Castellammare di Stabia, Seconda guerra mondiale. Il teatro delle operazioni militari è lontano, tuttavia la paura e la miseria bussano alle porte. C’è chi stenta a reperire i generi di prima necessit , e chi si arricchisce con il contrabbando e la borsa nera. Il rumore assordante delle sirene rompe la quotidianit  anche nel cuore della notte. E sugli stabiesi passati agli angloamericani grava la minaccia dei rastrellamenti e dei campi di concentramento. Protagonista del nuovo romanzo di Raffaele Bussi, “Le lune del Tirreno”, (Nicola Longobardi Editore, pp.140, € 15,00) è proprio la citt , con la sua cultura, le sue tradizioni, il suo paesaggio. Per investigare l’anima dei luoghi, l’autore imbastisce la tragica storia d’amore tra Stefano, figlio unico di una stimata famiglia di imprenditori, e Flora, andata in sposa, per convenienza, a Vincenzo, ricco proprietario del biscottificio Ciardi. Troppo preso da una relazione adulterina di vecchia data, il marito non si accorge della nascente liason fatta, dapprima, di sguardi furtivi, poi, di incontri clandestini, sempre più frequenti, in scenari da sogno, che l’autore tratteggia con dovizia di particolari. Una gravidanza inattesa scompagina l’idillio e impone di uscire allo scoperto. Vincenzo non può soprassedere a una cos grave onta, che finir  per causare la sua rovina. Ventidue anni di carcere segnano una distanza incolmabile tra gli amanti di un tempo. Un incontro a sorpresa non può rimarginare ferite a lungo sofferte. Anche la citt  piange per le continue aggressioni al territorio. Ormai la tranquillit  ha ceduto il posto agli scioperi e alle cariche della polizia. Dappertutto l’illegalit  è diventata sistema. Resta la nostalgia dei ricordi sulle struggenti note di Dulce Pontes.
Ne parliamo con l’autore

Da dove ha tratto l’ispirazione di scrivere questo romanzo?

“Da un racconto che mi fece mia madre anni fa”.
A mio avviso il sogno che apre la narrazione non solo sospende la vicenda tra presente e passato, proiettandola nell’immaginario mitologico, ma ha il valore di una profezia popolata da quei monstra che, fuor di metafora, a tutt’oggi scempiano il territorio privandolo delle risorse e dei progetti per la crescita e lo sviluppo. Condivide questa mia interpretazione?
“S, concordo pienamente”.
Le frequenti descrizioni, che rivelano una puntuale conoscenza della toponomastica un interesse per il patrimonio storico-artistico, sono semplici digressioni o sono funzionali alla logica della trama?
“Certamente concorrono allo sviluppo dell’intreccio. Del resto il racconto rappresenta la storia di una citt  e la vicenda d’amore tra Stefano e Flora è solo un pretesto per narrarla. Difatti, nel finale del romanzo, Flora rivolgendosi a Stefano afferma che ” la storia di una citt  alla fine la puoi raccontare”. Ed è quello che ho tentato di fare”.
Il canto di Dulce Pontes, che lega con un andamento circolare il sogno nell’incipit e l’epilogo, è una sorta di antidoto al dolore e al pessimismo?
“S, aiuta a rendere meno pesante una vita segnata dalla sofferenza”.
E’ un fan della nota cantante portoghese?

“S. Dulce Pontes è tra le più grandi interpreti contemporanee. Proviene da una terra splendida, dove il fado è l’espressione più autentica dell’anima di un popolo e, al tempo stesso, lo strumento per esorcizzare sentimenti quali la lontananza e la separazione”.
Possiamo lanciare lo scoop che la Pontes a fine carriera si ritirer  a Castellamare di Stabia?
“Sarebbe bello! Ma credo che ognuno alla fine vada sempre alla ricerca del luogo d’origine, proprio per trovare le radici”.
Il finale è aperto in vista di un prosieguo della storia?
“No, la storia finisce cos. Il prosieguo è l’augurio che questa terra, dopo i disastri, possa ritrovare se stessa e ritornare agli antichi fasti”.

In fot, l’autore e la copertina

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