TERZA E ULTIMA PARTE

E, a proposito dell’incontro con Franco Battiato, ecco a voi Un’estate al mare. Successo discografico pazzesco, rimane nelle hit parade per mesi. Televisioni e trasmissioni radiofoniche la vogliono, il tormentone estivo diventerà una vera e propria icona nazionale della musica, ancora oggi apprezzata e ricordata da tutti.
Da questo momento l’escalation di Giuni. Incide  brani come Limonata cha cha, Mediterranea, Alghero, Sere d’agosto . La carriera della nostra divina è sempre stata costellata di alti e bassi. Forse per le sue -giustissime- scelte che noi comprendiamo… come poteva una voce cosi particolarmente appassionata, come poteva una donna con una cultura musicale cosi importante cantare canzonette?
Giuni aveva aveva voglia di innovazione e qualità.  «Volevo crescere, andare avanti. Allora ho pensato un po’ a me stessa, mi sono dedicata alle arie da camera, ho cambiato strada… In quel disco c’erano influenze jazz, musica classica e anche blues (io ci casco vocalmente, a volte, perché l’ho sempre amato). Quello era il primo disco in Italia, che io sappia, di musica di confine».
 E’ il pensiero di una donna libera: in effetti il motore della vita contiene un sentimento bello e forte, la parola libertà. Forse Giuni ha pagato per questo suo desiderio di pensiero, di essere, di esprimersi… sicuramente per questo è stata esclusa da varie manifestazioni, emarginata a favore di altre artiste che proponevano brani più commerciali, ma lei, testarda, non voleva scendere a compromessi. Se la canzone non le piaceva… era inutile.
Scoppiavano dispute legali, per contrasti con le varie etichette, ma lei imperterrita diceva… No.
Oltre alla vocazione per la musica, possedeva un’anima con una bella sensibilità. E fu questa generosità che la spinse a partecipare  alla serata di gala Aid for Aids,  il 20 novembre 1985 al Teatro Ciak di Milano: una raccolta fondi benefica per la lotta all’Aids, supportata anche da Eva Robin’s, Loredana Bertè, i Righeira, Bruno Lauzi e tanti altri. Periodo buio, ancora successo, ancora fuori scena, ancora in alto sulle classifiche. Una carriera altalenate, per i suoi capricci artistici oppure per il suo carattere forte. In nome di  una raffinatezza poetica e speciale in brani come Inverno a Sarajevo, A casa di Ida Rubinstein, Malinconia, ninfa gentile, Strade parallele (aria siciliana), scritta interamente in dialetto e interpretata in duetto ancora con Battiato.

Giuni Russo| ilmondodisuk.com
Nelle foto, Giuni Russo

Sicuramente canzoni per palati fini, ma la sua voce arrivava sempre. Bellissime le sue interpretazione di Me voglio fa’ na casa e Maruzzella. Giuni poteva cantare tutto quello che voleva, era una vera aristocratica della canzone, infatti spesso si relazionava con enti lirici rileggendo in chiave personale famose arie ottocentesche: di Bellini, Verdi e Donizetti, rielaborate ad hoc dal direttore d’orchestra Alessandro Nidi e dal musicista Martino Traversa.
«Ho sentito l’esigenza di svolgere un percorso spirituale– spiegava-  fin quando non mi sono imbattuta nei testi di Teresa d’Avila che ha rapito il mio cuore. Mi ha aiutata a cercare Dio e a trovarlo. Teresa d’Avila dice delle cose che solamente chi la legge può comprendere, o anche Giovanni della Croce che cito nell’album. Resto una cantante e non uso la mia spiritualità a fini di business».
Erano gli anni novanta. Giuni si avvicina alla religione, anche questo momento mistico lo affronta con studi specifici scoprendo le varie filosofie religiose, testi sacri, questo le permetterà di affrontare con coraggio e dignità… il male che le verrà diagnosticato in seguito.
Era il 1999. Apprende di avere il cancro, lotta  con coraggio senza mai perdersi d’animo, forse aiutata dal suo credo, forse per il suo carattere di affrontare la vita… lotta. Un ricordo di Madre Emanuela, priora del convento. « Era molto riservata ma cercava l’essenziale e aveva spiritualità affine a quella del Carmelo, intensa, vera, aperta agli altri, nonché femminile e moderna. Un giorno disse proprio “Sono innamorata di Gesù”, e fu quell’amore che la sostenne nella malattia. Poi aggiunse che, se il Signore le avesse concesso ancora degli anni, li avrebbe spesi al meglio, altrimenti, fosse fatta la Sua volontà».
Già, perché Giuni  per affrontare questa ennesima prova si rifugia nel Monastero delle Carmelitane Scalze, di cui diviene una sorella a tutti gli effetti, pur senza mai prendere i voti. Le sofferenze, le chemio la debilitano ma è testarda. Ama troppo la musica per abbandonarla  e incide Signorina Romeo Live, Signorina per scelta, Romeo per la forza che ho. «Un titolo così lo trovo simpatico, tutto qui, non c’è niente di ricercato. Mi piace l’ironia de ‘la signorina Romeo’, e io sono una persona molto ironica. Mi danno fastidio quelli che dicono che la ‘signorina’ oggi non esiste più ma esiste la ‘signora’. Ma dove? Non sono affatto d’accordo. L’isteria della signorina è ironica, per cortesia non mi tolgano il ‘signorina’!».
Una dichiarazione tra l’ironia e  il serioso nonostante il periodo di grande sofferenza  che stava attraversando. Giuni non perde il suo smalto di donna  ferma nelle prorpie convinzioni, sempre pronta a dire quello che pensa. Nel 2003 sale sul palco di Sanremo con la canzone Morirò d’amore. Si presenta calva con la testa decorata con hennè, è malata, si vede, ma lei è dignitosamente bella, la sua interpretazione sconvolge le anime di chi l’ascolta… per l’ennesima vola è… incredibile. Fino al 2004 Giuni continua a proporre la sua voce, i suoi brani, la sua presenza poi…
Era la notte tra il 13 e il 14  settembre 2004. Giuni Russo ci lascia per sempre, al suo funerale sono presenti tantissimi artisti, ma poi si sa la gente dimentica, sicuramente questo non lo fa Maria Antonietta Sisini che nel Maggio del 2005 fonda l’associazione culturale GiuniRussoArte che si occupa di tutelare la memoria, il patrimonio artistico, il ricordo di una delle più belle voci del panorama nazionale …
Giuni Russo, che noi dobbiamo ringraziare, inchinandoci davanti a tanta bravura, davanti a questo essere donna di cultura e bellezza interiore… Grazie, Giuni. Ci hai regalato  e fatto conoscere la vera musica, lo stile particolare e immenso dell’interpretazione. Anche Napoli ti ringrazia per come ci hai rappresentato.
                                                                                                   (3. fine)

SECONDA PARTE

Ma dove nasce Giuni Russo, come diventa la grande artista, elegante nel cantare e nella gestualità? Accorta a scegliere i brani, mai scontata, sempre in cerca di una musicalità rraffinata con testi eccezionali, che solo lei poteva interpretare?
A Palermo, il 7 settembre del 1951. Registrata all’anagrafe come Giuseppa Romeo, penultima di dieci figli. Nel suo dna, il sole della Sicilia, la carnalità meridionale, ma soprattutto l’aria che si respira nella casa natale. Una famiglia di pescatori con il papà Pietro e il nonno baritoni, mentre la madre Rosa è un soprano naturale.
Inizia a interessarsi di musica jazz, lirica e classica. A soli undici anni comincia a studiare. Per pagarsi il maestro di canto e composizione, lavora in una fabbrica di aranciate, fa esercizi vocali sul terrazzo di casa sua, si isola per allenarsi. Ha grande a bisogno di concentrazione. I suoi idoli sono Aretha Franklin e Maria Callas.
Raccontava lei stessa: «Volevano una canzonetta radiofonica,  ho risposto che non ho canzonette nel cassetto e non ne cerco. Se devo fare la fame, per non cedere a compromessi, la farò. La mia forza è questa: non avendo marito né figli ai quali pensare, posso vivere con poco. E così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un’artista libera».
 E ancora sottolineava: «Io non mi sposerò, il grande amore della mia vita sarà l’arte. Studierò musica, coltiverò la mia voce, diventerò una grande cantante».Una specie di giuramento fatta a se stessa, una promessa mantenuta come sono di solito fare i meridionali, orgogliosi, testardi e convinti delle proprie qualità- e lei di grandi qualità ne aveva da vendere.
Torniamo al suo percorso artistico. A soli tredici anni si esibisce al Palchetto della musica  allestito nel centro del capoluogo siciliano. Nel 1967 vince il Festival di Castrocaro cantando A chi di Fausto Leali. Una vittoria che le consente di partecipare al Festival di Sanremo dove canta il brano No amore bocciato dalla giuria. Ma la Columbia records intuisce le grandi qualità di Giuni e sotto questa etichetta arriva il suo primo 45 giri che contiene No amore con il retro Amerai. Seguono L’onda (le musiche sono di Al Bano, stavolta ci prova al Festivalbar e al Cantagiro), e I primi minuti, quest’ultima, versione italiana di I say a little prayer dell’amata Aretha Franklin.
I suoi diciotto anni li festeggia a Tokyo, nel 1969, durante un piccolo tour di tre mesi a spasso per il Giappone. Poi sbarca a Milano, sua futura città d’adozione, dove si trasferisce in pianta stabile. Qui conosce Maria Antonietta Sisini, che rimarrà al suo fianco per oltre trentacinque anni, costruendo con lei un rapporto speciale e bellissimo.
Giuni inizia la gavetta come corista, collaborando Adriano Celentano (nell’album I mali del secolo). Colleziona  altre esperienze, poi firma il contratto con l’etichetta Basf -tedesca. Ecco brani come Love is a woman, Milk of Paradise, Give me one reason, I’ve drunk my dream, la struggente Carol (omaggio a un’amica scomparsa per droga). Canzoni speciali e con basso impatto commerciale.
Dopo nuove incisioni e cover, incontra Cristiano Malgioglio che scriverà per lei Mai/Che mi succede adesso (etichetta Durium). Con il brano che segue Soli noi (ancora Malgioglio), finalmente Giuni ottiene vari passaggi televisivi, viene notata e la vogliono in altri paesi europei, ma l’artista non ha troppa fiducia, scottata dalle precedenti esperienze poco lusinghiere.
Insieme a Maria Antonietta Sisini scrive brani per artisti come Rita Pavone e altri, fino a comporre la canzone Ho fatto l’amore con me di Amanda Lear: collabora alla stesura definitiva del testo con Malgioglio che ne è autore principale e a questo punto le loro strade si separano.
Fondamentale l’incontro con Battiato che ricorda: «Mi colpì la sua voce straordinaria, la vitalità con cui cantava, la sua potenza vocale che andava di pari passo con la sensibilità musicale».
L’artista catanese è una fucina di idee senza eguali, capisce subito come tirare fuori il meglio dalla talentuosa conterranea. Così in quattro e quattr’otto le cuce addosso brani che calzano a pennello al suo standard di artista non convenzionale, originalissima e mai asservita ai voleri del mercato, adatti pure a un pubblico più ampio.
Esce l’album Energie con titoli come Una vipera sarò, Lettera al governatore, L’addio. Giuni ha la possibilità di esprimere tutte le sue qualità canore- quasi cinque ottave di estensione. Lei, un gabbiano, un’aquila, un angelo, con capacità tecniche e gorgheggi strabilianti.
                                                                                               (2.continua)
PRIMA PARTE

Cominciamo quest’articolo dedicato a Giuni Russo (Palermo, 7 settembre 1951 – Milano, 14 settembre 2004), nella nostra rubrica degli  indimenticabili  spesso dimenticati con la dichiarazione di una persona molto vicina all’artista, Maria Antonietta Sisini.
«Scrivo queste riflessioni partendo dal presupposto che, bene o male, sia nota la mia vita vissuta con e per Giuni. Non amo mettermi in mostra personalmente e detesto quelli che lo fanno (o cercano di farlo) sfruttando Giuni a proprio vantaggio. In certi post sul web leggo che Giuni non ha mai avuto ciò che merita, e aggiungo io, neanche ora che da tanti anni non c’è più. Lo diceva anche lei: Fossi nata in America, Gran Bretagna ecc…. non mi si chiederebbe perché amo sperimentare e ricercare nella musica, nel canto e non crogiolarmi negli allori dei successi popolari’ .
Col senno del poi, mi chiedo: Ho forse sbagliato a non insistere per andarcene all’estero? Chissà… L’Italia non la merita, l’Italia non ha memoria, l’Italia non valorizza i talenti eccezionali in nessun campo, purtroppo ancor meno nella musica. Un talento come il suo, fuori dall’Italia, sarebbe celebrato e osannato come meriterebbe. L’Italia non sa neanche che un’artista, musicista e cantante quale è Giuni Russo non l’avrà mai più, a meno di un miracolo.
Lei c’era, l’abbiamo avuta e non l’abbiamo riconosciuta, lei invece ha dato, si è donata, ad onore di tutti! Questa è solo una briciola di ciò che sento nel cuore ».
Una dichiarazione d’amore, con risentimento verso chi dimentica, ma noi non possiamo non ricordare Giuni Russo. La sua non era una voce, era il suono di mille violini, pianoforti, arpe, fino ad arrivare ad angelici suoni, fino a toccare le stelle, infiltrandosi nello spazio universale.
Pensate che esagero? No. La voce di Giuni Russo era eccezionale, emozionava, toccava le anime dei cultori della musica e sicuramente anche quella del pubblico nazional popolare. Abbiamo il sospetto che, come una gazza ladra, abbia rubato tutto quello che luccica, oro, brillanti, polvere di stelle, per metterlo al posto delle corde vocali, rendendo la propria voce unica nel suo genere.
Ecco come la ricorda il napoletano Antonio Mocciola, scrittore, autore, giornalista e conduttore radiofonico: «Salì sul palco che erano quasi le dieci di sera. Il suo trio di musicisti l’aspettava composto, e composto era il pubblico che affollava la piccola chiesa moderna di Mazzo di Rho. Fuori c’era una nebbia fitta, che non perdona, una nebbia che taglia gli orizzonti, e ti costringe a guardare a terra, a sorvegliarti i passi.
Salì accompagnata da una mano, per non inciampare sui gradini persi nel buio. Il silenzio era compatto, d’attesa. Bella, di quella luce nuova degli ultimi anni, elegante. Le canzoni scivolano e stupiscono solo chi non le conosce. Per chi le conosce è un appuntamento d’amore.
Finché non accade qualcosa, qualcosa di nuovo. Parte un brano mai sentito, ci si guarda stupiti. Sarà un nuovo arrangiamento, o forse un intermezzo strumentale. E invece arrivano parole nuove.
E’ l’Ave Maria di Verdi. Qualche secondo di sconcerto, che dura poco. E’ una nuova canzone, urge massima concentrazione. Chissà se poi la incide, meglio non perderne neanche una nota. E intanto la voce decolla, il silenzio si sospende in alto, come una corda celeste.
Lei è sempre più bella. Le pareti di grezzo cemento si fanno aeree, luce riflessa. Stiamo viaggiando. L’intensità prende forma, mentre musica e voce si fanno una cosa sola, vibrando all’unisono. Quanto tempo è passato? Un minuto, un’ora? Il tempo è cristallo, fermo e fragile. Come noi, come lei.
Ecco, la musica ora sfuma, la voce plana, stiamo atterrando dolcemente. Il fragore degli applausi ci riporta alla realtà, sembra una cascata improvvisa, lei si stringe le mani al petto, sorride. Il Contatto c’è stato, e lei lo sa. La mano l’accompagna giù per i gradini, lasciando i musicisti sul palco a prendersi gli ultimi applausi. La piccola chiesa sembra ancora stordita, quasi quanto noi.
Fuori, la notte è tornata chiara, portandosi via la nebbia. La vista può spaziare, libera, liberata. Niente sarà più come prima».
Giuni Russo è sempre viva nei nostri pensieri. E, scrivendo di lei, ci vengono in mente i versi di Totò che lei stessa cantò: Tu si ‘a cchiù bella cosa/ca tene stu paese,/tu si comm’ a na rosa,/rosa… rosa maggese./Sti ccarne profumate/me metteno int’ ‘o core/comme fosse l’essenza,/l’essenza ‘e chist’ammore.
Così Giuni spiega come nacque l’idea. «Ero in ospedale, lo scorso maggio in seguito ad un intervento a cui mi sono sottoposta, il secondo, a dire la verità. Un giorno, che mi sentivo un po’ meglio, mi sono alzata dal letto e mi sono messa a leggere un libro di poesie di Totò che qualcuno mi aveva regalato sapendo del mio nuovo progetto dedicato alla canzone napoletana. Sono capitata su questa poesia, e mentre la leggevo ho iniziato a cantarla: la melodia è nata così, come se fosse stato un regalo dello stesso Totò ».
Giuni Russo interpretò magistralmente la canzone napoletana in un unico cd che divenne anche un dvd. Con la sua voce cantò in inglese, francese, tedesco, spagnolo, cinese, arabo, persiano e latino, oltre all’italiano e al napoletano,  sperimentando vari dialetti, e  includendo anche il siciliano nel brano Veni l’autunno, con Franco Battiato.
Ma torniamo alle canzoni napoletane. Torna a Surriento, Marechiare, O sole mio, Santa Lucia luntana, Serenatella a mare, Fenesta che lucive proposte in una serata del 18 ottobre 2003, nell’ambito del “Festival internazionale del cinema muto” di Pordenone.
Era il progetto “Napoli che canta”: una suite musicale per film di tradizionali canzoni napoletane (e non solo), scelte e interpretate dalla cantante per l’omonimo film-documentario di Roberto Leone Alberto che contiene anche  scene di backstage. Realizzato insieme a Maria Antonietta Sisini (produzione), Michele Fedrigotti (piano), Stefano Medioli  (tastiere), Marco Remondini (violoncello e sax soprano).
Raccontava Giuni: «Napoli e le sue canzoni appartengono alla mia infanzia, me le porto dentro da sempre. Mi è venuta in mente mia madre, che durante un festino di Santa Rosalia venne portata al largo da papà sulla sua barca per vedere meglio le luci della festa. Quando passò la nave che andava a Napoli per poi da lì salpare verso l’America, mamma la salutò cantando in napoletano: questo disco è un grande omaggio a lei ».
Socio fondatore dell’evento di PordenonePaolo Cherchi Usai descrive quell’esperienza commosso.  «Chi ne è stato testimone non lo dimenticherà, Giuni non si è limitata a interpretare un genere musicale e ad accompagnare un film, ma ha creato un’opera a sé stante, dove l’immagine e la voce si completano a vicenda. Nelle giornate di lavoro sul film e sulla musica ho visto Napoli che canta illuminarsi di nuovo come un’elegia alla cultura mediterranea, Giuni ha capito il film e il film si è aperto al suo sguardo. Il mio unico contributo al progetto è l’aver provocato questa breve, folgorante storia d’amore fra voce umana e immagine. Giuni e il film hanno fatto il resto».
                                                                                                       (1.continua)

 

 

 

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