Al Madre, il museo d’arte contemporanea Donna Regina di Napoli per sei minuti va in scena la vita. Al terzo piano in una sala vuota, tutta bianca, con un pavimento creato per l’occasione che scopriamo poi essere lo stesso pavimento che vediamo nel video viene proiettata l’’ultima opera del giovane artista Diego Marcon. Una mostra personale curata da Eva Fabbris e Andrea Viliani.
The parent’s room, questo è il titolo dell’opera. Dopo quasi due anni di pandemia e lockdown a mesi alternati, green pass e mascherine, volevamo solo distrarci, andare in un museo, vedere un’opera d’arte, accostarla al nostro divano, sperare in qualcosa.
Forse volevamo solo credere che la vita è bella, che basta dichiarare ai quattro venti l’amore per la propria compagna, misurare il tempo prima e dopo di lei , con o senza di lei, come in tanti hanno fatto prima di noi , e invece no. Grazie, Diego Marcon.
Misuriamo il tempo prima e dopo la pandemia, che se ci pensiamo, non è cambiato poi molto. La pandemia ha solo amplificato tutto. Così come fa l’artista nella sua opera. Tutto quello che succede nel video, niente altro è che vita quotidiana mandata in loop, senza un inizio, senza un fine, proprio come come tutto il resto.
Non ci sono titoli di coda, ne ringraziamenti alla fine. Solo un circolo vizioso infinito, una ruota sulla quale scendere o salire a nostro piacere. Siamo criceti? Non ce ne siamo mai accorti. Siamo in un loop, la nostra vita tranquilla, noi come i protagonisti del video. Un padre, una madre, due bambini.
Un’unica scena di tranquilla esistenza. Poche inquadrature, sempre la stessa stanza senza tempo. Una canzone in inglese, un piccolo musical. Come nel mulino bianco, semplice e inquietante, la casa vicino al fiume, tutti sorridono senza apparente motivo.
Nel video cantano in movimenti lenti e tragici allo stesso tempo. Un senso di vuoto nell’aria, tutta questa normalità angosciante è accentuata dal trucco. Sono persone? Sono marionette? Non è importante. Siamo noi, con i tratti deformati a rendere tutto più surreale e maledettamente vicino.
Le grandi tragedie sono sempre a un palmo da noi, più vicine di quanto possiamo immaginare, quelle persone siamo noi, quella casa siamo noi, seduti su un pavimento che ci porta nel video, siamo un estensione del pensiero dell’artista, siamo pupazzi in stop motion, mossi da fili invisibili. Diego Marcon è un abile burattinaio.
La vita in sei minuti, quella che non capiamo, quella che non ha senso, quella di tutti i giorni, bellissima come un cartone animato con tanto di uccellino alla finestra, quella spietata quotidiana, senza motivo. Triste e oscena, dove un bambino di quattro anni può perdere la vita per una caduta dal terzo piano. La vita, senza spiegazione alcuna in un cortometraggio.
©Riproduzione riservata

Diego Marcon: The parents’ room
Museo Madre, Napoli
Fino all’ 8 novembre 2021
A cura di Eva Fabbris e Andrea Viliani

L’AUTORE
Diego Marcon (nato nel 1985 a Busto Arsizio, vive a Milano) lavora con disegno, film, video e installazione. Il lavoro di Marcon è basato sulla ricerca di un punto di contatto tra il cinema sperimentale strutturalista e il cinema di genere e di intrattenimento. La sua pratica si concentra sul rapporto tra realtà e rappresentazione, indagando l’ontologia dell’immagine in movimento e la possibilità che essa sia uno strumento di indagine della realtà attraverso il fantasmagorico. Nel 2018, ha vinto il Premio per la scultura Fondazione Henraux e il MAXXI Bulgari Prize.

Nelle foto, 4 sequenze del video


ECCO IL TESTO nella versione originale inglese e in quella italiana:
The Parents’ Room Theme
Composta da | Composed by Federico Chiari
Lyrics Diego Marcon
THE FATHER
I oughta say now that it’s done,/
I took the life of my little son./
As he died in his sleep/
I looked down at his sleeve/
A button from his PJs was gone.

THE SON
I lost it pretending to drive a race car
Oh daddy what a jerk you are!

THE FATHER
I oughta say now that it’s through,
I killed my little daughter too.
She clawed at the air
And as she laid there
I saw her nails were painted bright blue.

THE DAUGHTER
It’s the prettiest polish I’d ever put on
But daddy now I’m dead and gone!

THE MOTHER
Then he came and murdered me
In short he killed his family.
He came and took my breath away
I never saw the light of day.

THE FATHER
I guess it’s true, I killed all three of you
But after all I killed myself too.
I threw the window wide
To change the air inside
Then shot myself and lay down and died.

IL PADRE
Dovrei dirlo, ora che è finita,
A mio figlio ho tolto la vita.
L’ho soffocato che dormiva
E guardando il colletto del pigiama
Mi sono accorto di un bottone che mancava.

IL FIGLIO
L’ho perso giocando a fare il pilota
Mi hai ucciso papà brutto idiota!

IL PADRE
Dovrei dirlo, ora che è finita,
A mia figlia ho tolto la vita.
L’ho soffocata che dormiva
E guardando la manina che nell’aria
si dimenava, mi sono accorto dello
smalto blu che indossava.

LA FIGLIA
È lo stesso che mamma porta
Ma papà, ora sono morta!

LA MADRE
Poi è venuto e ha ucciso anche a me
In pratica ci ha uccisi tutti e tre.
Mi ha soffocata e tolta di torno
Non ho più visto la luce del giorno.

IL PADRE
Penso sia vero che vi ho uccisi tutti e tre
Ma dopotutto mi sono ucciso anche a me.
Poi ho aperto l’intera finestra
Per cambiare aria dentro la stanza
Mi sono sparato, disteso e ammazzato.


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