Palazzo Reale di Napoli/ Riaperta al pubblico la prima anticamera dell’appartamento di etichetta: il potere della vita nel luccichio sfavillante

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Qui sopra, lo scalone d’onore fotografato da Carmine Negro. In copertina La faccia del Palazzo (This file is licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license)

Il Palazzo Reale di Napoli non è solo una prestigiosa residenza o l’immagine del potere monarchico è il simbolo stesso della città. Nel corso del tempo, a partire dai fattori che hanno ispirato le scelte dei coloni greci nella costruzione di Neapolis dalla fine del VI secolo a.C., la città, longeva e resiliente, ha accumulato e conservato i segni della sua storia. Palazzo Reale, espressione importante del passato partenopeo, è un simbolo di questa storia, rappresenta uno dei momenti in cui ha assunto il ruolo di capitale.
VICEREGNO SPAGNOLO
Dopo il governo della dinastia aragonese, il Regno di Napoli entra nelle mire espansionistiche sia dei francesi sia degli spagnoli, che in un primo momento, col trattato di Granada del 1500, si spartiscono il territorio. Nel 1503 è il Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba a conquistare per gli spagnoli tutto il regno che perde la propria autonomia e per oltre due secoli è governato da un viceré per conto di Madrid.
È stato Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, governatore e illuminato urbanista,  impegnato in un riassetto urbanistico della città, tra cui l’edificazione dei Quartieri Spagnoli e la strada che porta il suo nome, a decidere la costruzione di un palazzo Vicereale. I lavori, nell’area dell’odierna piazza Trieste e Trento, sono iniziati nel 1543, su progetto degli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa.
Si tratta di una costruzione a corte: una residenza fortificata, tipica dell’epoca, con due torri angolari  e una facciata modesta che si apre su piazza S. Spirito, l’attuale piazza Trieste e Trento. Oltre al piano terra, il palazzo è composto da altri due piani e da una cappella; tra il palazzo e il mare c’è un giardino, i cui lavori sono partiti tre anni prima nel 1540, e che viene descritto come ornato con piante e animali esotici.
Nel 1837, a seguito di un incendio, il palazzo vicereale viene abbattuto; tra gli arredi superstiti venduti c’è il portale principale del Palazzo che viene acquistato e collocato in vico Spezzano, dove si trova tuttora. I battenti sono dunque una testimonianza storica oltre che artistica, di straordinaria importanza.
Vincenzo Amorosi autore de I Colori Araldici del Reggio Portone Vicereale di Napoli[1] riporta quanto si legge in un quadro didascalico affisso a fianco ad una lapide di marmo nell’androne del palazzo[2] che ospita il portale: trattasi di un breve cenno storico sulle vicende del portone ad opera del docente universitario Giancarlo Alisio[3].
Il professore riferisce di un articolo su Napoli Nobilissima di Antonio Maresca di Serracapriola in cui viene riportato che Gaetano Filangieri, Principe di Satriano, propone di acquistare il portale per collocarlo nel Museo Industriale da lui fondato, oggi museo Filangieri, ottenendo un rifiuto dai proprietari del palazzo di vico Spezzano e dagli eredi del duca Carmine Maria Muscettola dei principi Leporano e duca di Spezzano. Un rifiuto che si è ripetuto successivamente, quando si è ventilato di trasferire il portale in un’altra sede, prima del restauro finanziato dagli Amici dei Musei di Napoli[4] e dai Condomini del palazzo di vico Spezzano 5.
È stata la contessa di Lemos, moglie di Fernando Ruiz de Castro, viceré di Napoli dal luglio 1599 all’ottobre del 1601, a far balenare a re Filippo l’idea di una visita ufficiale al suo regno napoletano, in realtà mai effettuata. La notizia della possibile visita del Re Filippo III a Napoli crea una certa agitazione nella capitale del Viceregno che non ha luoghi per ospitare l’uomo più potente del mondo.
LA NUOVA COSTRUZIONE
L’esistente Palazzo Reale di Napoli, dove risiedono i viceré, fatto erigere cinquant’anni prima da don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, è troppo piccolo e modesto per ospitare il sovrano spagnolo con tutta la sua corte. A questo punto don Fernando, ordina la costruzione del nuovo Palazzo e l’area scelta per la nuova costruzione è situata accanto al palazzo vicereale, utilizzando una parte dei giardini di quest’ultimo in posizione dominante sul porto, un’ottima via di fuga per il re in caso di attacco nemico.
Il progetto viene affidato a Domenico Fontana, considerato il più prestigioso architetto di quel periodo e che già ricopre il ruolo di ingegnere maggiore del Regno. La prima pietra viene posta nel 1600 in quella che all’epoca è chiamata piazza San Luigi e che corrisponde in parte all’attuale piazza Plebiscito; per fare spazio al nuovo Palazzo Reale viene demolita una delle sue due torri angolari del Palazzo vicereale.
Fontana, disegnando un cortile centrale e una loggia interna al primo piano, progetta un’opera che sembra rispondere meglio alle nuove esigenze dell’epoca: avere un edificio di rappresentanza piuttosto che una residenza fortificata. Naturalmente la struttura dell’edificio così come lo conosciamo oggi è stata costruita in varie fasi nel corso degli anni ed alcune parti, come la zona centrale, è stata completata nel 1843.
Il 7 luglio 1707, i soldati austriaci quasi senza colpo ferire entrano in Napoli, al comando del feld-maresciallo Wirich Philipp von Daun dell’imperatore Giuseppe I. Così mentre il viceré spagnolo del sovrano borbonico Felipe V, Juan Manuel Fernández Pacheco y Zúñiga, s’imbarca per tornare in patria, il viceré austriaco, Georg Adam von Martinitz, prende possesso del Palazzo Reale.
Il dominio austriaco dura 27 anni, non tanti se rapportati ai circa duecento del dominio spagnolo e se si considera che i primi 6 o 7 sono stati anni di guerra. In pratica si tratta di un solo ventennio di governo effettivo austriaco, che non ha inciso sui simboli del potere[5]. Pur nel non brevissimo lasso di tempo della sua durata, esso non accese alcun entusiasmo nei sudditi di quel viceregno, non promosse nessun interesse, non legò a sé nessuna particolare classe, non beneficiò in particolare modo nessuno: nessuno amò, da nessuno fu amato. E nessuno lo rimpianse, E quando passò, fu come se esso non ci fosse mai stato[6].

La prima anticamera dell’appartamento di etichetta (lato rivolto verso piazza del Plebiscito)
Foto Carmine Negro

CAPITALE CON CARLO DI BORBONE
Nel 1734 con Carlo di Borbone Napoli diviene capitale di un regno autonomo. Il Palazzo viene ampliato sul versante del mare, con l’Appartamento del Maggiordomo Maggiore e verso il Vesuvio con quello per i Principi Reali. In questo modo vengono a formarsi altri due cortili, oltre a quello d’onore, quello del Belvedere e quello delle Carrozze. Nel 1736 inizia il trasporto delle collezioni farnesiane, poi in parte trasferite a Capodimonte.
Per il matrimonio del Re con Maria Amalia di Sassonia vengono chiamati a Corte nel 1737 i migliori artisti presenti in Napoli per decorare alcune parti del Palazzo. Il nuovo re di Napoli è fortemente intenzionato a dare alla città un nuovo teatro capace di rappresentare il potere regio e così su un’area adiacente al Palazzo fa costruire il Teatro di San Carlo che è il più antico teatro lirico del mondo.
Nei primi anni Cinquanta le condizioni statiche in cui versa il portico della facciata principale impongono lavori di consolidamento. Nel 1753, su progetto di Luigi Vanvitelli, vengono rafforzate le fondazioni del portico e murate alternativamente otto delle sedici arcate. Con la partenza di Carlo per la Spagna nel 1759, la corte borbonica si occupa principalmente del completamento delle opere già avviate dal sovrano. Tra le eccezioni, nel 1768, c’è l’allestimento, nella Sala Regia, del Teatro di Corte realizzata dall’architetto Ferdinando Fuga in occasione delle nozze di Maria Carolina d’Austria con Ferdinando IV di Borbone.
Le ultime trasformazioni avvengono al tempo di Ferdinando II di Borbone, tra il 1838 e il 1858: dopo un incendio sviluppatosi nelle stanze della Regina Madre, l’architetto Gaetano Genovese viene incaricato di un restauro generale improntato al gusto neoclassico.
È stato Genovese a ristrutturare l’imponente scalone d’onore marmoreo, situato all’ingresso della Reggia e ad aggiungere la celebre Ala delle feste che, attualmente, ospita la Biblioteca Nazionale. Con l’Unità d’Italia il Palazzo diviene Sede dei Principi di Piemonte. Successivamente nel 1919 viene ceduto al Demanio dello Stato da Vittorio Emanuele III di Savoia e destinato una parte a Biblioteca Nazionale, mentre la parte più antica, ricca di testimonianze storico-artistiche dal Seicento all’Ottocento, viene adibita a Museo dell’appartamento storico.
UNA RESIDENZA PRESTIGIOSA
Napoli, da quel momento, ritrova una residenza reale molto prestigiosa, ricca di capolavori d’arte e preziosi oggetti appartenuti ai reali di quattro dinastie. Il Palazzo Reale ha subito gravi danni e spoliazioni durante l’ultima guerra. È occupato dalle truppe angloamericane, subisce i danni di una bomba che colpisce la zona del teatrino e ne distrugge il soffitto, è vittima delle razzie di opere e della distruzione di numerosi tendaggi e parati in stoffa. Solo il mobilio, ricoverato in luoghi sicuri all’inizio del conflitto, è preservato. I lavori di restauro eseguiti tra il 1950 e il 1954 hanno posto rimedio ai danni più gravi e consentito un ripristino del sito. Sono gli interventi degli ultimi anni e quelli che si stanno svolgendo in questo periodo a riproporre il suo passato: un ambiente di corte prestigioso e raffinato.

Itala Pellegrino (Genova 1862 – Napoli post 1939)
La sala N. 12 di Palazzo Reale di Napoli 1883
Olio su tela
Gallerie d’Italia Napoli
Foto Carmine Negro


LA SORPRESA DEL NUOVO RESTAURO
Quando mercoledì 24 aprile alle 10.26 scosto la sovrapporta per entrare nella sala resto sbalordito: la prima anticamera dell’appartamento di etichetta è una splendida sorpresa.
Il luccichio sfavillante dell’oro dei lampadari e delle cornici sembra saltellare sugli affreschi del soffitto, sulle pareti di seta rossa, sulle tende damascate, sui marmi delle pareti e del pavimento fino ad invadere lo spazio e a renderlo magico. Ripresomi dallo stupore cerco di osservare con attenzione le varie parti che compongono la stanza.
La sala è dominata dal dipinto di Francesco De Mura che raffigura il Genio Reale e le virtù del Re e della Regina[7]. In basso, Imeneo[8], dio delle nozze scaccia la Malignità e il Furore. Il dipinto barocco fu dipinto nel corso dei lavori di ammodernamento di Palazzo Reale per l’avvento del re Carlo di Borbone e le sue nozze con Maria Amalia di Sassonia del 1738. Le porte dipinte a tempera su fondo d’oro risalgono al 1774-1776 e sono state attribuite alla bottega del siciliano Antonio Dominici.
LA SALA DIPLOMATICA
I mobili della sala diplomatica di gusto neo-barocco risalgono alla Seconda metà dell’Ottocento al periodo sabaudo quando alle pareti sono stati esposti due arazzi della prestigiosa manifattura Gobelins dono del Nunzio Apostolico nel 1719[9] alla corte di Napoli. Il primo che raffigura L’Aria, esposto nel lato sud, è già rientrato dal restauro mentre per l’altro, Il Fuoco, ancora sotto le  cure dei restauratori, il rientro è previsto per settembre.  
In un angolo della sala su un supporto costruito per l’occasione un quadro ha uno spazio d’onore. Per il direttore Mario Epifani … si tratta di un’opera di Itala Pellegrino, una pittrice milanese che visse e morì a Napoli nel 1898, che si è rivelata  fondamentale per la ricostruzione dell’ambiente. L’artista, che in questo dipinto  rappresenta se stessa nell’atto di ritrarre proprio la prima anticamera in cui si può vedere una delle sovrapporte, che è stata restaurata e ricollocata.  
La pittrice, seduta davanti a un cavalletto, in abito da passeggio e con cappello, è stata una delle fonti per preparare i lavori perché come spiega la storica dell’arte Alessandra Cosmi Il lavoro di schedatura è durato quasi un anno e ha consentito di raccogliere i dati necessari per avviare i restauriÈ stato emozionante vedere come la sala ha iniziato man mano a splendere grazie all’intreccio dei dati storici e la cura e la passione dei professionisti che hanno lavorato in un cantiere così complesso.
Per l’architetta Almerinda Padricelli, direttore dei lavori realizzati con fondi del Ministero della Cultura Interveniamo su di una fabbrica complessa e ricca di stratificazioni nel tempo… Abbiamo scelto quelle tra le 33 sale, non tutte in condizioni ottimali, dell’appartamento d’etichetta, che possono rappresentare un codice rosso di intervento. Qui ci sono voluti 280 giorni, il lavoro per la Sala del Trono e la Sala di Ercole comincerà a breve.

Sovrapporta con la rappresentazione dell’Allegoria della Prudenza

GLI INTERVENTI RECENTI
Durante la conferenza stampa tenuta nel Teatro di corte con il direttore Mario Epifani, la storica dell’arte Alessandra Cosmi e l’architetta Almerinda Padricelli sono stati presentati gli interventi effettuati.
La tappezzeria in seta Kanecaron, i tendaggi e i copricatena dei due lampadari sono stati realizzati riproponendo il disegno dei parati ottocenteschi. La scelta di riproporre l’allestimento storico di epoca sabauda scaturisce dalla possibilità di utilizzare i due inventari di epoca sabauda, uno del 1874 e l’altro del 1907 oltre alle foto storiche e in questo caso anche un prezioso frammento del tessuto originale rinvenuto sotto una delle due zinefre[10]. Queste ultime e tutti gli altri arredi presenti nella sala sono stati sottoposti a un consolidamento strutturale e a una revisione di precedenti restauri. In particolare gli interventi hanno riguardato le due grandi specchiere, le sei consolle, le due fioriere e le cornici che separano il lambris dalle tappezzerie di seta e incorniciano le porte. Le parti delle cornici mancanti sono state ricostruite a pantografo.
Nel periodo compreso tra il passaggio al Demanio e il secondo dopoguerra i due grandi lampadari con cristalli riprodotti nelle foto Alinari scattate tra il 1900 e il 1930 sono andati perduti. Ad illuminare la stanza ci sono ora due lampadari in ottone dorato con 16 bracci. Il restauro ha interessato anche le quattro applique montate sulle pareti laterali. Partendo da un frammento dipinto su un supporto ligneo, presente fino al Secondo dopoguerra, rinvenuto al di sotto della specchiera, nella sala è stato installato un lambris in marmo Verde delle Alpi proveniente dalla Val d’Aosta che è in sintonia anche con le venature e il colore delle cornici delle porte.
Delle sei sovrapporte originali solo una con la rappresentazione dell’Allegoria della Prudenza, presente nel quadro di Italia Pellegrino, è stata restaurata e ricollocata nella sua posizione originale. Nel deposito quadri di Palazzo Reale sono stati ritrovati solo tre cornici e cinque dipinti che sono in fase di restauro; le cornici mancanti saranno ricostruite a pantografo sulla base dei modelli originali. L’attuale pavimentazione di marmo risale agli anni ’50 e sostituisce il parquet originale. Nell’inventario del 1905 viene descritto un pavimento di legno ripartito a quadroni, visibile anche  nelle foto Alinari.
Dal momento in cui mi sono insediato come direttore del museo il mio obiettivo è stato quello di restituire a Palazzo Reale la sua identità, ovvero un aspetto consono alla residenza di un sovrano, spiega il direttore Mario Epifani, siamo impegnati a restituire al visitatore sia il fasto della corte che una corretta percezione della funzione di questi spazi.
L’OPERA DI FRANCESCO DE MURA
La sala ha avuto le attenzioni sin dall’epoca vicereale. Un pannello esposto riporta che è stato ritrovato un frammento della decorazione manieristica del 1620 circa al di sotto della volta incannucciata. Con l’arrivo del nuovo sovrano si arricchisce di un’opera di Francesco De Mura celebrativa dei nuovi regnanti ma anche l’affascinante storia di Imene, un personaggio della mitologia greca. Racconta di un Amore che quando è intenso non conosce le barriere delle classi sociali e quando è forte sconfigge anche la morte[11]. La Prima Anticamera è di sicuro il più importante dei tre ambienti in cui gli ospiti attendono prima di essere ricevuti dal re nella Sala del Trono. I Savoia, dopo l’Unità d’Italia, rinnovano il suo allestimento, secondo l’emergente gusto neobarocco e lo riportano negli inventari del 1874 e del 1907 come Sala da pranzo del corpo diplomatico. Dopo il passaggio al Demanio del 1911 la sala viene spogliata della tappezzeria e durante la guerra usata come ristorante dai militari occupanti. Le foto scattate subito dopo il conflitto la riportano priva del parquet ottocentesco, dei lampadari e di gran parte degli arredi. Poiché gli ambienti come le storie degli uomini sono il prodotto delle stratificazioni del passato ho chiesto al Direttore quali fossero le informazioni sull’arredamento della stanza al tempo dei Borboni. Mi ha risposto che nella stanza di sicuro c’erano due tele del Camuccini attualmente a Capodimonte. La storica dell’arte Alessandra Cosmi ha aggiunto che gli inventari dei Borboni, ubicati all’Archivio di Stato, sono oggetto di studio mentre quello dei Savoia sono disponibili in sede.

Porta dipinta a tempera su fondo d’oro (particolare) nella prima anticamera
Foto Carmine Negro


FILIPPO III, IL SOVRANO CHE NON L’HA MAI VISITATO
Il Palazzo Reale di Napoli ha una storia molto singolare: è nato per un re Filippo III di Spagna che non l’ha mai visitato, è diventata la sede ufficiale di un regno autonomo con Carlo di Borbone ed è stata nominata residenza napoletana dei sovrani di casa Savoia dopo l’unità d’Italia. Nel 1919, Palazzo Reale diventa proprietà dello Stato che lo apre al pubblico e, tra il 1922 e il 1923, vi trasferisce la biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III al primo e al secondo piano dell’Ala delle Feste. Durante il periodo borbonico ci sono state le maggiori trasformazioni del Palazzo disegnato da Fontana. Naturalmente non si tratta di cancellare la storia successiva[12] a quella borbonica,culturalmente improponibile[13],ma di presentare nel limite del possibile tutte le risorse immateriali di quanti hanno operato in quel luogo. Sono le risorse immateriali dell’uomo a trasformare quelle materiali e a creare nuove forme manipolando le cose d’intorno. Sono le risorse immateriali della storia umana ad arricchire ciascuno di noi.
Un Palazzo, luogo in cui si esercita il potere, ci riporta all’epopea di Tolkien e al Tema del Signore degli Anelli. Come afferma lo stesso autore, il desiderio del potere esercitato attraverso il dominio è una brama devastante, a livello sia individuale perché intacca e corrode la mente sia sociale perché giudica i cuori gli altri  alla stessa stregua. Chi controlla il Palazzo-Anello possiede il potere ma allo stesso modo è posseduto dal potere.
Quanto delineato, in queste poche battute, non corrisponde alla funzione di questo Palazzo. Da anni gli è stato affidato il compito di essere un contenitore di testimonianze storiche che si traduce in ricerca, indagine e cognizione. Allora qual è il potere di questo Palazzo? Raccontare le storie degli uomini che in quel luogo hanno operato con la loro immaginazione e la loro creatività.
Quel luccichio sfavillante è quello che rimane della storia di ogni uomo, un bagliore che può aiutare noi e quanti verranno dopo di noi a credere nella vita che così fortemente ci lega gli uni agli altri. Spesso dimentichiamo che condividiamo un’origine comune in un’unica e luminosa stella.
©Riproduzione riservata

Ancora un particolare della sala. In basso, la conferenza stampa

NOTE

[1] https://www.academia.edu/34513458/I_COLORI_ARALDICI_DEL_REGGIO_PORTONE_VICEREALE_DI_NAPOLI

[2] La zona di ubicazione del condominio in oggetto si trova a Montesanto in Napoli nel quartiere conosciuto come “ ‘e Ventaglieri “ (via Ventaglieri).

[3] Giancarlo Alisio (1930-2005), ordinario di Storia dell’Architettura nell’Università di Napoli. Di origine piemontese è stato autore di numerose pubblicazioni su architetti e ingegneri dell’Ottocento, sull’urbanistica e l’architettura dei secoli XVIII e XIX, con particolare riferimento alla città di Napoli. Ha donato la sua collezione di oltre cento dipinti alla città che è stata sistemata in sette sale nel museo di San Martino. Si tratta di vedute e panorami oramai scomparsi.

[4] https://www.amicideimuseidinapoli.it/portfolio/restauro-portale-del-palazzo-vicereale/

[5] L’unica iniziativa di rilievo la si deve al viceré cardinale Michael Friedrich von Althann (1722-28) che affronta il cedimento dei pilastri del portico della facciata principale affidando  il progetto agli ingegneri Schor, Marinelli e Giuseppe Stendardo che nel 1724-25 provvidero a consolidare e restaurare undici pilastri e relative arcate.

[6] GAROFALO G. Il Regno di Napoli fra Spagna ed Austria Editrice Ciranna, Roma 1964

[7] Le virtù del Re sono rappresentate da: Fortezza. Giustizia , Clemenza e Magnanimità; quelle della regina da Fedeltà, Prudenza e Bellezza

[8] Il mito di Imeneo rappresenta una delle storie più romantiche di tutta la mitologia greca. A differenza di altri miti non racconta di drammi e di inganni ma della lotta degli innamorati per rendere sacro il loro amore.

[9] Informazione ripresa da un pannello esposto in Sala.

[10] Struttura rigida usata solitamente come decorazione della parte alta di una tenda di arredamento, o per coprire l’arricciatura o la pieghettatura della stessa (reggitenda).

[11] Imene,  giovane di fulgida bellezza.ma di stirpe povera si innamora della figlia di uno degli uomini più ricchi di Atene. I suoi sentimenti per la fanciulla lo portano a seguirla ovunque, senza però farsi vedere. Quando scopre che, insieme ad altre donne, ha intenzione di recarsi in processione fino a Eleusi per offrire un sacrificio a Demetra, dea greca dell’agricoltura, decide di travestirsi da donna e unirsi al gruppo. Poco dopo la partenza, la nave su cui salparono le donne viene intercettata da alcuni pirati e le ragazze di Atene rapite. Riesce nell’impresa di liberare le donne e la fanciulla che amava si innamora perdutamente di lui. Annuncia, quindi, che avrebbe liberato le donne solo se in cambio gli avessero concesso il matrimonio con la donna che amava. Gli ateniesi accettano la sua richiesta e danno inizio ai preparativi per il matrimonio Al termine della cerimonia, tuttavia, Imeneo cadde improvvisamente a terra, morto. Il giovane defunto e la fanciulla iniziano ad emettere un profondo lamento: entrambi si rifiutano di accettare la loro sorte. Uno degli invitati al matrimonio, Asclepio, dio della medicina e della guarigione, commosso per il pianto della coppia, decide di intervenire e di resuscitare Imeneo. Da allora gli fu affidato il compito di partecipare a tutti i matrimoni, in quanto la sua assenza era un augurio di sfortuna per le coppie di sposi.

[12] Corriere del Mezzogiorno di Venerdì 26 aprile 2024 pag. 9

[13]Il tema della cancellazione della cultura (cancel culture)è molto complessoe lo stesso binomio cancel e culture è improponibile.

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