Si intitola “Storia della notte e destino delle comete” l’installazione del Padiglione Italia opera di un solo artista, Gian Maria Tosatti. E probabilmente ti aspetteresti di entrare in una galassia fluttuante con i suoni lontani e ovattati dello spazio. In realtà è un duro viaggio fino al termine della notte che inizia dal passaggio obbligato della timbratura di un cartellino in un ingresso algido, anche se ai più ironici verrà in mente la corsa del ragionier Fantozzi per marcare alle 8 e 30 precise.

E allora si può entrare e dare inizio a una monotona giornata lavorativa in cui non c’è concezione temporale, in cui i rumori e le macchine della catena di montaggio saranno gli unici a farci compagnia per un numero indefinito di ore. In cui l’essere umano è dis-umanizzato, scompare fisicamente per diventare ingranaggio a sua volta, confondersi tra i numeri e il metallo, sotto l’occhio vigile e muto di un Grande Fratello che non smette mai di controllare. Il sogno produttivo dell’Italia si infrange contro un dietro le quinte dalle mura scure e dai chiusi vetri sporchi.
Se in una sala siamo gli addetti ai lavori, in quella successiva diventiamo per un attimo proprio quel Grande Capo che osserva il da farsi dall’alto del suo ufficio, affacciato sullo stanzone delle macchine da cucire tutte perfettamente in fila, ordinate. Forse hanno appena smesso o forse devono ancora iniziare a girare, complici di quel senso di oppressione e schiavismo insieme all’odore acre intenso, le luci troppo fioche, gli hangar troppo spogli.
E quando si esce da questo antro di cupa condizione umana, c’è un grande specchio d’acqua silenzioso che quasi ritorna a darci speranza, i rumori della fabbrica si affievoliscono e qualche luce si intravede infondo al tunnel. Non tutto è perduto allora?
Una citazione bellissima è tirata in ballo per spiegarci questo punto di vista: “Darei l’intera Montedison per una lucciola” e lo scrisse Pasolini alla fine di un articolo intitolato “Il vuoto del potere in Italia”. Le luci che si intravedono a pelo d’acqua sono gli occhi della Grande Madre Terra che ritorna sempre e comunque, dopo una guerra, durante una pandemia, a ricordarci che l’unica condizione umanamente giusta è quella in equilibrio con la natura.
Si sbuca dal Padiglione Italia proprio su un giardino pieno di luce e torni a respirare, perché è questo che fa un’installazione con una buona storia alle spalle: ti fagocita e quando ti riporta fuori devi prenderti il tempo per lasciare decantare il valore esperienziale. E te ne vai in giro con varie domande irrisolte, che poi sono le domande dei nostri tempi: potrà esistere un’alternativa? Un mondo in cui non si vive solo per lavorare? In cui non si muore sul lavoro? In cui la natura trova varchi liberi per venirci incontro?
L’opera è stata (come molte altre) anche pesantemente criticata e non ha avuto alcuna menzione eppure, in una Biennale che quest’anno non ha dato il meglio di sé, è una delle poche che ha saputo indagare con spirito critico lo stato dell’uomo rispetto al tempo e allo spazio e lasciare qualche interrogativo sospeso per il futuro.
C’è chi ha puntato molto sul “riempire” il padiglione e ci è piacevolmente riuscito (per esempio la Francia), chi voleva giocare sul minimalismo ma ha sfiorato il nulla concettuale più totale (vedi Germania e Spagna). Per non parlare della decisione della chiusura del Padiglione russo. Qui forse andrebbe fatta una parentesi autocritica e una revisione generale della manifestazione che, in quanto punto di riferimento mondiale, non può venire meno al suo compito primario ossia quello di portare avanti la convinzione che l’arte unisce. Ci insegnano, insomma, che almeno l’arte in quanto linguaggio universale sia la più indicata a livellare le disuguaglianze e andare contro tutti e tutto e di certo non ti aspetti che alla Biennale trovi un padiglione chiuso con un vigilante all’esterno “per ragioni di sicurezza”.
E ritorna la succitata domanda: esiste un’alternativa? Pensiamo che le strade percorribili dell’arte siano infinite e che magari una sferzata di innovazione nel format sia più che possibile. Necessaria.
©Riproduzione riservata
Foto di Valentina Guerra

IL PROGETTO
Storia della Notte e Destino delle Comete è il titolo del progetto espositivo del Padiglione Italia alla 59° Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. La mostra, a cura del napoletano Eugenio Viola, già curatore del Museo Madre, per la prima volta nella storia del Padiglione Italia, presenta l’opera di un solo artista: Gian Maria Tosatti.

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