Gallerie d’Italia Napoli 2/ Andy Warhol e il fascino (seriale) di Marilyn. Quell’energia pop del Vesuvio

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L’idea non è quella di vivere per sempre,
ma di creare qualcosa che lo faccia
Andy Warhol

Andy Warhol. Triple Elvis è la mostra d’arte proposta da Gallerie d’Italia Napoli fino al 16 febbraio 2025. In esposizione, per la prima volta insieme, i cicli grafici Marilyn, Mao Tse-Tung ed Electric Chairs, oltre alla celebre opera di Elvis Presley. Carmine Negro propone una riflessione sulla figura dell’artista e sul progetto espositivo: dopo la prima parte, di seguito pubblichiamo la seconda.

Andy Warhol
Triple Elvis 1963
Acrilico, inchiostro serigrafato su tela.
Collezione Luigi e Peppino Agra
ti, Intesa San Paolo. In copertina e in basso, scorci della mostra

Andy Warhol, che negli anni ’60 ha da poco superato i trent’anni, dopo aver lavorato per un decennio nel mondo della pubblicità, si lancia in una nuova avventura: il mondo dell’arte.
Nel 1961 Warhol acquista una casa a schiera al 1342 di Lexington Avenue a Carnegie Hill, che utilizza anche come studio d’arte: è la sua prima Factory. Nel 1962 è uno dei primi ad adottare il processo di stampa serigrafica come tecnica per realizzare dipinti. Nella mia opera d’arte, la pittura a mano richiederebbe troppo tempo e comunque non è l’epoca in cui viviamo. I mezzi meccanici sono oggiLa serigrafia è un metodo onesto come qualsiasi altro, inclusa la pittura a mano (A. W.). Il 9 luglio 1962 apre alla Ferus Gallery di Los Angeles una mostra con l’opera Campbell’s Soup Cans e nel novembre dello stesso anno un’esposizione allo Stable Gallery di Eleanor Ward a New York include le opere Gold Marilyn, otto della classica serie Marilyn chiamata anche Flavor Marilyns, Marilyn Diptych, 100 Soup Cans, 100 Coke Bottles e 100 Dollar Bills.
Il clima di quegli anni è ben descritto dalla presentazione del volume Popism: The Warhol Sixties[1] (Popismo: gli anni Sessanta di Warhol).
Una tempesta culturale travolse gli anni Sessanta – Pop Art, Bob Dylan, psichedelia, film underground – e al centro sedeva un giovane artista confuso con i capelli argentati: Andy Warhol. Andy conosceva tutti (dal commissario culturale di New York alle drag queen drogate) e tutti conoscevano Andy. Il suo studio, la Factory, era il luogo: dove creava le grandi tele di lattine di zuppa e icone pop che definivano la Pop Art, dove si potevano ascoltare i Velvet Underground e gomito a gomito con Edie Sedgwick e dove lo stesso Warhol poteva osservare gli andirivieni dell’avanguardia.[2]
All’inizio del 1963, Warhol affitta come studio, una vecchia caserma dei pompieri al 159 East 87th Street[3]. In questo laboratorio crea la sua serie Elvis, che include Eight Elvises (1963), Triple Elvis (1963) ed anche Double Elvis (1963) tutte caratterizzate dalla serializzazione.
In un’intervista del 1985[4], Benjamin Bucloch[5] chiede a Andy di voler conoscere com’è nata la serializzazione visto che le sue prime opere, i fumetti Popeye o Dick Tracy, sono ancora costituite da singole immagini mentre è solo nel 1961 o 1962 che passa alla ripetizione seriale. Andy risponde che dopo aver visto i puntini di Roy Lichtenstein, che erano davvero perfetti, ha pensato di non poter continuare a fare i fumetti e così ha cominciato a fare altro.
Benjamin Bucloch dopo aver ricordato che qualche anno prima Arman[6] ha iniziato a fare le ripetizioni seriali di oggetti readymade simili o identici gli chiede se ha già visto le Accumulazioni di Arman. Quando Arman 1961 si è trasferito a New York, lo ha conosciuto e inserito nel ’64 nel suo film Dinner at Daley’s[7], ma alla domanda risponde che la sua è stata una ricerca autonoma. In effetti c’è un interesse, allora largamente diffuso, per la serialità: c’è John Cage con l’idea della musica seriale, Yves Klein che espone undici dipinti azzurri[8], tutti delle stesse dimensioni, c’è stato precedentemente Rauschenberg che ha realizzato quadri tutti neri, poi ancora altri artisti come Albers e Ad Reinhard Be’ che si sono cimentati sullo stesso tema.
Tutti hanno lavorato più o meno nello stesso periodo, indipendentemente l’uno dall’altro eppure l’importanza della forma seriale si è andata affermando nei primi anni sessanta, storicamente in coincidenza con l’inizio delle strutture seriali dei lavori prodotti da Warhol.
L’opera Triple Elvis del 1963, che dà il nome alla mostra di via Toledo, e che segna un momento fondamentale nell’evoluzione artistica di Warhol, è l’elemento centrale di questa esposizione. In questa raffigurazione Andy Warhol ci presenta l’immagine della virilità americana, idealizzata e ironicamente esposta come un intruso in costume.
Elvis Presley, vestito da pistolero in uno scatto pubblicitario per il film Flaming Star, prende posto su una superficie piatta e vuota che, per Warhol, funziona come uno specchio che riflette le sfumature sovrapposte di celebrità, cinema, desiderio e performance dell’America degli anni Sessanta[9]. Warhol è sempre stato attratto dal fascino scintillante di Hollywood, fin da bambino, e il dipinto di Elvis, rende omaggio a una superstar la cui fama internazionale gli ha portato un livello di celebrità tanto ammirata dall’artista.
Presley permette a Warhol di arrivare al cuore degli anni ’60. Elvis Presley è la più grande forza culturale del ventesimo secolo, per Leonard Bernstein[10]. Ha introdotto il ritmo in ogni cosa e ha cambiato tutto: musica, linguaggio, vestiti. È una rivoluzione sociale completamente nuova: gli anni Sessanta sono nati da lì[11].
Il primo riferimento di Warhol al cantante è stato fatto nel 1956, mentre lavora ancora come illustratore commerciale. In una serie di disegni collage di scarpe, mostrati in un servizio di due pagine sulla rivista Life, Warhol dà a ciascuna scarpa il nome di una celebrità: l’Elvis Presley è uno stivale da cavalier vecchio stile in foglia d’oro, decorato con una rosetta floreale e tempestato di stelle mentre il James Dean, al contrario, è uno stivale robusto con speroni.
Per la sua mostra del 1963 alla Ferus Gallery di West Hollywood, Warhol sceglie una foto di Presley scattata appena tornato dal suo servizio di due anni nell’esercito degli Stati Uniti. Con l’aiuto del suo nuovo assistente, il poeta Gerard Malanga, completa la serie dedicata ad Elvis con una composizione che intende incarnare il grande schermo del cinema. Rimosso un qualsiasi senso narrativo grazie ad una superficie pura e splendente l’immagine evidenzia solo la performance di Elvis.

L’installazione Ferus può essere letta come un commento pungente sulla natura ripetitiva del genere western, un prodotto di massa, come può essere considerato lo stesso Presley, che non è diverso dalle lattine di zuppa Campbell che Warhol ha esposto in galleria l’anno precedente. Si può anche sostenere che Warhol enfatizza il suo soggetto: attraverso lo sfondo argentato si è più consapevoli che ciò che stiamo vedendo è un attore che posa per la telecamera. La ripetizione è rigida e immobile; Elvis non presenta l’ideale del cowboy del West, ma una figura di seconda mano interpretata, in modo un po’ maldestro, dal personaggio di Elvis Presley.
Per John Carlin, giornalista e scrittore britannico, ci sono delle somiglianze tra Warhol ed Elvis: entrambi provenivano da contesti umili e catturarono in modo fulmineo i rispettivi campi in un modo che sembrava rompere completamente con il passato. Ognuno di loro tradì il suo talento iniziale non appena questo divenne noto e optò per una parodia vuota e apparentemente superficiale degli stili precedenti che, sorprendentemente, ampliarono, anziché alienare, il loro pubblico. La personalità creata da Warhol era quella di un vuoto o di uno specchio. Entrambi si sono dedicati al cinema come mezzo per esplorare le dimensioni mitiche della loro celebrità … entrambi hanno usato la ripetizione e la superficialità per mascherare un aspetto oscuro ma vitale del loro lavoro: il desiderio di trascendenza o annientamento senza compromessi, creando una profonda ambivalenza da parte sia dell’artista che del pubblico sul fatto che il prodotto fosse spazzatura o tragedia[12].’
Se volete sapere tutto su Andy Warhol, basta guardare la superficie dei miei dipinti, dei miei film, e di me stesso: io sono lì. Non c’è niente dietro. Questa frase, che possiamo sintetizzare con Andy Warhol dice la sua su Andy Warhol, ci permette di tracciare un’equivalenza più convincente non tra l’artista ed Elvis, ma tra Warhol e la superficie vuota e argentata su cui è proiettata l’immagine di Elvis. Nelle sue prime interviste, Warhol ha adottato comunemente una strategia di rispecchiamento, rimandando le domande al suo intervistatore.
Delle 22 opere di Elvis Ferus Type esistenti, 11 sono in collezioni museali, tra cui la tela che Bob Dylan ha insistito a prendere in cambio della sua presenza in un film di Warhol, che ora è ospitata al Museum of Modern Art di New York[13].
Nella stessa sala delle Gallerie d’Italia che ospita Triple Elvis è esposta la serie Marilyn dedicata all’attrice americana  realizzata nel 1967. Warhol, grazie alla tecnica serigrafica, realizza opere con uno stile più grafico e distaccato, composto da colori audaci e spesso contrastanti, contorni nitidi e immagini commerciali.
La tecnica serigrafica gli consente di ripetere più volte le immagini derivate da fonti fotografiche, con un’ampia varietà di colori e utilizzare e valorizzare le imperfezioni, come toni irregolari, macchie, spazi vuoti e segni di stampa irregolari.

Marilyn 1967
Dieci serigrafie a colori su carta.
Collezione Luigi e Peppino Agrati

Warhol ha proposto l’immagine di Marilyn Monroe in una varietà di opere, a partire da Gold Marilyn Monroe, attualmente al Museum of Modern Art di New York, realizzata nell’agosto del 1962, poco dopo la morte dell’attrice. In questo lavoro, lo sfondo dorato, che richiama l’iconografia delle icone religiose cristiane o dei mosaici bizantini, eleva l’immagine della star hollywoodiana a oggetto di culto.
Per la realizzazione del prodotto artistico invece di adoperare un’immagine contemporanea, sceglie una fotografia pubblicitaria scattata per il film Niagara del 1953, ritagliata per mettere a fuoco i suoi lineamenti. Mentre Gold Marilyn Monroe ha un aspetto quasi elegiaco dovuto all’isolamento della piccola immagine serigrafata dell’attrice su uno sfondo dorato piatto, la prima Marilyn del 1967, quella dell’annuncio, è sorprendentemente audace, con una tavolozza che spazia tra il giallo brillante, il verde acido e il rosa shocking.
Questa prima stampa è stata creata per annunciare la pubblicazione del portfolio Marilyn (1967), contenente dieci serigrafie, quelle che si possono ammirare nell’esposizione di via Toledo. Le stampe del portfolio sono più grandi e più strettamente ritagliate rispetto a quella dell’annuncio e rendono il volto di Monroe più vicino ai bordi del foglio e, di conseguenza, all’osservatore. Marilyn e il portfolio Marilyn sono state le prime stampe che Warhol ha prodotto e pubblicato tramite Factory Additions New York, una società da lui creata per produrre e distribuire stampe basate sui motivi, come Marilyn, Campbell’s Soup e Flowers[14].
L’uniformità e la piattezza dello sfondo delle opere di Warhol e la ripetizione dello stesso soggetto in diverse varianti diventano la sua cifra distintiva. Le nuove tecniche adottate dagli artisti pongono il problema della riproducibilità dell’oggetto artistico che non è più un unicum e della serialità nella produzione artistica[15]. Tra il 1935 e il 1940, l’anno della sua morte, Walter Benjamin lavora a più riprese al suo saggio più importante: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Il saggio si interroga sul destino dell’arte nel contesto delle trasformazioni dei nuovi dispositivi tecnologici.
Benjamin analizza con grande lucidità il problema della riproducibilità tecnica capace di annullare la distinzione tra originale e copia con lo sconvolgimento del tradizionale rapporto tra il pubblico e il mondo dell’arte[16]. Warhol, che non a caso chiama il proprio studio The Factory (La Fabbrica), enfatizza la produzione industriale delle sue opere e rivoluziona l’idea dell’artista artigiano, incompreso, romantico e tormentato. Nasce, così, un nuovo modello di artista: l’artista imprenditore eccentrico ricco e famoso che assume lo status di celebrità[17].
La mostra, realizzata nelle Gallerie d’Italia di Napoli, presenta nella prima sala due cicli di opere grafiche: Mao Tse Tung ed Electric Chairs Le prime Opere di Andy Warhol su Mao Tse Tung vengono create dall’artista nel 1972 in un set di 10 serigrafie a colori. Per il Pop Artist, che è solito raffigurare personaggi famosi e icone dello spettacolo, Mao è stato il primo personaggio appartenente alla categoria della politica. L’idea di usare figure celebri del XX secolo viene suggerita a Warhol dal suo commerciante e sostenitore Bruno Bischofberger, che inizialmente propose Albert Einstein come soggetto da riprodurre.
Quando Nel 1972 il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon si reca in Cina per incontrare il presidente Mao Tse Tung, ponendo fine ad anni di isolamento diplomatico tra i due paesi, Andy Warhol vede chiaramente in Mao Tse Tung il volto perfetto da ritrarre[18].
L’artista è attratto dalla grande popolarità che è riuscito a raggiungere creando un’ideologia di massa chiamata Maoismo e  dal notevole seguito del suo culto in Cina. Inoltre Warhol è incuriosito dalle differenze di diffusione delle immagini nei due stati che vedeva la Cina come il paese della propaganda e del comunismo, mentre l’America come il paese dei mass media e del consumismo.
Come per tutte le opere di Andy Warhol ritroviamo anche in questa una sorta di provocazione dell’artista: la necessità di sottolineare come le figure politiche spesso debbano modellare la propria immagine per compiacere l’opinione pubblica e fare in modo che le persone possano accettare i loro messaggi. Ritraendo Mao Tse-Tung Andy Warhol abbina la politica alla cultura pop con un nuovo approccio verso l’arte, rendendo ancora più sottile quella linea che divide lo status politico da quello di celebrità. Le prime Serigrafie di Mao Tse Tung vengono realizzate dall’artista usando una foto presa dal Libretto Rosso, una pubblicazione contenente le ideologie del dittatore cinese. Secondo l’interpretazione di Warhol, queste opere, con la loro immagine ripetuta dipinta con colori sgargianti e con segni espressionistici, possono suggerire un parallelo tra la propaganda politica e la pubblicità capitalista[19].

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Electric Chairs 197
Dieci serigrafie a colori su carta
Collezione Luigi e Peppino Agrati


Nei primi anni ’60 Andy Warhol inizia a realizzare dipinti con immagini che ruotano attorno al tema della morte; questo argomento diventa il soggetto nel 1971 di una serie di stampe: Electric Chair. La sedia elettrica è nata come una forma di pena capitale creata per sostituire l’impiccagione. I condannati vengono legati alla sedia e sottoposti a diverse sequenze di correnti elettriche fino a quando non si verificano danni fatali. L’immagine originale della sedia di Electric Chair è tratta da una fotografia, riportata dai giornali, della camera della morte presso il carcere di Sing Sing a New York nel 1963.
Quell’anno, i cittadini americani Julius ed Ethel Rosenberg sono stati giustiziati per aver passato informazioni riservate sulla bomba atomica ai russi durante la seconda guerra mondiale. Sono state le ultime due esecuzioni presso il carcere e quindi hanno dominato i titoli dei giornali[20]. Quando vedi un’immagine raccapricciante più e più volte, commenta l’artista, non ha davvero alcun effetto[21]. Eppure Electric Chair, con la sua sedia omonima stampata su dei dieci fogli di carta separati, smentisce questa affermazione. L’opera parla della costante reiterazione della tragedia nei media ed enfatizza anche il pathos della sedia vuota in attesa della sua prossima vittima: la stridente gamma di colori accentua l’orrore del sedile isolato e in attesa[22].
In mostra anche un ritratto di Warhol: una piccola e delicata opera fotografica di Duane Michals, fotografo americano, in cui l’artista appare e scompare.


Duane Michals
Fotografia in bianco e nero di Andy Warhol 1973
Collezione Luigi e Peppino Agrati


Concludono questa ricercata mostra i due Vesuvius della collezione Intesa Sanpaolo, a testimonianza dell’importante legame che l’artista ebbe non solo con l’Italia, ma soprattutto con la città di Napoli.
La litografia rappresenta il Vesuvio durante un’eruzione. Quest’opera, che mostra il vulcano in tutta la sua potenza distruttiva, con i colori accesi tipici dell’artista e della pop art è carica di energia. Per realizzare Vesuvius Warhol prende ispirazione dal Vedutismo napoletano e dalla pittura paesaggistica. Il risultato è un’opera in perfetto stile Pop Art, ma in dialogo con il passato e la tradizione.
Il Vesuvio e il paesaggio circostante diventano espressione della potenza distruttiva della natura, altro tema che l’artista ha già affrontato in Fate presto, l’iniziativa del gallerista napoletano Lucio Amelio per il terremoto in Irpinia del 1980. Fate Presto è una gigantografia della prima pagina del giornale Il Mattino pubblicata il giorno successivo alla catastrofe creata da Andy Warhol.

Vesuvius (nero) 1985
Serigrafia a colori su cartone
Collezione Luigi e Peppino Agrati

Con l’opera Fate Presto l’artista omaggia l’Italia e le vittime del tragico avvenimento di Andy Warhol e Lucio Amelio la sceglie come manifesto dell’intero progetto. Con la rappresentazione del Vesuvio di Andy Warhol, vulcano e potenza distruttiva si identificano in una suggestiva rappresentazione della natura e della sua superiorità sull’uomo.
Andy Warhol, nel 1985, realizza 18 tele dedicate al Vesuvio, di cui 17 esposte al Museo Capodimonte di Napoli. Il vulcano di Andy Warhol nasce dalla collaborazione con il gallerista Lucio Amelio. I due si sono conosciuti nel 1974 a New York, quando Warhol realizza quattro ritratti di Lucio Amelio. Andy Warhol visita poi Napoli per la prima volta l’anno successivo su invito di Lucio Amelio e resta per tre giorni in città. Per Warhol, Napoli è la versione italiana di New York.
Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York.
Quando le sale si sono svuotate scatto le ultime foto. Gli spazi con le sole opere mi danno la sensazione di essere senza tempo, come senza tempo sono i miti che Warhol rappresenta nelle sue opere e senza tempo le sue immagini fatte di linee e macchie di colore. In effetto quella rappresentazione fatta di spazi, miti e immagini e ciò che resta delle vite che le hanno prodotte. Sono storie che hanno avuto un passato, vivono un presente e potranno vivere un futuro se noi ci accorgiamo di loro.
Per farlo dobbiamo ripetere con Pablo Neruda: Nascere non basta./È per rinascere che siamo nati./Ogni giorno.
(2.fine)
 ©Riproduzione riservata

Per saperne di più
https://gallerieditalia.com/it/napoli/

Vesuvius (rosso) 1985
Serigrafia a colori su cartone
Collezione Luigi e Peppino Agrati

NOTE

[1] Andy Warhol,  Pat Hackett POPism: The Warhol ’60s Publisher Harcourt Brace Jovanovich 1980

[2] https://books.google.it/books/about/POPism.html?id=ryXt-HjZpqYC&redir_esc=y

[3] https://news.artnet.com/art-world/andy-warhols-first-new-york-studio-sells-9-98-million-755330

[4] https://thecomposingrooms.com/research/reading/2015/andy-warhol-october-files_interview.pdf

[5] Benjamin Heinz-Dieter Buchloh (1941) è uno storico dell’arte tedesco. Tra il 2005 e il 2021 è stato professore di arte moderna Andrew W. Mellon presso il dipartimento di storia dell’arte e dell’architettura dell’Università di Harvard.

[6] Arman (Nizza 1928 – New York 2005) , artista franco-americano famoso per le sue opere artistiche collocate tra la pittura e la scultura. Con la sua ricerca e continua sperimentazione ha indagato i rapporti che intercorrono tra gli oggetti quotidiani e la società moderna. L’arte non è mettere ordine nel mondo ma suggerire metodi di aggregazioni capaci di sviluppare processi di conoscenza interna ed esterna, interiore ed esteriore

[7] https://www.elledecor.com/it/arte/a39661264/arman-artista-accumulazioni/

[8] Nel 1957  a Milano Yves Klein espone undici dipinti azzurri , tutti delle stesse dimensioni, ma di prezzo diverso.

[9] https://www.christies.com/en/stories/andy-warhol-double-elvis-ferus-type-1963-12d8e8dcbe0145a39c152c150a81f614

[10] Leonard Bernstein, è stato un direttore d’orchestra, compositore e pianista statunitense.

[11] https://time.com/4894995/elvis-in-the-heart-of-america/

[12]https://elv75.blogspot.com/2019/04/

[13] https://www.elvisinfonet.com/spotlight_warhol_ang.html

[14] https://www.metmuseum.org/art/collection/search/352328

[15] https://www.youtube.com/watch?v=t0ULRKRC_Kk

[16] Walter Benjamin L’opera d’arte Nell’epoca della sua riproducibilità tecnica Donzelli Editore 2019

[17] È importante notare quanto lo stile della Pop Art caratterizzato da questa estetica impersonale ed artificiale si distacca diametralmente dalla corrente dell’espressionismo astratto dove l’opera è volta all’espressione del gesto istintivo e dell’intimità dell’artista.

[18] https://www.metmuseum.org/art/collection/search/677119

[19] https://mostrawarhol.it/andy-warhol-opere/mao-tse-tung/

[20]https://www.masterworksfineart.com/artists/andy-warhol/screen-print/electric-chairs-1971-fs-ii-74/id/W-7185

[21] Andy Warhol, citato in “What Is Pop Art? Answers from Eight Painters, Part I,” interviste di Gene R. Swenson, Art News 62, n. 7 (novembre 1963), pp. 60–61.

[22] https://www.guggenheim.org/artwork/4177

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