Le disobbedienti/ “In guerra e in amore”: il cavaliere Arnau Estanyol circondato da donne forti e ribelli. Da Barcellona a Napoli

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Arnau Estanyol è tornato! Il personaggio nato dalla penna di Ildefonso Falcones, con “La cattedrale del mare” diciotto anni fa, è nella capitale del Regno delle due Sicilie e per chi, napoletana/o come me permeato da un’identità culturale e storica che affonda le radici nella città greco romana e le nutre del sincretismo che nei millenni l’ha contraddistinta, leggerne le nuove avventure è stato moto dettato dall’urgenza che accompagna il lettore/trice curioso e appassionato.
In “In guerra e in amore”, appena pubblicato da Longanesi, l’autore accompagna il suo protagonista nella maturità della vita soffermandosi su quell’alternarsi di saldezza nei propri principi e disillusione, speranza e amarezza che si va sedimentando grazie alla quotidiana scoperta delle umane debolezze che caratterizza l’avanzare dell’età.
Nelle pagine ritroviamo la consapevolezza dello scorrere del tempo che sottrae vigore al corpo e giorni al futuro. Arnau è un soldato, di più, è un cavaliere, un nobile spagnolo per il quale l’onore, la lealtà ai principi cavallereschi e la coerenza nella dirittura morale rappresentano la stella polare da cui allontanarsi non è concepibile.
Diviso tra due famiglie, una a Barcellona e una a Napoli, vive le vicende di re Alfonso V detto il Magnanimo (Medina del Campo, 24 febbraio 1396 – Napoli, 27 giugno 1458), del figlio Ferrante e del nipote Alfonso di Calabria che si intrecciano con quelle personali imperniate sulla faida familiare ingaggiata con il vile e malefico fratellastro Gaspar Destorrent.
In Spagna due figli con una moglie al fianco della regina Maria, consorte di re Alfonso, e a Napoli una convivenza con Sofia, la vedova del fraterno compagno d’armi, Giovanni di Forte barone di Castelpetroso, a cui aveva promesso in punto di morte di prendersi cura di lei e della figlia Marina.
Con Sofia Arnau diventerà padre di Filippo e Lorenzo mentre, con la seconda moglie, Isabella, troverà quell’amore fatto di tenerezza e passione, mai incontrato prima, che lo renderà felice.
Le donne del romanzo sono figure dal carattere forte e determinato e la coprotagonista, Marina, rifiutando il destino imposto a una donna vittima di stupro, imprime il ritmo alla storia sovvertendo le regole sociali. E se le decisioni del rude e granitico generale incolleriscono perché condannano la figlia a una vita buia non si riesce, però, a non addolcire il giudizio per quel suo incarnare un modello di persona retta che mai abbandona i propri valori per mera convenienza, per essere l’uomo che tra la sofferenza dettata dall’aver difeso la verità e la lealtà e la facile scappatoia non ha mai il minimo tentennamento ma, anche, perché è la persona che con gli anni comprenderà gli errori commessi e avvertendo il peso delle scelte sbagliate, come è proprio delle persone intelligenti, cambierà idea.
Arnau Estanyol è l’uomo che sa mettersi in discussione e fare autocritica, è l’uomo d’altri tempi che ci piacerebbe avere come amico. Anche quando degradato non diserta la battaglia, anche quando sfranto dal destino cinico e baro non si dà per vinto, è un combattente che mai abbandonerebbe i suoi uomini e segue il progresso militare apprendendo nuove tecniche legate alle moderne armi spinto dall’umiltà di chi sa che la conoscenza è crescita personale e collettiva.
Di più non scrivo, sottrarre il gusto della trama svelandone lo sviluppo, sarebbe imperdonabile. Quel di cui voglio scrivere è l’attenzione che l’autore pone alla ricostruzione storica e all’ambientazione come, ad esempio, avviene per la descrizione di Castel Nuovo– ai napoletani noto come Maschio Angioino a testimonianza della stratificazione e sovrapposizione tra le diverse dominazioni subite dalla città – attraverso il racconto dell’arco marmoreo che celebra i trionfi di re Alfonso e la ristrutturazione del castello che, oltre a una funzione militare, aveva una vocazione residenziale ponendosi come simbolo e sede del potere aragonese che vedeva nel mare una risorsa, cosa non scontata nella storia della città.
Lo stesso castello oggetto di ristrutturazione secondo i nuovi canoni artistici propri dell’Umanesimo e del Rinascimento che il sovrano spagnolo condivideva con Lorenzo il Magnifico dove si consumò la vendetta del re nei confronti della nobiltà in seguito alla Congiura dei baroni affogata nel sangue, un episodio ancora oggi vivido al punto da essere oggetto di rievocazione storica.
Un patrimonio identitario cui ci sentiamo così profondamente ancorati da ricordare, attraverso un’altra rievocazione che si svolge in un paesino in provincia di Napoli, la storia d’amore tra Re Alfonso e Lucrezia D’Alagno che tra le pagine del romanzo leggiamo nei suoi diversi risvolti. Alfonso, abbandonando la Spagna, scelse Napoli perseguendo un’idea di sviluppo e crescita della città “Saie quanno fuste Napule Corona? Quanno regnava casa d’Aragona” sono i versi del poeta dialettale Velardiniello che testimonia il sentimento popolare per un’epoca considerata prospera.
Il rapporto tra i napoletani e l’eredità spagnola è complesso e controverso, la viviamo in tante parole ed espressioni idiomatiche, nella tradizione enogastronomica, negli alberi genealogici, nel sembiante, nell’urbanistica e la toponomastica, il dedalo di vicoli e vicoletti ancora oggi chiamati quartieri spagnoli a ridosso di Via Toledo fu creato, nel Cinquecento, dal viceré Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga per acquartierare le truppe da usare al fine di reprimere i possibili moti di ribellione, un timore che lo indusse a spostare la sede del potere in un altro castello posto su un’altura da cui orientare le bocche dei cannoni sulla città: Sant’Elmo. Siamo figli degli etruschi, greci, sanniti, romani, bizantini, normanni, svevi, angioini e degli spagnoli.
Siamo figli di un crocevia culturale in cui tutto è sempre convissuto senza mai sentire il bisogno di espellere ma, al contrario, accogliere e inglobare, eredi di un regno saccheggiato e fatto a brandelli, la nostra è terra di conquista.
Falcones ha toccato un nervo scoperto, l’unità d’Italia fu umiliazione e depauperamento per una città sede di un regno per oltre sei secoli, una frattura storica ancora tragicamente palpitante, il Meridione fu spogliato, desertificato e ridotto a scomoda appendice da sostenere attraverso una politica che impone sudditanza e genera frustrazione e perdita, la storia economica lo dimostra al di là di ogni sentimento nostalgico.
L’autore costruisce una trama attraversata dal meccanismo della contrapposizione che poggia su quattro piani: da un lato la rettitudine che prende forma nelle azioni compiute dal protagonista e dall’altro la mancanza di princìpi in quelle poste in essere dal fratellastro, da un lato le caratteristiche del modello culturale spagnolo ripiegato su sé stesso e dall’altro quelle del modello napoletano sensibile alla nascita dell’Umanesimo e il Rinascimento con un fermento letterario, artistico, architettonico e scientifico sostenuto dal fiorire del mecenatismo, da un lato la nobiltà con i suoi codici e dall’altro la classe mercantile con la sua ascesa e – in ultimo – il piano della differenza tra le regole sociali codificate per gli uomini e quelle riservate alle donne.
Quattro giustapposizioni che fungono da impalcatura alla storia narrata per sorreggere le figure dei protagonisti: Arnau Estanyol e la figlia Marina. “Non capiva gli italiani. Non intendeva le loro sottigliezze e la diplomazia, e nemmeno amava lo smisurato interesse per la conoscenza, le arti e il divertimento, cose che in quest’ultima guerra non erano di nessuna utilità a Ferrante”.
Arnau è uomo d’armi tutto d’un pezzo che veste di nero alla maniera aragonese e segue il codice cavalleresco come unica guida. “Nessuno ha chiesto la tua opinione, ragazzina” disse brusco il mercante. “La mia opinione è l’unica che conta” si ribellò Marina senza riflettere. Il poco vino bevuto stava facendo qualche effetto anche su di lei. “La tua opinione!” gridò l’altro “L’opinione delle donne non conta nulla. Farai quel che ti diranno. Orfana dei genitori come sei, ubbidirai a tuo zio com’è tuo dovere. E se lui decide di darti in moglie, come è compito del tutore di una fanciulla, rispetterai la sua volontà” e ancora “Felice? Che importanza può avere? Non lo so, Arnau. È una donna. La moglie di un rispettabile personaggio di questa città” e per finire “Donna, è la Chiesa a sostenere che siete inette e avete bisogno dell’assistenza e del raziocinio degli uomini e con il tuo discorso stolto non fai che confermarlo”.
L’autore espone le regole sociali che volevano le donne poste sotto la tutela degli uomini in ogni singola azione durante l’intero arco della vita, modello corroborato e sostenuto dal potere cattolico basato sul pensiero aristotelico dell’inferiorità femminile, ancora oggi sostenuto, con il postulato della posizione ancillare delle donne quali “complemento” degli uomini. Postulato che per secoli ha reso possibile sottomettere e vessare metà del genere umano: “Senza gli uomini noi donne non valiamo niente. Mogli, suore o puttane. Non ci sono altre possibilità. Devi fare la tua scelta”.
Il romanzo mette a nudo la corruzione, morale e materiale, del clero mostrando l’ipocrisia e la terrena convenienza nell’applicazione di un sistema sociale nel quale la Chiesa cattolica è in posizione di dominio in due contesti, la Spagna e l’Italia, nei quali ha governato con la spada per imporre la propria visione del mondo urbi et orbi perseguendo l’affermazione del potere.
Falcones pone in primo piano, grazie alla descrizione dei luoghi, un aspetto storico che riveste una connotazione ontologica per la centralità nella vita di un territorio: l’esser stati un regno in cui le tante anime del passato hanno convissuto generando una evoluzione socio economica politica che, in alcuni casi, ancora oggi permane.
La partecipazione del protagonista alle attività di un Sedile – o seggio – cittadino fa conoscere al lettore le istituzioni amministrative che rappresentavano le classi sociali e i diversi quartieri della città soffermandosi sulla decisione di Alfonso d’Aragona di sopprimere il Sedile del Popolo che riuniva gli artigiani, le libere professioni e i mercanti, sedile, poi, ripristinato da Carlo VIII. 
I sedili cittadini, esprimono ancora oggi i rappresentanti che compongono la Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, un organismo laico che da oltre 500 anni custodisce il tesoro e le reliquie del più famoso santo patrono di una città che, di patroni, ne ha oltre cinquanta. Il rapporto che la Spagna e l’Italia hanno avuto e hanno con la religione cattolica è diverso, quello della città partenopea si connota, poi, di maggior singolarità. Ma questa è un’altra storia e chissà che Falcones, durante le sue ricerche storiche, non si sia imbattuto in qualche frammento in grado di dar vita al fremito che precede l’ispirazione per un nuovo romanzo. In attesa che ciò accada godiamoci un nuovo, imperdibile, capitolo della saga di Arnau Estanyol scritto con lo stile fluido, coinvolgente e trascinante che ben conosciamo.
Il LIBRO
Ildefonso Falcones
In guerra e in amore
Longanesi
Pagine 737
euro 25
L’AUTORE
Ildefonso Falcones de Sierra (1959) vive a Barcellona con la moglie e i quattro figli. Il suo romanzo d’esordio, La cattedrale del mare, uscito in Italia presso Longanesi, è stato un successo sensazionale in tutto il mondo, e a oggi vanta oltre un milione di lettori. Vincitore di numerosi premi in patria, in Italia si è aggiudicato il Premio Boccaccio Sezione Internazionale. Longanesi ha inoltre pubblicato i bestseller La mano di Fatima (2009), vincitore del premio Roma nel 2010, che mette in scena lo sterminio dei moriscos per mano dei cristiani nel Sud della Spagna del XVI secolo, La regina scalza (2013), ambientato a metà Settecento tra Madrid e Siviglia, tra l’oppressione dei gitani e il fiorire della vita teatrale, e il seguito della Cattedrale del mare, Gli eredi della terra (2016). Con Il pittore di anime (2019) si riconferma un maestro della narrativa storica raccontata con gli occhi degli umili e dalla parte degli oppressi e in Schiava della libertà (2022) narra la straordinaria epopea di due donne coraggiose alla ricerca della giustizia.

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