Nella foto in copertina, Jean Bourdichon
(?1457 – Tours, 1521)
Trittico della Madonna con il Bambino
1501-1504. Qui sopra, Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, e bottega
(Perugia1456 circa – Siena, 1513) Assunzione della Vergine 1508-1510 circa
Olio su tavola, cm 278 x 173
Napoli Museo e Real Bosco di Capodimont
e

 Gli Spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale a cura di Riccardo Naldi, docente di Storia dell’arte moderna all’Università L’Orientale di Napoli e Andrea Zezza, docente di Storia dell’arte moderna all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” sarà ospitata nella sala Causa dal Museo e real bosco di Capodimonte fino al 25 giugno. Il progetto espositivo è stato realizzato in partenariato con il Museo Nacional del Prado. Dopo la prima parte, sul nostro portale continua il racconto dell’esposizione catturato dallo sguardo di Carmine Negro.

Maestro del Retablo di Bolea Attivo tra l’ultimo decennio del XV secolo e il primo del XVI secolo, Adorazione del Bambino, Primi anni del XVI secolo, Olio su tavola cm 90X 64
Atri Museo Capitolare

SECONDA PARTE

L’acquisizione del conteso Regno di Napoli alla Corona ispanica consegna alla Spagna un possedimento ricco e strategicamente importante nella lotta per il predominio in Europa. Come ai tempi del Magnanimo la città si ritrova al centro di un complesso impero mediterraneo e prende il ruolo di avamposto sia per la propagazione dei costumi spagnoli in Italia che per la diffusione del Rinascimento in Spagna.
Napoli ha uno sviluppo artistico e culturale originale per la vocazione cosmopolita che è capace di attrarre artisti di varia provenienza, per la riflessione sul valore esemplare dell’antico[1], che unisce artisti e committenti, e per il valore attribuito alla magnificenza dei materiali, soprattutto marmi. è la sede del quello che viene definito il Rinascimento napoletano una declinazione dell’arte rinascimentale sviluppatasi in città tra il XV e il XVI secolo.
Ferdinando il Cattolico, che conquista Napoli, impone l’egemonia spagnola nel Mediterraneo e apre l’età delle spedizioni oltreoceano, è un sovrano capace sia in politica che in diplomazia. Guarda alle vicende napoletane con attenzione perché Napoli non simboleggia solo una conquista, ma rappresenta una grande capitale, colta e raffinata ed ha una storia che rimanda ad una dinastia familiare: quella aragonese.


Maestro del Retablo di Bolea, Attivo tra l’ultimo decennio del XV secolo e il primo del XVI secolo, Flagellazione di Cristo, Primi anni del XVI secolo, Olio su tavola cm 88X 61
Atri Museo Capitolare


Ha un difficile rapporto con il duca Gonzalo Fernández de Córdoba[2], primo viceré, così quando alla fine del 1505 il Gran Capitano rifiuta di eseguire gli ordini reali e cioè far ritorno in Spagna, decide di recarsi personalmente a Napol[3].
Nel suo viaggio fa tappa a Genova e lì incontra il duca, venuto con le sue galere a ricevere il re e a scortarlo nel viaggio verso il regno. Accompagnato dalla seconda moglie Germana di Foix entra nella capitale tra magnifici festeggiamenti[4] il 1° novembre 1506 e vi si trattiene fino al 4 giugno 1507. Salutato dall’artiglieria dei castelli della città e da quella delle navi del porto, viene ricevuto dai feudatari del regno.
Quando sbarca in città, attraversa un pontile di legno ed un arco di trionfo sulla riva, costruiti per l’occasione, garantisce di conservare tutti i privilegi del regno, dichiara il condono delle imposte arretrate ed infine, alla testa di un lungo corteo, percorre le strade principali della città. Questo modello cerimoniale che utilizza architetture effimere e pitture per celebrare il trionfo alla maniera degli antichi è molto apprezzato e immediatamente importato in Spagna.
Tutte le cronache del tempo si soffermano sullo sfarzo dei reali: lui ha un vestito color cremisi con un ricco collare ed una berretta di velluto nero mentre la regina indossa un vestito di broccato ed un mantello verde di foggia francese. I due sovrani cavalcano due cavalli bianchi sotto un baldacchino le cui aste sono tenute dai membri del Seggio del Popolo mentre i nobili reggono le redini delle cavalcature regali.
Il 30 gennaio 1507 riunisce il Parlamento Generale del Regno, nella sala del refertorio del Convento di San Lorenzo e dopo aver dichiarato di considerare la corona di Napoli, cosa nostra legittima e hereditaria, illustra il suo progetto di riforma politico-amministrativa, con una netta separazione tra baronaggio ed  organi ministeriali delle corti di giustizia regia[5].
Nel suo soggiorno napoletano, il monarca nomina personalmente gli uomini fidati per le cariche pubbliche. In questo rinnovo del governo non c’è più spazio per il Gran Capitano, alter‐ego autoritario del sovrano e politico pactista con il patriziato urbano, che viene rimosso dalla carica di viceré.
Al nuovo viceré, Giovanni d’Aragona, Conte di Ripacorsa[6], raccomanda «di trattare con riguardo gli eletti della città, senza curarsi di dar precedenza alla nobiltà, evitando quindi di cadere negli errori commessi da Ferrante». Un’accortezza utilizzata anche quando chiede di annullare la decisione del successivo viceré Raimondo de Cardona di introdurre l’Inquisizione nel Regno, visto che il popolo è in tumulto. Accorto in politica interna, è altrettanto scaltro in quella estera: approfitta della debolezza di Venezia per riacquisire i porti pugliesi. Sottratta all’anarchia baronale, alle prepotenze veneziane, alle minacce turche e francesi Napoli si avvia su un nuovo percorso politico.
La nuova situazione politica, oltre  a confermare la capacità di attrarre artisti di ogni provenienza favorisce l’arrivo e l’affermazione di artisti iberici già presenti in altre regioni, che trovano in Napoli uno spazio dove esercitare le loro abilità.
Tra i primi ricordiamo gli artisti Jean Bourdichon e Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio per i secondi il Maestro del Retablo di Bolea e Pietro Fernandez.
Il Trittico della Madonna con il Bambino e Crocefissione nello scomparto centrale, con San Giovanni Battista e San Michele Arcangelo nello scomparto di sinistra e S. Giovanni Evangelista e S. Giorgio nello scomparto di destra, ha avuto varie attribuzioni. Jacques Dupont[7], durante una visita al Museo di Capodimonte, lo riconosce come opera di Jean Bourdichon, pittore e miniatore attivo a Tours, al servizio di quattro re di Francia da Luigi XI a Francesco I.
I restauri condotti nel 1928 e 1956 hanno consentito la ricomposizione originale dato che, nel corso degli anni, erano stati separati i pannelli laterali dalla tavola centrale. Lo stile di questa tempera su tavola, eseguita nel 1304, poco prima dell’arrivo a Napoli, ha molti punti di contatto con le miniature da lui realizzate in quegli anni: il Libro d’ore di Federico d’Aragona[8], destinato all’ultimo sovrano aragonese di Napoli, in esilio in Francia dal 1501 al 1504 e le Grandi Ore di Anna di Bretagna[9].
Entrambe le opere, realizzate tra il 1503 e il 1508, sono a Parigi e fanno parte della raccolta di opere  della Bibliothèque nationale de France. Il dipinto e le miniature condividono il loggiato rinascimentale che inquadra il paesaggio alle spalle della Madonna con il Bambino, il posizionamento delle figure e la struttura dei volti.
Il committente dell’opera è probabilmente Federico d’Aragona, negli anni dell’esilio transalpino. La presenza dei santi Michele Arcangelo e Giorgio nei due pannelli superiori può esser collegata alla venerazione degli Aragonesi per i due santi, mentre la veduta di Tours con gli edifici religiosi sullo sfondo della lunetta centrale può essere messa in relazione con il soggiorno dell’Aragonese in questa città. La presenza del dipinto a Napoli, prima della morte di Federico avvenuta il 9 novembre 1504, sembra ipotizzare che sia stato inviato in città, tramite un esule rientrante, come il miniatore Giovanni Todeschini, il cui ritorno in città nel 1503 precede di poco l’attestata presenza del trittico nell’ex capitale del Regno[10].
È Vasari a ricordarci che A Monte Oliveto di Napoli alla  cappella di Paolo Tolosa è di mano del Pinturicchio una tavola di un‘Assunta[11]. La pala d’altare, commissionata proprio da Paolo Tolosa, ricco mercante catalano, a seguito della soppressione del Monastero di Monte Oliveto venne spostata, nel 1801, nella Real Galleria di Francavilla[12]. Entra, poi, nella Collezione del Real Museo Borbonico[13] e successivamente in quella del Museo di Capodimonte aperto al pubblico nel 1957.

Maestro del Retablo di Bolea, Attivo tra l’ultimo decennio del XV secolo e il primo del XVI secolo, Compianto sul Cristo morto, ante 1503, Bolea (Huesca), Collegiata di Santa Maria la Mayor, dall’altare maggiore


È stata realizzata molto probabilmente tra il 1508 ed il 1510 a Roma quando, insieme a Perugino e Raffaello, è chiamato da Giulio II ad affrescare la volta del coro di Santa Maria del Popolo.
La raffigurazione in Assunzione della Vergine segue uno schema iconografico affermato dal Perugino nella pittura umbra del tardo Quattrocento. In alto c’è la Vergine assunta in cielo racchiusa in una mandorla dorata circondata da cherubini, angeli musicanti ed adoranti mentre in basso i dodici apostoli sono radunati attorno a S. Tommaso, inginocchiato in adorazione, dopo aver ricevuto da Maria la cintola.
La parte celeste e quella terrena sono nettamente distinte con le nuvole a sorreggere la parte divina mentre un paesaggio collinare, molto dettagliato, fa da sfondo ai discepoli posti in primo piano. Il Pinturicchio, che si caratterizza per una cura rigorosa nella rappresentazione del dettaglio ed una stesura preziosa della materia pittorica, descrive i personaggi con raffinata precisione ed eleganza classica; quest’ultima trae origine nello studio appassionato delle antichità romane da parte del pittore[14].
  Il Maestro del Retablo di Bolea, pittore e miniaturista, autore del Breviario Messale donato da un religioso napoletano a Fernando il Cattolico, durante la sua visita in città, attivo in Abruzzo, a Montecassino ma anche in Spagna, a Bolea in Aragona, è un artista di cui non si conosce né il nome né la patria. La sua cultura, caratterizzata in senso italiano ma con evidenti legami con artisti spagnoli, rappresenta ciò che unisce le due sponde del Mediterraneo e l’apertura degli spagnoli al linguaggio rinascimentale.
In Adorazione del Bambino un imponente edificio, in parte diroccato, ha al centro un arco a tutto sesto, che incornicia un panorama illuminato dalla luce delle prime ore del mattino. Il paesaggio di pacata armonia, che ricorda Pietro Perugino, è costituito da un rilievo roccioso, due giovani alberi ed una città in lontananza. In primo piano, in semicerchio intorno al Bambino ci sono: S. Giuseppe, la Vergine in Adorazione e due angeli inginocchiati; dietro di loro: due angeli ed un pastore con una pecora sulle spalle.
È uno slargo cittadino delimitato da un edificio porticato, su cui si apre un terrazzo, la scena in cui si svolge la Flagellazione di Cristo. Sulla terrazza sono dipinti tre soldati in conversazione e due figure maschili: la prima guarda il supplizio e l’altra segue la conversazione tra Pilato, riconoscibile dallo scettro, e un uomo anziano, forse il fariseo Nicodemo che nel Sinedrio tenta di difendere Cristo. In primo piano accanto a due spettatori c’è Cristo legato al una colonna marmorea, sormontato da una statua di bronzo, mentre subisce le violenze di due scherani.
La rappresentazione del corpo del Cristo e di uno dei due scherani sembrano indicare il vivo interesse del pittore per gli studi di nudi di Antonio del Pollaiolo. Le due opere, di grande qualità, sono state commissionate, presumibilmente, per una Cappella  fondata nel Duomo di Atri nel 1503.
La tavola su cui è dipinta l’opera Compianto sul Cristo morto è una delle diciotto che compongono il retablo[15] Storie della Vergine e della Passione di Cristo dell’altare Maggiore della Collegiata di S. Maria la Mayor di Bolea (Huesca – Spagna). Per la monumentale opera completata nel 1503, di cui non si conosce il committente, sono stati proposti, senza successo, molti nomi.
L’autore di sicuro è aggiornato sulla pittura italiana degli ultimi venti anni del Quattrocento, ha una solida cultura prospettica ed utilizza colori squillanti palesando l’influenza di vari autori. L’equilibrio della composizione, la scioltezza del disegno, l’abile stesura della superficie pittorica e la luminosità ottenuta con dei colori molto diluiti rendono il pannello Compianto del Cristo morto di una qualità molto alta. Il palo della croce che divide la scena al centro sembra comporre visivamente una croce capovolta con il corpo di Gesù disteso sul sudario in primo piano.
Le lacrime aggiunte sulla superficie pittorica intensificano l’immagine di un dolore contenuto e silenzioso. Sulla destra sono dipinti Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo che ancora impugnano il martello e i chiodi mentre sulla sinistra a dominare la scena c’è la Maddalena modello Botticelli. Sfoggia un abito all’ultima moda: sotto un pesante broccato lascia intravedere una camicia di seta bianca.
Dello stesso autore c’è il manoscritto proveniente dalla Biblioteca Nazionale dei Girolamini con miniature su pergamena che, come per le due tavole di Atri, ha come committente Amedeo III Acquaviva, duca d’Atri. Il frontespizio mostra Plinio in atto  di scrivere in un portico sostenuto da pilastri decorati all’antico e aperto sul paesaggio. Ai lati sei riquadri tre a destra e tre a sinistra, parzialmente coperti dal finto manoscritto,  oltre ad uno nella specchiatura centrale del basamento. Ed ancora l’Antifonario B e l’Antifonario C provenienti dall’Archivio dell’Abbazia di Montecassino decorati dal Maestro mentre lavorava al Breviario per Ferdinando il Cattolico.
L’abbazia è cara a Gonzalo Fernandez de Cordoba; secondo tradizione S. Benedetto è apparso in  sogno, alla vigilia della battaglia di Cerignola, promettendogli la vittoria a una condizione: deve liberare la comunità dalla commenda, ossia il diritto di beneficiare dei beni dei monaci, detenuta da Giovanni de Medici futuro Leone X.
Pedro Fernández, originario di Murcia, in Spagna, attivo tra la fine del Quattrocento e il primo quarto del Cinquecento, prima confuso con il Bramantino e poi studiato e conosciuto come Pseudo-Bramantino, si è formato nell’ambiente lombardo prima di venire a Napoli.
La tavola Adorazione dei pastori, forse concepita per decorare l’altare di una cappella privata vede in primo piano la Vergine colta in ginocchio con una veste scarlatta e con insoliti ed eleganti polsi in pelliccia, segno di una committenza altolocata. Un lembo della veste ricopre il giaciglio su cui giace un Bambino paffuto. San Giuseppe, anziano accigliato e scapigliato regge in mano una candela assicurandosi di proteggere la fiamma con l’altra mano.
A sinistra in secondo piano due pastori irrompono sulla scena, si dirigono verso l’edificio in rovina della capanna ignari di trovarvi solo il bue e l’asino. Il primo è incappucciato e l’altro, dal volto segnato, porta un capretto in spalla. La costruzione, con la sua arcata frontale, consente di osservare il retro lambito da un fiume, mentre su una loggia che funge da cantoria tre angeli sono in attesa di poter eseguire lo spartito srotolato sulla balaustra.
Sulla sponda opposta del fiume si apre una veduta di colline e di montagne dai colori freddi dove è raffigurato un borgo fortificato. In un sentiero, tra le rocce, si intravede il corteo dei Re Magi che seguono la scia della cometa riflessa nell’acqua inviata da un radioso Dio Padre apparso tra le nuvole. Per Odette d’Albo (2017) l’idea della rovina architettonica come fondale e certe fisionomie come quella di San Giuseppe o del pastore dalla testa caricaturale avvicina l’opera all’Adorazione dei pastori di Villahermosa, dello stesso autore, e portano ad ipotizzare come datazione il 1504-1506. Per Riccardo Naldi (2021) la difficolta del dipinto a governare l’impianto prospettico e a modellare incarnati e superfici secondo quella luce più rischiarata che ricorre nell’Adorazione di Villahermosa e del polittico di Caponapoli porta ad anticipare la datazione al1500[16].
La tavoletta Sacra Famiglia, concepita per una devozione individuale ed arrivata alla Vàrez Collection di Madrid dopo vari passaggi in asta, è stata solo ultimamente attribuita a Pedro Fernandez.
Lo schema compositivo, costituito da una quinta architettonica che funge da capanna della Natività a destra, uno sperone di roccia a sinistra e le catene montuose all’orizzonte, porta a ritenere che il titolo Sacra Famiglia è più adatto rispetto a Riposo durante la fuga in Egitto che pure è stato talvolta utilizzato come nome dell’opera. La Vergine dipinta a terra con la sua forma piramidale con il suo manto rossastro domina la scena mentre sostiene affettuosamente il figlio per un fianco e tiene un piedino sollevato.
Un po’ più dietro San Giuseppe è rappresentato ingrugnito e con le gambe incrociate contro un albero secco. Il quadro condivide con un altro dipinto di Fernandez, la Madonna e i Santi di San Gregorio Armeno a Napoli, una natura umida e incolta, di matrice leonardesca, in cui aleggia un’atmosfera palustre.
Le ultime opere attribuite al pittore permettono di conoscere meglio il percorso dell’artista e distinguere più chiaramente i lavori eseguiti in Lombardia e quelli più maturi, realizzati a Napoli. Il riferimento epigrafico a papa Giulio II, riportato sulla quinta architettonica, permette di registrare un transito di Fernandez per Roma, prima dell’arrivo al Sud.
La Sacra Famiglia può anche essere interpretata come una testimonianza del periodo romano dello spagnolo, non di molto successiva all’elezione del pontefice, salito al trono nel 1503.  Si può anche ipotizzare come destinatario un membro vicino alla corte papale della famiglia Della Rovere interessato all’architettura classica da celebrare come fondatore di una nuova Roma imperiale.[17] Ancora una volta un quadro può servire a raccontare rapporti e relazioni tra gruppi di potere, rivelare l’arte del governo di uno stato e di un territorio.
(2.continua)
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NOTE

[1] Incarnata principalmente da Giovanni Pontano e Iacopo Sannazaro

[2] Gonzalo Fernández de Córdoba viene nominato Viceré dal 1503 al giugno

[3] Angela Testa El itinerario del Gran Capitán en Nápoles a través de la correspondencia diplomática Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea numero 5/II n. s., dicembre 2019 pp. 67-111.

[4] Cerone, Francesco  (1915) ‘Corrispondenza dei Re Cattolici col Gran Capitano durante la campagna d’Italia’, Archivio Storico per le province napoletane, serie NS, I, pp. 386‐402.

[5] Cernigliaro, Aurelio (1984) Sovranità e feudo nel Regno di Napoli (1505‐1557) 2 volumi, Napoli: Editore: Jovene p. 42

[6] Giovanni d’Aragona, Conte di Ripacorsa viene nominato viceré dal 4 giugno 1507 al giorno 8 ottobre 1509

[7] J. Dupont Un tryptique  di Jean Bourdichon au Musée di Naples in Monuments et memories de la Foundation Eugene Piot, 35, 1935 1-2 pp. 179-188

[8] Horae all’uso domenicano, per Federico d’Aragona, con 64 grandi miniature. (Parigi, Bibl. Nat.)

[9] Il Grande Libro d’Ore di Anna di Bretagna miniato da Jean Bourdichon commissionato da Anna di Bretagna, regina di Francia consorte di Carlo VIII dal 6/12/1491 al 7/04/1498 e di Luigi XII dal 8 /01/1499 al 9 gennaio 1514.

[10] Teresa D’Urso “Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale” Catalogo Mostra Editore Artem pag.158-159

[11] G. Vasari La vita dei più eccellenti pittori, scultori e architettori Firenze, Giunti, 1568  ed . curata da R. Bettarini, P. Barocchi Firenze 1996-1997 p. 500.

[12] Il Palazzo Cellammare chiamato anche palazzo Francavilla è un antico palazzo nobiliare di Napoli eretto nel Cinquecento e situato in via Chiaia. Tanti gli ospiti illustri ospitati nel palazzo: tra questi, Giacomo Casanova, Goethe e Torquato Tasso, oltre a essere stato l’ultima dimora napoletana di Caravaggio, prima della sua partenza per Porto Ercole, dove morì. Nel Novecento fu l’ultima dimora del grande matematico Renato Caccioppoli.

[13] Il Real Museo Borbonico è l’attuale Museo Archeologico Nazionale di Napoli MaNN.

[14] Alessandra Ruffo Catalogo mostra opera citata pp. 160-162

[15] Retablo è il termine spagnolo che ha etimologia latina, dalla locuzione re(tro)tabulum altaris (tavola dorsale dell’altare) e indica una grande pala d’altare. Può essere costituito da un dipinto su tavola a scomparti che a seconda delle parti di cui si compone può essere un dittico, un trittico o un polittico.

[16] Orazio Lovino  Catalogo mostra Opera citata pp. 177-178

[17] Orazio Lovino Catalogo Mostra pp.180-182

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