l’imprescindibilità del pensiero unico neoliberista.
È essenziale, allora, preservare la memoria tra le nuove generazioni, impedire che il revisionismo storico riscriva il passato. In tal senso, è utile ricordare come, in tempi più recenti, nel 2009, a fronte di una provocazione del gruppo neofascista CasaPound, che tentò di occupare un convento dismesso nel quartiere di Materdei, ci fu una vera e propria sollevazione popolare, capeggiata da giovani antifascisti. Oggi, quello stabile ospita uno spazio liberato in cui vi sono esposizioni d’arte e iniziative a carattere popolare promosse da un comitato di abitanti del quartiere.
Non bisogna abbassare la guardia contro il nazismo e il fascismo, che ritornano di moda all’ombra del pensiero unico neoliberista. Certa retorica vuole il 25 aprile come una sorta di data risorgimentale, che ossifichi il ricordo in una narrazione vuota e unitaria, presentando la Resistenza come un moto collaterale e di poco conto rispetto all’avanzata degli Alleati.
Non a caso, in occasione delle commemorazioni della Liberazione, innanzi al monumento al patriota Salvo d’Acquisto, in piazza Carità, la fanfara dei Carabinieri esegue “L’Inno del Piave” (celebrante la retorica nazionalista della Prima Guerra mondiale) e, addirittura, l’inno dei Marines, mentre i manifestanti intonano “Bella ciao”. Il che equivale a una sorta di militarizzazione del ricordo, espungendo le origini, le matrici ideologiche, la composizione di classe della guerra civile.
La Resistenza fu un’esperienza sgorgata da vent’anni di opposizione clandestina al regime fascista, che maturò in determinate condizioni storiche e segnò la partecipazione diretta della classe operaia e delle masse popolari alla vita politica del Paese. Il testamento di centomila partigiani e patrioti caduti per la pace, la democrazia diretta, la libertà, la giustizia sociale è stato vergato col sangue nella Costituzione della Repubblica, i cui principi fondamentali, a distanza di 77 anni, chiedono ancora di essere applicati.
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ALCUNE FONTI E LINK CONSULTABILI:

https://www.fanpage.it/napoli/gennaro-di-paola-uno-degli-ultimi-partigiani-studiate-il-fascismo-era-dittatura/

http://www.cnj.it/PARTIGIANI/bonavolta.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamenti_di_Napoli

https://storienapoli.it/2020/10/05/walter-scholl-nazisti-napoli/

https://www.academia.edu/37168151/Le_quattro_giornate_e_lantifascismo

https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/quattro_giornate_sindaco_scopre_la_targa-616393.html


[1] Barricate, ANPI, numero straordinario per il 70° anniversario delle Quattro Giornate di Napoli a cura dell’Associazione Nazionale Partigiani di Napoli, anno 2015.

[2] F. Soverina, Le Quattro Giornate di Napoli e l’antifascismo, in “Mezzogiorno fra Tedeschi e Alleati, la guerra al Sud: dall’invasione della Sicilia alla resa tedesca a Caserta (28 luglio 1943-29 aprile 1945)”, a cura di F. Corvese, Edizioni Scientifiche Italiane, anno 2017, pgg. 147-162.

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