Bring me back. E’ la doppia esposizione proposta dalla galleria Paola Verrengia  a Salerno. Una personale dell’artista Mrdjan Bajic, a cura di Antonello Tolve, ospitata in due sedi, la gli spazi della stessa galleria Verrengia (Via Fieravecchia, 34) e il Museo Archeologico Provinciale di Salerno (Via San Benedetto, 28).
La mostra, che espone un ciclo di opere realizzate da Bajic tra il 2011 e il 2018, resterà allestita al Museo archeologico fino al 14 maggio e nella galleria Verrengia fino al 3 giugno.
Bring me Back pur essendo divisa in due sedi molto diverse fra loro, uno spazio che si occupa di arte contemporanea e un museo interamente dedicato all’archeologia, è pensata come un’unica esposizione: una macchina del tempo che crea interferenze tra la consistenza del passato e il deterioramento del contemporaneo.


L’artista serbo Mrdjan Bajic, classe 1957, nasce a Belgrado, città in cui vive e lavora come professore ordinario di Scultura presso la Facoltà di Belle Arti. Questa non è la sua prima collaborazione con la galleria Verrengia ma il sodalizio risale addirittura al 2007, con la mostra Backup stories, tenutasi a Salerno dopo la sua partecipazione alla 52ᵃ Biennale di Venezia in qualità di rappresentante del padiglione Serbia.
Bring me back, Riportami indietro. Il titolo viene da un’opera esposta in cui una testa di cavallo in alluminio è legata sopra un tipico double-decker inglese. Quest’opera racconta una storia, quella delle sculture del Partenone sottratte alla Grecia nel XIX secolo ed esposte a Londra, al British Museum. L’artista si trova a immaginare una situazione utopica: il bus rosso riporta a casa la testa del Cavallo di Selene, una delle sculture sottratte ad Atene e portate in Inghilterra da Lord Elgin fra il 1801 e il 1804.
Spiega il curatore: «Automobili, pupazzi e bambolotti infantili, calchi, granate, lacci, globi e palloni, autobus o spiritose vanitas invadono la scena per tratteggiare un discorso plastico e polimaterico dove contesto e causalità si uniscono grazie a un – sempre abile e generoso – cortocircuito che mostra il volto di una ironia spigolosa, effervescente».
Nove sculture di piccole e medie dimensioni sono esposte in galleria insieme ad alcuni disegni. Presso il Museo Archeologico provinciale, invece, troviamo altre 10 piccole sculture e, fra i resti del quadriportico medievale, l’installazione Facciamo finta di niente, un’opera di grandi dimensioni realizzata nel 2018. La vespa acquistata da Bajic negli anni Ottanta a Pančevo (centro dell’industria chimica della Serbia) è indice di un malessere che parte dalla fine della Jugoslavia ma riguarda l’intero pianeta.
Il globo trasportato sulla vespa è deformato, come i pomodori geneticamente modificati a seguito della catastrofe nucleare avvenuta a Fukushima nel 2011 o, ancora, come ad evidenziare lo spostamento delle placche tettoniche con le sue conseguenze. All’interno della colonna che sorregge il costretto mappamondo vi è una spia luminosa a sua volta collegata ad un termometro: al cambio di temperatura dell’ambiente circostante si accende in riferimento ai due gradi centigradi della crisi globale.
Le opere in mostra raccontano la politica internazionale e i giochi di potere, le mire espansionistiche della Russia, Trump, la relazione fra l’Africa e l’Europa sulla gestione delle risorse e tanti altri sono gli spunti offerti con amara ironia all’osservatore.  «Bajic – conclude Tolve – mette insieme le parti di un ragionamento infinito sulla memoria con progetti dove il ricorso a tecniche quali il collage e l’assemblage si fa sempre più urgente, sempre più legato a una volontà di ricucire alcuni strappi storici e contestualmente di creare spostamenti oggettuali, disorientamenti che seducono, fino a spingere in una illusione che ammalia e distrugge l’illusione stessa».
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In alto e al centro, l’artista con le sue opere

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