La Germania aumenta a 12 euro l’ora il salario minimo garantito. Una misura di civiltà che parla a oltre 6 milioni di lavoratori, in questo “sprofondamento” del capitalismo selvaggio.
In una fase economica inflattiva, dove in discussione vi è il potere di acquisto delle famiglie, allargare il reddito significa stimolare la domanda interna e far crescere i consumi.
È bastato spalmare, nell’arco del 2022, 4,8 miliardi di euro, per contrastare l’aumento dei prezzi al consumo e l’impennata del mercato immobiliare.
Olaf Scholz sostanzialmente “rompe” la contrattazione tra imprese e sindacati e migliora la condizione materiale dei lavoratori e delle lavoratrici tedesche. Una decisione minima, ma dignitosa e coraggiosa, equiparando, peraltro, la stessa tariffa ai cosiddetti mini-job, ovvero a quei lavori esenti dalle tasse. Laddove potenzialmente si annidano evasione ed elusione fiscale.
In Italia il reddito medio dei lavoratori rappresenta il fanalino di coda della Unione europea, assieme a Grecia e Spagna.
Una scelta che, se non indica una prospettiva compiuta, almeno reagisce verso la centralità del lavoro e le dinamiche retributive. E non è poco se la Germania “riforma” il suo credo fondato sull’austerità fiscale e la flessibilità sul lavoro. Una inversione di tendenza, insomma, che non guarda al dogma dell’aumento delle esportazioni, deprimendo il mercato interno ma, al contrario, tenta di allargare quest’ultimo con uno stimolo intelligente che in parte contrasta la corrosione del potere di acquisto dei salariati. L’Italia, da questo punto di vista, è decisamente immobile!
A questo punto potrebbe essere necessario uniformare un salario minimo orario europeo che, assieme al prestito UE (PNRR), permetterebbe l’aumento della componente pubblica degli investimenti e stimolerebbe una politica industriale per superare i dislivelli territoriali, abbandonando definitivamente il patto di stabilità, ovvero quell’artifizio economico fondato su una rigidità senza crescita.
Ebbene, se il paese più “rigido” d’Europa dà uno schiaffo alla concertazione nelle politiche del lavoro e delle relazioni sindacali, come base e presupposto per creare nuove relazioni industriali, capaci di migliorare, in prospettiva, la condizione materiale dei lavoratori, non si capisce perché nel nostro paese si perde tempo inutile e dannoso da questo punto di vista. In Italia, a parole si vogliono difendere le famiglie dalla corrosione economica e sociale, mentre dall’altro non matura un dibattito politico capace di reagire seriamente all’impoverimento di interi ceti sociali e futuri espulsi da questo sistema scellerato.
Da queste parti, il 23 luglio del 1993, prende piede il protocollo tra governo e parti sociali sulle politiche del lavoro e di sostegno al sistema produttivo. Il principale impegno in esso contenuto riguardava proprio il contenimento dei prezzi entro livelli necessari alla politica dei redditi.
In altre parole, laddove si presentavano periodi di aumento dell’inflazione si agganciavano a questa salari e stipendi. Una mera illusione. Una politica fallimentare che ha massacrato milioni di lavoratori, in cambio di ristrettezze economiche e sociali.
La Germania batte l’Italia UNO a ZERO. A volta basta anche un solo goal per vincere quella partita che apre alla vetta del campionato.
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Nella foto da Pixabay, al lavoro in Germania

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