Gli anni, il dolore, la nostalgia. Il senso di una vita che scorre inesorabilmente e non si si può fare nulla per fermarla: sono le architetture dei sentimenti alle quali dà corpo (letterario) Francesco Divenuto nella raccolta pubblicata dalla case editrice La valle del tempo dal titolo “Un giorno lungo una vita. Storie di tanti e di noi stessi” che l’autore presenterà al pubblico domani pomeriggio, mercoledì 8 maggio (alle 18) alla libreria Feltrinelli di Napoli, in piazza dei Martiri con Francesco D’Episcopo e Donatella Gallone.
Sulla copertina, uno scatto di Massimo Velo che ritrae uno camera affollata da teli di plastica sugli arredi per tentare proteggerli dalla polvere. Nella quarta, l’immagine viene commentata da versi struggenti, carichi di memorie: Anche la nostra mente, spesso,/ si ricopre di silenzio/ poi basta una foto o una notizia/ a risvegliare pensieri/ che credevamo perduti.
Diciannove i racconti che Divenuto, già professore ordinario di architettura all’Università partenopea Federico II, propone a chi legge con stile avvolgente. Spesso l’imprevisto suscita meraviglia e a volte lascia l’amaro in bocca.
Come, per esempio, in Carmen e il professore. Nessuno è perfetto. Non a caso c’è la figura del professore: lo incontriamo spesso nella narrazione di avvincenti quadri della quotidianità. In questo di cui scriviamo, lo troviamo in una gelida serata napoletana: chiede a una ragazza che sosta nella strada deserta di poter parlare con lei e gentilmente le chiede di fargli compagnia. Coprirà per intero la sua tariffa a causa dei clienti sottratti, in cambio di una cena in pizzeria, in quella solita dove andava quando era ancora docente universitario.
Il dialogo è gentile, misurato, calibrato: i due si svelano attraverso la conversazione e alla fine, congedandosi, la sconosciuta, che diceva di chiamarsi Carmen, svela la propria vera identità: all’anagrafe è Antonio. Si salutano sorridenti, lui prende il taxi, lei va per conto suo. Ma il destino di Carmen è in agguato e il professore non saprà mai quale…
Un finale più leggero, invece, per “Il vaso cinese” che fotografa la cupidigia famigliare intorno ai beni lasciati dai nonni narrata dal protagonista che col cuore si distacca da quella danza dell’avidità e del possesso: ma ancora una volta sarà la vita a creare caos nei desideri (in)espressi con uno sgambetto che farà sorridere.
E uno spiraglio al sorriso lo lascia aperto anche il racconto “Nel Museo… non tutti dormono” dove Luigi il vecchio custode è spiazzato da insolite presenze che lo turbano all’inizio e poi suscitano in lui un’infinita tenerezza.
La tenerezza è una presenza palpabile in queste pagine: le persone descritte si muovono sull’onda delle emozioni, di quello che hanno vissuto, in cerca di un passato , a volte inspiegabilmente inciso nei pensieri: viene fuori all’improvviso, spinto da un dettaglio, in apparenza insignificante, in realtà colmo di reminiscenze.
Francesco Divenuto ci ricorda in ogni passo di lettura le nostre fragilità e non possiamo che mostrargli gratitudine per il garbo con cui rammenta all’umanità tutta, partendo da sé, che il cinismo e la crudeltà la divorano. E che rivedere i propri errori (e quando si può persino correggerli) è davvero indispensabile.
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