Qui sopra, Ferdinando Capuozzo. In alto, strada dissetata, Foto di Wolfgang Eckert da Pixabay 

Trasferimenti economici dallo Stato centrale agli enti territoriali, debito ingiusto, swap/derivati, Cassa depositi e prestiti, enti locali in pre-dissesto, riscossione imposte, aumento tasse locali. Un frasario apparentemente ostico ma che incide pesantemente sulle nostre vite e sull’economia delle famiglie italiane. Ne parliamo con Ferdinando Capuozzo, dottore commercialista e revisore legale.
Caro Nando, il discorso che faremo oggi non può non tener conto di cosa è successo negli ultimi 10 anni nel rapporto tra Stato centrale ed enti locali, in materia finanziaria. A un sostanziale aumento del debito pubblico italiano, di circa il 40%, i vari Governi hanno sottratto risorse agli enti locali per il 32%. Il paradosso è questo: nonostante si sottraggono risorse ai territori decentrati, comunque aumenta il debito dello Stato centrale. Ma che storia è questa?
«E’ una storia che deve essere conosciuta. Osservando i dati della Banca d’Italia sull’andamento del debito pubblico in Italia c’è un dato che deve allarmare tutti i cittadini. Se si osserva l’andamento del debito pubblico dal 2010 al 2020, per l’amministrazione centrale c’è stato un incremento del debito di circa il 40% mentre il debito delle amministrazioni locali è diminuito di circa il 36%. Nel 2020, in piena emergenza sanitaria, il debito pubblico dell’Amministrazione centrale è aumentato di 160 miliardi di Euro. Il Debito pubblico delle amministrazioni locali è diminuito di circa 1,2 Miliardi.
Il debito di tutte le amministrazioni locali nel 2010 incideva per il 6,4% sul totale del debito pubblico, oggi incide solo il 3,4%. Se limitiamo la valutazione ai soli Comuni, nel 2010, il loro debito incideva per il 2,55%, nel 2020 ha inciso solo per una percentuale inferiore al 1,50%. Il virtuosismo degli amministratori locali è stato evidente. Nonostante la diminuzione complessiva, il peso del debito sulla gestione finanziaria dei Comuni resta però diffusamente molto elevato e per tantissime amministrazioni comunali è ormai oltre l’ordinaria sostenibilità. In alcuni casi gli interessi passivi da pagare, prevalentemente alla Cassa Depositi e Prestiti, possono rappresentare anche il 18% della spesa corrente. Nel caso del Comune di Napoli gli interessi passivi hanno inciso mediamente sulla spesa corrente negli ultimi dieci anni per circa il 7,5%. Inoltre, la disparità nel costo complessivo del debito tra Enti locali e Stato sollecita urgenti interventi di flessibilizzazione del debito locale e di riequilibrio dei costi. Non è più differibile un’azione determinante da parte del legislatore per poter porre fine a tale situazione. Si perché mentre i Comuni sono costretti a raggiungere il pareggio di Bilancio e a rimborsare alle scadenze prestabilite il debito, lo Stato può farne a meno continuando ad espandere il debito con l’emissione di nuovi Titoli di Stato. Negli ultimi dieci anni, quindi, abbiamo avuto lo Stato Centrale che ha espanso a dismisura il debito pubblico ma ciò sarebbe stato logico se lo Stato avesse contributo, nel contempo, con maggiori trasferimenti agli enti locali. Paradossalmente è accaduto proprio il contrario. Nel 2020 rispetto al 2010 mediamente c’è stata una riduzione dei trasferimenti pari al 32%».
Il Sud, storicamente segnato da condizioni svantaggiate in quanto a redditi e ricchezza pro-capite, a fronte di minori trasferimenti statali, ha dovuto reperire denaro aumentando le tasse locali del 60%. In questo sistema finanziario arretrerà ancora di più rispetto ad altre parti del paese, mentre i cittadini si stanno sobbarcando un costo dei servizi locali “stellare”. Come si inverte questa spirale?
«Nel decennio che abbiamo ormai alle spalle la finanza comunale ha conosciuto un cambiamento strutturale di ampia portata, contrassegnata, negativamente, come già abbiamo detto da una significativa riduzione dei trasferimenti statali e da un contestuale robusto prelievo fiscale attraverso l’innalzamento di Imposte e Tasse locali, senza trascurare poi i vincoli finanziari molto stringenti ed una costante incertezza del quadro normativo di riferimento. Le Entrate Tributarie dei Comuni sono aumentate mediamente su tutto il territorio nazionale del 60,3%, così pure le Entrate Extratributarie hanno evidenziato un incremento di circa il 15%.  Bisogna tener conto inoltre che i Governi che si sono succeduti dal 2011 in poi hanno adottato i Decreti per la ripartizione dei tagli dei trasferimenti in modo alquanto intempestivo  e spesso  immediatamente prima del termine di approvazione dei bilanci di previsione. Ciò ha determinato un chiaro disorientamento negli Enti Locali, i quali non conoscendo le risorse sulle quali poter fare affidamento, con cospicuo anticipo, hanno di fatto reso vano  i presupposti di una seria programmazione. Questa condizione ha fatto sì, non solo che fosse difficile gestire la programmazione della spesa corrente, ma ancor più complesso è stato delineare le spese in conto capitale,dove la programmazione e la progettazione devono poter fare affidamento su un arco temporale ragionevolmente più ampio.
Per continuare a offrire il minimo dei servizi essenziali i Comuni hanno utilizzato la leva del prelievo fiscale. Ad esempio il Comune di Napoli fino al 2010 faceva affidamento, per la parte delle entrate solo su circa il 30%, sul prelievo fiscale diretto ai cittadini. Nel 2019 il 61% delle entrate del Comune derivano direttamente dai cittadini. Si è praticamente stravolto il sistema delle Entrate. L’aumento del prelievo fiscale ha inevitabilmente aggravato il già precario sistema della riscossione. Questo è successo a Napoli, in modo molto evidente, e non a caso è successo nelle aree del nostro Paese a più basso reddito pro-capite. Ed in particolare in Calabria, Sicilia e Campania dove sono concentrati, non a caso, il maggior numero di Enti Locali in deficit strutturale.
La capacità di riscossione è un indicatore fondamentale ai fini dell’indagine sullo stato di  salute finanziaria di un  Ente. In Italia la capacità di riscossione mette ancora in evidenza un divario tra i Comuni appartenenti alle Regioni del Nord rispetto a quelle del Sud.
Con il 68,48% l’Emilia Romagna risulta la Regione nel cui territorio ricadono i comuni con una più forte capacità di riscossione, seguiti da quelli del Veneto (67,42%), Liguria (62,32%) e Lombardia (60,18). In un contesto così difficile, ma nello stesso tempo chiaro, trovare le soluzioni è difficile. Una cosa è certa, occorre migliorare la macchina della riscossione. Se è vero che esiste una fetta di popolazione che ha serie difficoltà a pagare i Tributi Locali, è vero anche che il sistema della Riscossione è inefficiente».
Oltre a notare che lo Stato centrale ha letteralmente abbandonato i Comuni, bisogna dire anche che quest’ultimi, specialmente nel Mezzogiorno, hanno una bassa capacità di riscossione. Se da un lato prospettano un’autonomia finanziaria, dall’altro non sono in grado di farsi pagare il dovuto dai cittadini. Oltre alla filosofia, cosa si può concretamente fare sul punto?
«Oggi, lo Stato, non è né centralistico, né autonomistico e presenta non poche incertezze, come ho già detto, nel  riparto delle risorse e talvolta anche delle competenze. C’è stata una interpretazione deviata di Autonomia Fiscale che  non ha tutelato in maniera adeguata gli Enti Locali ed ha esposto i Comuni a serie difficoltà finanziarie, soprattutto nelle aree più depresse economicamente. Si dovrebbe tener conto che in alcune aree di questo paese è difficile riscuotere per vari motivi e lo Stato Centrale dovrebbe supportare maggiormente i Comuni che hanno maggiore difficoltà a riscuotere. Le azioni andrebbero calibrate in base alle effettive difficoltà dei Comuni tenendo conto anche della effettiva capacità contributiva e del reddito pro-capite.
Analizzando, ad esempio, il Rendiconto 2019 del Comune di Napoli sono gli stessi uffici ad ammettere che le banche dati da cui trarre gli avvisi di accertamento avrebbero bisogno di una bonifica. A questo va aggiunta la continua riduzione delle risorse umane disponibili per effetto di pensionamenti e mancato turnover, oltre  le difficoltà oggettive e finanziarie di esternalizzazione del servizio».
Gli enti locali in pre-dissesto hanno in pancia i cosiddetti crediti di dubbia esigibilità, tanto al Nord quanto al Sud. Con buona approssimazione: quello che si dice di spendere avviene e quello che si dice di incassare non accade (bilanci preventivi). Così facendo aumenta il disavanzo. Cosa fa il legislatore nazionale a tal proposito?
«Con l’introduzione della contabilità armonizzata si è fatto un intervento strutturale di portata enorme soprattutto sul trattamento contabile dei crediti dell’Ente, tecnicamente definiti Residui attivi. Diciamo che l’introduzione del Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità (FCDE) in contabilità finanziaria deve intendersi un fondo rischi diretto ad evitare l’utilizzo di entrate di dubbia e difficile esazione. In tale principio si precisa che a fronte dei crediti di dubbia e difficile esazione, accertati nell’esercizio, nel bilancio di previsione deve essere stanziata un’apposita posta contabile, denominata” accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità”, il cui ammontare è determinato in relazione alla dimensione degli stanziamenti relativi ai crediti che si prevede si formeranno nell’esercizio, della loro natura e dell’andamento del fenomeno nei precedenti cinque esercizi. Diciamo che il FCDE è stato introdotto proprio per evitare che gli Enti Locali peggiorassero la loro situazione nel tempo. E’ stato creato apposta come presidio dell’aumento del disavanzo. Ma quando viene applicato nei Comuni dove la riscossione è storicamente più bassa riduce la capacità di spesa dell’Ente. Non a caso nelle Regioni del Sud l’FCDE può incidere anche per circa l’8% rispetto alle spese correnti. Il legislatore da un lato, quindi, ha creato le condizioni per dare una svolta seria alla rappresentazione dei Bilanci e dall’altro ha impedito di spendere per offrire servizi adeguati. Anche in questo caso il divario Nord e Sud mette in evidenza che c’è una parte del paese che ha assorbito l’armonizzazione contabile senza grossi traumi e c’è il sud che ha mal digerito il contraccolpo e la percezione dei cittadini è quella di ricevere meno servizi a costi più elevati».
A proposito, mi pare di aver notato che il Presidente del Consiglio – Mario Draghi – nel discorso di insediamento del nuovo Governo non abbia mai citato la parola “enti locali”: è parso anche a te? 
«Purtroppo sì. E’ vero che la priorità è affrontare la crisi sanitaria ma è anche vero che i Governi negli ultimi anni hanno abbandonato gli Enti Locali. Secondo me commettendo un errore non di poco conto. L’inefficienza dei servizi offerti dai Comuni sono percepibili in ogni momento della nostra giornata. Dalle buche per strada, dalla cattiva o inesistente manutenzione del verde pubblico, dall’inefficiente sistema di mobilità e potremmo continuare. Chi volutamente si dimentica degli Enti Locali commette un errore grossolano. I Comuni sono gli enti territoriali di massima prossimità, i terminali più remoti del potere amministrativo dello Stato, allo stesso tempo, il primo livello della democrazia rappresentativa e andrebbero messi in condizioni di poter agire perché sono il luogo principe in cui si può approfondire la questione dei beni comuni, nel loro nesso con le funzioni fondamentali di uno Stato».
Per finire, la vicenda dell’indebitamento dei Comuni mi pare si possa definire come una vera e propria “patologia finanziaria”. I dissesti finanziari, con questo quadro di regole, erano irrisolvibili già prima della pandemia. A tutt’oggi, si deve continuare a pensare di avere una ricetta di risanamento economico uguale per tutto il territorio nazionale, oppure azzardare soluzioni diversificate e flessibili, cioè caso per caso affrontare il problema?
«Si è vero è giusto parlare di “patologie finanziarie”. E come per ogni patologia che si rispetti occorre individuare la cura giusta. Per questo motivo sarebbe opportuno introdurre, a livello legislativo, uno strumento dinamico di valutazione dello stato di salute di un Ente. Un esempio sarebbe quello di osservare  l’evoluzione di un ente,  in  un  arco  temporale  adeguato, di  una  serie  di  indicatori e variabili, individuati ed individuabili che caratterizzano l’Ente sottoposto a controllo e confrontando  l’andamento  degli stessi paragonandoli  con  l’andamento registrato per Enti omogenei. Prevedendo, al tempo stesso, interventi correttivi obbligatori in corso d’opera e non attendere i valori definitivi che confluiscono nei Rendiconti. In altre parole la «cura» dovrebbe essere specifica per la patologia e andrebbe valutata dinamicamente. Solo in questo modo si eviterebbero di creare ulteriori fratture tra aree più ricche del nostro paese ed aree più povere.
Le sfide difficili, acuitesi con la crisi sanitaria, andranno affrontate con la flessibilità e la dinamicità di un Paese pronto a superare un momento molto difficile. Si avverte che il modo di dire che è appartenuto alla nostra generazione “il mondo sta cambiando”, deve essere sostituto con quello più adatto a seguito della pandemia “il mondo è cambiato”. Questa consapevolezza dovrebbe indurre il Legislatore nazionale a sostenere decisamente gli Enti Locali anche per salvaguardare la democrazia di questo Paese e dare piena attuazione a quanto la nostra Carta Costituzionale prevede».
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