Romanzo/”Nella mente di un superficiale”: Generoso Di Biase indaga l’ordine del caos

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 «Oggi vivo di me. Ieri dei giudizi degli altri. Oggi sono veramente forte, ieri no. O forse ero forte ieri ma perdente, mentre oggi sono debole ma vincente. Anche se, in verità, non vinco un cazzo». Con questo linguaggio forte, ma fatto di verità, si presenta Generoso Di Biase, autore di Nella mente di un superficiale, (Graus Edizioni,pagine 231, euro 17,10).
Linguaggio crudo, diretto, che ti prende frontale. E questo modo ha una sua precisa logica: coprire altro.
L’autore del libro usa l’ironia come arma per sedurre il lettore, un’ironia fine, calcolata, indicativa di una buona penna; ne viene fuori qualcosa di ironico ed autoironico, di personaggi che “entrano” ed “escono” nel racconto con una sorta di interazione diretta con lo scrittore. Una grande dote.
Ma che cosa deve coprire l’autore per giustificare questo scritto? Un vuoto esistenziale, un avvocato separato, con una figlia. Il vuoto di sentirsi padre, di chi ha tolto qualcosa a chi non lo meritava, lacerato da sensi di colpa quando rimane con sé stesso. Una interiorità flagellata, fatta di caos interno, di groviglio mentale, di tormento psicologico.
Allora Generoso Di Biase “cuce” addosso al suo personaggio principale due analisi predominanti: l’interiorità e una prevalente esteriorità. La seconda che deve, in larga parte, coprire la prima.
Ne viene fuori un racconto giornaliero di una persona apparentemente superficiale, un vanesio, palestrato, avvocato in carriera, sciupafemmine, piacione, che pensa ad “accumulare” donne senza badare al sentimento, alla storia d’amore, alla pacatezza gentile di un rapporto.
E poi quando subentrano i “vuoti interiori” il conto della vita diventa più duro, l’aria più rarefatta, la solitudine più galoppante.
Nonostante un’esistenzasenza regole, dove l’ordine principale è il caos, non mancano i morsi della coscienza provocati dal non vivere sua figlia Beatrice, quando rimane nella nudità della sola presenza di sé il pianto interno prevale, finita l’ubriacatura comincia lo scavo della mente e uno stato d’animo riflettente, al limite del depressivo.    
Questo romanzo, lascia un monito: non aver paura di cambiare se non si è più sé stessi. Certo il cambiamento talvolta spaventa, ma diventa necessario per non rimanere intrappolati nella solitudine interna, negli squarci psicologici che tentano di annientare la vita, fino al limite della solitudine, un vuoto, quest’ultimo, quasi incolmabile.
Generoso Di Biase lascia aperto uno spiraglio, come se suggerisse un giudizio terzo del pubblico per arricchire il libro, quasi a voler lasciare “libero” chi legge di scrivere il finale, un epilogo non rispetto alle parole usate, ma di come interpretare la propria vita.
Leggendo si ha un’altra sensazione, quella di rimanere attaccati ai capitoli per scoprire dove arriva l’arringa dei personaggi. E non è virtù di tutti i romanzi. Di certo non ci si annoia, anzi.
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