“Solve et coagula” è il suggestivo titolo della mostra dell’ artista e fotografa napoletana Alessandra Cardone, in esposizione al Museo archeologico nazionale fino al 10 gennaio 2022. Una riflessione sulla memoria attraverso la tecnica della sovraimpressione digitale.
“Solve et coagula” è un detto ereditato dagli alchimisti, in cui si indicano due procedimenti necessari alla trasformazione degli elementi: la dissoluzione (o scioglimento) e la ricomposizione (o coagulazione). Dissolvere e unire, scomporre per analizzare e ricomporre per un nuovo risultato volto al cambiamento.


Alessandra Cardone, che lavora presso il Laboratorio fotografico della Direzione Regionale Musei della Campania, inizia la sua ricerca dalla riscoperta delle diapositive dell’Archivio fotografico del Mann, le cui tracce del tempo le sono state d’ispirazione. Sulla locandina, a cura del grafico Corrado Lamorgese, campeggia una bellissima rielaborazione della Venere Sinuessa sullo sfondo rosso pompeiano e ci anticipa quello che è in mostra poco prima della Sala del plastico di Pompei.
La statuaria più nota è vista attraverso uno sguardo meno nitido e netto rispetto a una fotografia a cui siamo più abituati e cioè quella patinata, rielaborata e spesso fin troppo costruita. Dopo una prima fase analitica, Alessandra decide di combinare tra loro effetti diversi per ricreare quelle tipiche atmosfere delle pellicole consunte, che diventano tante piccole porte di passaggio per un viaggio nel tempo.


Nasce così la “Collezione d’archivio” che costringe lo spettatore ad una maggiore concentrazione data la dimensione delle diapositive, tutte riguardanti marmi, mosaici, affreschi, gemme e monete e disposte vicine le une alle altre, a formare un grande pezzo unico. Poi le fotografie intitolate “Resti, come un’archeologia della fotografia” e “Hic et nunc” con la tecnica del photo-collage, per cogliere i dettagli.
Il concetto del solve et coagula è anche un processo di astrazione, che colpisce in senso emozionale. Di fronte a questi elaborati, oltre a coglierne l’aspetto tecnico, possiamo decontestualizzare i soggetti e reinterpretarli secondo una visione personale, che è proprio il senso della trasmutazione. Nei dettagli fotografici possiamo soffermarci su uno sguardo, possiamo ripensare allo spazio che circonderebbe queste figure, possiamo immaginare a cosa siano dovuti i segni fisici del tempo. In un certo senso, è il tentativo di dare forma e punti di vista nuovi a quello che il nostro occhio normalmente percepisce come storia scolpita e immobile.


Un’ultima nota va scritta in favore dell’Archivio fotografico del Museo Mann. Un vero e proprio patrimonio non soltanto per la catalogazione ma anche per la comprensione dell’evolversi delle tecniche fotografiche, come le stampe ai sali d’argento o i negativi su lastra di vetro. L’attuale banca dati arriva fino a 300mila immagini.
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In pagina, immagini della mostra

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