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Qui sopra , la copertina del libro. Sopra, un palcoscenico vuoto

Inserita nella collana dedicata al Teatro della Serie oro ideata e diretta dalla scrittrice e giornalista Anita Curci, La serva del Principe di Manlio Santanelli, edizioni Kairòs, pagg. 110, euro 15, è una drammaturgia, ironica e pungente, che si accosta a un classico, Il Principe di Niccolò Machiavelli.
Il libro, che porta la prefazione della professoressa Antonia Lezza, si suddivide in due tempi e vari quadri, e racconta in maniera fantasiosa come può essere avvenuta la stesura della celebre opera Il Principe da parte dell’autore fiorentino. L’impresa è posta in un contesto quotidiano dove la governante dello scrittore, la giovane e bella Berta, donna del popolo, saggia e sagace, con genuinità e buon senso lo aiuta e lo incoraggia nei momenti di sfiducia.
Il confronto tra Berta e il Machiavelli della pièce, racchiuso nell’ambiente circoscritto dello studio, mette in risalto quella dialettica tra governatore e popolo che è l’essenza del trattato politico stesso mettendo per certi versi in crisi, nelle pratiche ordinarie di ogni giorno, quelli che sono gli assunti teorici che Machiavelli va formalizzando nel suo testo.
Il linguaggio utilizzato è molto vicino al classico rinascimentale, eppure rimodernato, rivisitato, contaminato da quella estrosità linguistica, tipica di Santanelli, che tutti riconoscono.
A definire l’opera è proprio l’autore, Manlio Santanelli: «È difficile incontrare un’opera più ambigua del Principe di Niccolò Machiavelli. Come si spiega, infatti, che un repubblicano di idee e di militanza scriva un manuale ad uso dei potenti diretto ad ottenere e conservare il Potere? Un simile quesito se lo pose già il Foscolo ne “I Sepolcri”, e lo risolse nel seguente modo: “… temprando lo scettro a’ regnator / gli allor ne sfronda ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue”. Anche io mi sono posto tale vexata quaestio, ma dovendo rispondere ad esigenze puramente drammaturgiche ho pensato di risolverla nel modo che segue. Ritiratosi nell’eremo di Sant’Andrea in Percussina, messer Niccolò attende alla stesura della sua opera; ma nel corso della scrittura rivela una profonda inquietudine determinata dalla consapevolezza che il trattato possa costituire uno strumento di educazione e di incoraggiamento alla conquista del potere. A stemperare tale inquietudine provvede la serva Betta. Pura espressione dell’anima popolare».
Nella prefazione, Lezza così argomenta: «Il Principe è spiegato partendo dal basso, dalle osservazioni o meglio dalle intuizioni di una donna del popolo. Santanelli, infatti, affida a Berta [la Serva] una responsabilità importante rispetto al Maestro [Machiavelli]; pertanto lei sembra anticipare, se naturalmente contestualizziamo il testo, il ruolo che il personaggio femminile assume nel teatro di Goldoni[…].
Berta è una donna saggia e cauta[…]. Sa parlare perché sa ragionare sulle cose, con semplicità e intuito femminile, ma soprattutto riesce ad esprimere le sue idee sulla corruzione della Chiesa o sul rapporto di Machiavelli con Guicciardini; inoltre è capace di suggerire al Maestro alcuni punti salienti del Trattato: “Chiudete il pensiero con…che so… “Ma nelle repubbliche è maggior vita, maggior odio, più desiderio di vendetta, né gli lascia, né può lasciare riposare, la memoria della antiqua libertà” […].
E Machiavelli risponde ammirato: “Berta, come farei mancandomi il tuo ausilio, non so. Tu sei per me il traliccio che fa vigoreggiare la vite”. Ma la cifra stilistica della Serva del Principe è riconducibile, soprattutto, alla lingua, una lingua, per così dire inventata, originale e funzionale, che denota un’attenzione e un impegno da parte dell’autore veramente singolari».

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