Qui, in questo spiazzo che guarda tra il verde la Napoli antica, c’era un laghetto. Vi navigava una barchetta che portava in tondo delle suorine e le cullava. Questo accadeva all’incirca quattrocento anni fa. Ora, ci siamo noi qui, nell’ex monastero delle Trinitarie. Aspettiamo pazientemente l’apertura di una mostra di Gian Maria Tosatti. Finalmente ne appare l’autore, che ha appena completato la sua opera. E’ un giovane di bell’aspetto con un po’ di barba che gli sta bene e un grande strappo su una gamba dei pantaloni impolverati che pure gli sta. «Oh Gian Maria, gorgogliano le signore presenti, come sei trendy».
Questa mostra (foto) è la quarta di un ciclo intitolato “Le sette stagioni dello spirito” (7, il numero sacro degli Ebrei). La prima mostra, nella chiesa abbandonata dei Santi Cosma e Damiano, creava una calda, mistica, atmosfera; la seconda, nell’Archivio Comunale di piazza Dante, tra i plichi di vecchie carte accatastate, narrava, insieme a quella dei tanti trapassati, la vita dei burocrati una tazzina sporca di caffè dimenticata sulla scrivania.
Questa è la quarta mostra del ciclo. Somiglia soprattutto alla terza, l’installazione nei Magazzini Generali del porto di Napoli, per la tesa atmosfera che vi si avverte. Qualcuno potrebbe dire che Gian Maria Tosatti si replica. D’altronde lui racconta di essersi ispirato al “Castello Interiore” di Santa Teresa D’Avila, che vi scrisse “Temo che non farò che ripetermi come quegli uccelli che non sanno fare altro che ripetere le stesse cose”. Per altro non si riesce a trovare uno stretto legame tra la santa emaciata (tipo quella rappresentata da Gian Lorenzo Bernini nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria) e l’aitante Tosatti.

Si potrebbe anche dire che via via, da un’opera all’altra del ciclo, Tosatti approfondisce il suo discorso artistico,
accentuandovi sempre più la tensione emotiva e riuscendo ogni volta a creare efficaci atmosfere, degli spazi significanti. La sua materia è la stessa in tutte queste installazioni un grande, vecchio edificio abbandonato, ormai in evidente rovina, carico di polvere, di anni e di ricordi.
Tosatti vi introduce qualche elemento, delle vecchie carte, qualche mobile, delle apparecchiature ecc., vi suggerisce il ricordo dei tanti che vi hanno vissuto e fa sentire le loro presenze e anche altre sconosciute presenze, più inquietanti e misteriose. Nelle due ultime installazioni, queste presenze diventano quasi minacciose. Il visitatore sente una sorta di brivido raccapricciante. Un sottile terrore. Il gioco è questo. E’ più efficace di una fiction, di un film o di un romanzo noir. E’ lo stesso ma cambia l’edificio, che ora è questo ex convento delle Trinitarie, che oggi viene indicato come l’ex Ospedale Militare.
Un tempo i giardini del monastero, insieme a quelli dei conventi di Santa Lucia a Monte, di Suor Orsola e di San Martino, costituivano un arco di verde che abbracciava il centro antico della citt . Poi, Giuseppe Bonaparte (1806/1808) li ridusse e rese il monastero Ospedale Militare. Che poi il terremoto dell’Ottanta trasformò in un rudere, via via sempre più degradato e saccheggiato. Come testimonia, tra l’altro, la balaustra della breve ed elegante scalinata (una scalinatella) della chiesa conventuale, che ora è priva delle sue deliziose sculture. Anche il Gesù Crocifisso dell’edicola l  di fronte ora non c’è più, vi ha lasciato solo la sua croce di legno, come a dire la parola fine. E nessuno se ne cura. Forse nessuno se ne accorge, nessuno vede, nessuno sa.

Un merito della iniziativa di Tosatti è pure quello di far conoscere l’ignorata esistenza di edifici abbandonati, svuotati e inutilizzati, simboli di degrado e di morte di una citt .

L’autore afferma che si è impegnato con le prime tre opere di questo suo ciclo a rappresentare l’Inferno, con questa quarta opera il Purgatorio. A chi guarda l’arte figurativa come espressione visiva, questo suo impegno non appare, non è visibile. Ma aver dato a queste opere un significato escatologico è sembrato nobilitarle. Tant’è che ci si è anche esercitati a citare, in proposito, Dante e perfino Michelangelo. D’altronde che si voglia promuovere il lavoro di Gian Maria Tosatti e il suo autore è testimoniato dal sostegno che gli danno personaggi come Beppe Morra, Lia Rumma, la Fondazione Donna Regina per le Arti Contemporanee, dove agisce il curatore della mostra Eugenio Viola, nonch le varie Istituzioni pubbliche cittadine.

Come per le altre installazioni, anche stavolta, all’Ospedale Militare, c’è una porta chiusa che dobbiamo varcare da soli e la porta si rinchiuder  dietro di noi.
Lasciandoci soli con noi stessi e con questo luogo da scoprire, con le sue assenze-presenze e i suoi conturbanti significati.
Anche stavolta c’è un giovane africano che fa da guardiano e da guida. Si chiama Tazizi Sor. Dice che, sebbene ogni visitatore dovrebbe entrare da solo, ha l’incarico di accompagnare le donne e i bambini che sono più impressionabili. Ma racconta che il giorno pr            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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Cos vi vedo una cucina anni Sessanta, con una macchinetta del caffè, i piatti ecc. , come se fosse ancora in funzione,
e un locale tipo salotto d’altri tempi, caratterizzato da un grande tappeto e da un paio di poltroncine di modello antico. Poi c’è un largo e lungo corridoio con tante porte su un lato. Oltre una porta, una cameretta un lettino tipo i sette nani, un apparecchio per aerosol, un quaderno, un libro di Salgari, “Il padrone del mondo”, una gabbietta per uccellini vuota, un pannello quadrato di un giallo luminoso. Accanto c’è un’altra cameretta un lettino tipo i sette nani, un apparecchio per aerosol, un quaderno, un libro di Salgari, “Il padrone del mondo”, una gabbietta per uccellini vuota, un pannello quadrato di un giallo luminoso. E ancora una terza cameretta un lettino tipo i sette nani, un apparecchio per … poi, tal e quale, un’altra cameretta e un’altra ancora.
Sono tante con un ritmo uguale, ossessivo, si replica la vita di un bambino, di tanti bambini, esempi di un’umanit  ammalata, che ora non ci sono più, sono nella luce di quel pannello luminoso, sono morti come quell’uccellino morto che sta nell’ultima stanza, e perciò le gabbiette sono vuote.
Troviamo lo stesso ritmo uguale replicato in un’altra serie di camere. Queste erano ( sono?) abitate da adulti. Un letto, una scrivania con due guanti da cucina, due mani umane, e un libro. Questa volta è “Transumanar e organizzar” di Pier Paolo Pasolini. Leggo “per amare la solitudine, bisogna avere buone gambe, non avere mal di gola, ….. bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.” Lasciamo queste stanze degli uomini solitari e andiamo oltre.
Camminiamo a lungo, tanto. Saliamo, un altro piano ancora e ancora. Vaghiamo, incerti, in questo caseggiato che è un mondo a s, forse un mondo di morti, di morti viventi, invisibili fantasmi, che parlano, che vorrebbero dirci qualcosa. Che cosa?
Ogni tanto troviamo delle porte chiuse, forse per ragioni di sicurezza, che però sembrano avere anche un valore simbolico e spingono alla curiosit  che c’è dietro quella porta chiusa?

Entriamo in una camera con un letto matrimoniale, ammobiliata anni Cinquanta. E in una stanza da pranzo con un tavolo lungo con due candele accese.

Ancora un vasto corridoio dove si affaccia un’altra serie di stanze tutte uguali un pallone colorato e dei vetri rotti parlano di ragazzi che vi hanno vissuto.
In un grande corridoio, c’è, sulla sinistra, una serie di aperture; ai limiti della serie due specchi. Chi guarda attraverso le aperture dovrebbe vedere il suo viso riflesso all’infinito. Se i raggi di luce fossero rettilinei. Ricordo un gioco che facevo da bambina nella camera da letto di una mia nonna. C’era un armadio con un grande specchio di fronte allo specchio di una toletta. Guardavo. A lungo. Cercavo l’infinito che non c’è.

Ora, qui, in questo corridoio, sono disposti in due file sei recipienti rettangolari.
Una sorta di bare. Sulla parete di fondo un pannello di colore giallo, grande e luminoso; in alto, sul soffitto, resti delle antiche pitture del convento. Le suore sono andate in Paradiso.

Siamo arrivati alla fine del giro. Ma… come tornare indietro? C’è da sperdersi.
«Anch’io dapprincipio non sapevo più dove stavo, da dove uscire», mi confessa Tazizi Sor. Siamo diventati amici. Viene da Burkina Faso- mi racconta. Arrivato in aereo a Parigi, vi è rimasto solo una settimana. Ha preso il treno ed è venuto direttamente a Napoli. E’ qui da otto anni. Perch Napoli? gli domando. «In Africa si parla molto di Napoli, si dice che qua si sta bene». Perch ? «A Parigi nessuno ti domanda come stai. A Napoli, s. In nessun altro posto è cos».. Gli brillano gli occhi, mi sorride e il suo sorriso biancheggia tra il nero della pelle.

QUINTA TAPPA
Oggi, luned 21 settembre 2015, nell’ ex Convento di Santa Maria della Fede, via San Giovanni Maggiore Pignatelli di Napol si è inaugurata anche la quinta tappa del percorso artistico di Tosatti, 5_I fondamenti della luce, che ha ottenuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti contemporanee ed è visibile fino al 15 novembre 2015. Dal marted alla domenica, dalle 12 alle 18 su prenotazione. Per informazioni su entrambe le mostre Tel. 081 5641655 / 081 5641494, info@fondazionemorra.org. Tel. 081.19812354

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