Un attimo prima che diventassimo zona rossa e tutti verdi di rabbia ci chiudessimo di nuovo in casa, una domenica mattina di giallo sole, come spesso capita a Napoli, passeggiavo con il mio bianco cane e qualche amico per le strade della città, perdendomi tra uno spritz e un caffè nero sospeso. 
Tra le strade strette e affollate ho avuto la fortuna di incontrare in giro per il Rione Sanità Antonio Cotecchia, un artista campano, trapiantato a Milano dove ha frequentato l’Accademia di Brera, mentre dipingeva una sua opera, il suo primo murale, ho scoperto in seguito.
Napoli è sempre così, basta camminare tra la gente senza una meta, senza uno scopo e la città ti chiama a sé e tu non puoi fare altro che lasciarti andare e vedere dove ti porta. 
Quella mattina Partenope mi ha portato in un mondo fatto di colori, mi sono ritrovato davanti al murale che Antonio stava realizzando per la città su invito di Ivo Poggiani, presidente della 3° Municipalità – Stella San Carlo all’Arena del comune di Napoli e Gaetano Balestra della fondazione San Gennaro. 
Non ho potuto fare a meno di disturbarlo e fermarmi a chiacchierare con lui. Scusami ancora Antonio, ma l’occasione era troppo ghiotta per non strapparti qualche confessione e farti qualche domanda. 
Prima di parlare del murale bisogna fare le doverose presentazioni e i giusti omaggi, a pochi giorni dalla morte di Maradona mi sembra più che corretto.


Conosciamo tutti Antonio Cotecchia in città anche senza saperlo, almeno fino a questo momento. Perché lui ha realizzato il ritratto di Diego che l’anno scorso proprio in questo periodo è apparso sui muri della città, insieme al ritratto di Pino Daniele. Un omaggio a D10S in tempi non sospetti, ma si sa che i tempi sono sempre buoni per omaggiare un eroe contemporaneo. Adesso che tutti abbiamo capito di chi stiamo parlando, possiamo anche continuare.


Quando mi sono trovato di fronte al murale quello che mi ha subito colpito è stata la potenza cromatica dell’artista e il gioco di figure che crea, figure che a un occhio distratto possono sembrare un unico corpo astratto, che poi è quello che vuol farci credere Antonio, è il suo modo di attirare l’attenzione, ci illude, ci fa credere che la bellezza stia tutta lì, nel mondo colorato che ci presenta e invece no.
C’è molto di più, come nel ritratto di Maradona, metà uomo metà sogno, e in quel sogno si nascondono le grandi azioni del calciatore e le migliori speranze che noi tutti napoletani ci giocavamo in campo con lui, come fuori dal campo.
Così, distratto come pochi, mi sono fermato a guardare Antonio che in punta di pennello dava gli ultimi tocchi di colori a particolari che nemmeno notavo all’inizio.
Il murale è un omaggio alla città di Napoli, alla sua storia e alle sue tradizioni, un atto d’amore che l’artista ha voluto fare. Amore che la città sembra ricambiare per l’artista. Mi ha raccontato dei tanti caffè che gli sono stati offerti e di come tutti lo salutano e gli offrono in continuazione da mangiare e da bere. Napoli è così, ti accoglie e ti fa sentire a casa. Sei a casa. Ecco perché dopo un anno l’artista è tornato in città per ribadire la sua passione partenopea ed eccoci così di fronte all’opera dipinta. Tra due colonne portanti della città quali Massimo Troisi e Eduardo De Filippo per me si apriva un mondo di colori accesi e vivaci quali sono Napoli e il Rione Sanità. Ai lati delle colonne come mare che si infrange c’è tanto blu, come la squadra, come il cielo, come l’infinito, come Pino Daniele.
Poi quando Mr Fantastic, il mio cane, si è tranquillizzato e steso al sole, e con Antonio abbiamo fatto una pausa arancione con degli Spritz ho smesso di vedere , e ho iniziato a osservare l’opera.
Un mondo si è aperto davanti ai miei occhi, la bellezza nascondeva ancora bellezza. E ancora una volta ho tempestato di domande Antonio, scusami ancora.  Ho scoperte che i tra due giganti si apre tutto il loro mondo che poi è anche il nostro.
Gioca con i colori e con le forme per raccontarci la storia di Eduardo e di Massimo Troisi, il teatro e il cinema. Mi sono divertito a scoprire tutti gli indizi disseminati nell’opera e i personaggi che la popolano come Totò e Sofia Loren.
Ho trovato così i particolari della filmografia del regista e le scene delle commedie di Eduardo. La palla di Non ci resta che piangere, il biondino de Le vie del signore sono finite, il vaso di Ricomincio da tre sono solo alcuni degli omaggi che Antonio ha disseminato nel murale.
Ritroviamo le figure della tradizione napoletana come la vaiassa, la malafammina , l’uomo che gioca a carte, un pulcinella e un uomo poeta malinconico che soffre per amore, anzi per dirla alla Erri De Luca, ammore, che una M sola non basta a noi napoletani.
È un mercato quello che mette in piazza l’artista dove i segreti non si conoscono ma zitti zitti tutti li sanno, omaggio anche al quartiere come la madonnina che ritroviamo nel mucchio, simbolo di una religiosità che da sempre e in maniera del tutto unica appartiene alla città.


Al centro c’è un palcoscenico con panni appesi, sospesi come i tempi che stiamo vivendo. Antonio Cotecchia pur omaggiando la Napoli che è stata, non dimentica il presente, contestualizza l’opera che diventa così anche racconto del quotidiano e del contemporaneo.
  In questo affresco innamorato è presente anche Jago, scultore che ha scelto Napoli come sua casa, mentre è all’opera sulla sua Pietà nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, nel cuore del quartiere.
Inoltre, non manca Diego con la maglia della squadra azzurra e una mascherina in viso, come tutti noi siamo obbligai a portare, Maradona uno di noi, come l’uomo Antonio, come l’artista Antonio, come l’arte sempre dovrebbe essere , tra le persone.
©Riproduzione riservata 
Gli scatti in pagina sono di Antonio Conte

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