È bastato che Putin invadesse l’Ucraina per far crollare il mito della Ue unita, coesa e foriera di buone prassi politiche per gli Stati membri. Poco prima si usciva dalla fase più delicata e stringente del Covid-19, avanzava l’idea del debito europeo per la ripresa dell’economia e si prospettava l’accordo per sospendere il patto di stabilità. Detto fatto, almeno fino ad ora.
Oggi, con la guerra dietro l’angolo di quella stessa Europa si parla di un Recovery bis per creare un esercito comune europeo e l’autosufficienza energetica per affrancarsi dal gas russo. Armare la UE per difendersi dalle aggressioni politiche e militari del resto del mondo.
Un’Europa che negli ultimi venti anni ha solo introdotto la moneta unica, trascurando quei vuoti sociali ed economici al suo interno, forieri di degrado, miseria, esclusioni e immiserimento urbano di intere zone, come quei tanti Sud ancora in cerca di riscatto.
Un’Europa che ha dentro di sé i paesi del Nord, Olanda, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia, ribattezzati “frugali”, che combattono politicamente i paesi del Sud, compresa l’Italia.
In gioco vi è la contribuzione economica degli Stati membri per il mantenimento organizzativo e amministrativo della Ue e il dirottamento dei fondi del Recovery ed il loro effettivo uso.
Insomma, i paesi del Nord Europa vorrebbero pagare una quota minima e irrisoria, a fronte di ben più larghi benefici che riceverebbero per i propri cittadini. Magari creando più mercato “fuori” che dentro quella stessa Europa che essi rappresentano.
Piuttosto che guardare al proprio interno, riscrivendo daccapo le regole di funzionamento, visto che dopo il Covid-19 e la guerra ad est il mondo non sarà mai più come prima, si pensa di strutturare un esercito per combattere cosa non si capisce nemmeno bene.
La pace si difende con la guerra? Proprio no! I dislivelli territoriali esistenti non si possono affrontare con l’esercito, non è che con l’industria bellica dai da mangiare agli incapienti, così si fanno “ingrassare” solo le imprese che fabbricano armi.
Distrarre i bilanci nazionali per armare la Ue, in definitiva, non solo aggrava le distanze territoriali tra Nord e Sud Europa, ma mette in un angolo milioni di cittadini che da questo istituto si aspetterebbero politiche di pace, di salubrità ambientale, di pari dignità sociale ed economica, di effettiva coesione nazionale.
Questa Europa, al contrario, serve a quei paesi che riescono a indirizzare le politiche comuni in maniera da trarne benefici per le proprie economie (leggi Francia e Germania). L’Italia, in questo scenario, sembra quella terra di mezzo che lascia decidere gli altri per vedersi riconosciuta qualche briciola, facendo credere agli italiani, al suo interno, che in Europa conta e fa sentire la sua voce.
Questa non è sola ipocrisia, è la strada per indebolirci ancor più ed a rischio (per alcune posizioni belligeranti assunte) di avviarci verso una pericolosa deriva di coinvolgimento in questo drammatico scenario mondiale.
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In foto, il Parlamento europeo a Strasburgo

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