Da domani primo febbraio fino al 6 sarà in scena, al Teatro San Ferdinando, Brevi interviste con uomini schifosi, spettacolo del regista argentino Daniel Veronese che prende titolo e forma da un celebre libro di David Foster Wallace. 
Un’occasione, per il teatro napoletano, di mettere insieme diversissime personalità nella prima italiana di una produzione che sarà anche a Roma, Torino, Ancona e Milano.   
Personalità nate dalla penna di Foster Wallace ( il New York Times lo definì la migliore mente della sua generazione) assorbite pienamente dai protagonisti di questa versione italiana tradotta da Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini. 
Wallace è un autore ostico, la cui prematura scomparsa è stata modo per molti lettori di sfuggire al confronto con un modo di fare letteratura intriso di humor, dramma, cinismo, esposizione cruda dell’animo umano.
Una scrittura che Daniel Veronese, talento d’oltreoceano con incursioni sulle scene spagnole e italiane, approccia per caso a Madrid pochi anni fa dando vita in un pièce capace di cambiare pelle a seconda del luogo in cui viene rappresentata.
Già in scena sui palchi argentini e cileni con attori del luogo, presenta nella versione napoletana, un’energia diversa. Prova che il teatro si fa in relazione allo scenario comunitario con cui interagisce.
Sul palco Lino Musella e Paolo Mazzarelli, due attori in rapporto privilegiato con il teatro napoletano e in collaborazione tra loro da vent’anni. 
Due professionisti perfetti per le otto scene delle spettacolo. Otto caricature grottesche che, approcciate da vicino, diventano specchio dei comportamenti quotidianamente messi in atto in una cultura avvelenata dalla mascolinità competitiva.
Come gli stessi attori dicono, più ci si avvicina alle personalità interpretate, più si scoprono le pericolose consonanze della natura maschile in sé.
Lo spettacolo ha il pregio di evidenziare le mostruosità che abitano tutti, in  una cruda carrellata di storie del maschile esercitato sul femminile.
Vicende somministrate con humor, ironia e sarcasmo, tanto da far passare sotto traccia un patriarcato violento, soprattutto in forme non esplicite. Gli attori interpretano a turno un ruolo femminile e uno maschile in scene che hanno un comune denominatore: un uomo che ha bisogno di qualcosa dalla donna che schiaccia in un rapporto di forza asimmetrica, ingiusta, ma giustificata a se stesso.  
Le storie di Wallace sono quelle di un autore meravigliosamente scomodo, e lasciano intravedere come, sebbene i ruoli e le maschere siano individuali, le performance sono sempre collettive, inserite in dinamiche sociali non eliminabili, come dice Giuseppe Carrara in un suo articolo
Nel testo originale dominano il narcisismo e la consapevolezza che la linearità nel racconto di se stessi è una chimera, non visibile nelle maschere indossate ogni giorno nel rapporto con gli altri.
Il lavoro di Daniel Veronese sembra voler mettere in luce proprio questo.
Le sue maschere, uguali in ogni dove, sono messe in scena in posti differenti, indossate da personalità differenti, che da un lato danno forte caratterizzazione alla pièce, dall’altra la svuotano per lasciare lo spettatore difronte alle morbose narrazioni quotidiane di sé stesso per se stesso.
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Per saperne di più consultare la pagina ufficiale dello spettacolo.
In foto, Daniel Veronesi ripreso da Marco Ghidelli



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