In prima mondiale assoluta al San Ferdinando Il giorno in cui ci siamo incontrati e non ci siamo riconosciuti. Fantasia scenica senza parole per attori e musica. Questo il titolo dell’ambiziosa drammaturgia che Giuseppe Sollazzo ha creato e diretto con l’intento di rappresentare sulla scena la complessit  dell’esistenza, dominata daincertezza e casualit , luoghi comuni e follie, spensieratezze effimere e sofferenze durevoli,violenze ed abusi, scarsa solidariet  e indifferenza, ma soprattutto mancanza di senso.Trenta attori di varia nazionalit , volenterosamente impegnati in un vero e proprio tour de force per rappresentare in un’opera corale un numero più che doppio di personaggi. Pregevole, se non audace,l’intenzione di voler far teatro facendo a meno dello “scudo ipocrita della parola”, come dice lo stesso regista nelle sue note. In clima di sperimentazione si gioca alla sottrazione.
Della componente visiva nella performance audio di Manlio Santanelli, Per oggi non si cade, della componente verbale nel lavoro di Sollazzo. L’operazione teoricamente è possibile, tenuto conto che la performance teatrale attiva in simultanea una pluralit  di linguaggi la mimica del viso, la gestualit , i movimenti del corpo, le distanze che un corpo interpone tra s e gli altri, tra s e gli oggetti e, più in generale,il modo di porsi nello spazio e di organizzarlo. Senza poi dire del linguaggio delle luci, degli elementi scenici, dei costumi.
I linguaggi non verbali insomma possono adeguatamente sopperire all’assenza di quello che è il più flessibile e li transcodifica tutti. La qualit  dei risultati dipende però da molte variabili in gioco. Alcuni episodi non si leggono con chiarezza. Una storia, anche se a episodi, deve avere un elemento segnico che li unisce; un filo rosso che, legandoli, eviti il pericolo di una eccessiva frammentariet . Pochi gli episodi coinvolgenti e emozionanti.
La regia sembra più attenta al ritmo e al movimentismo. Uno spettacolo teatrale muto non è come un film muto, che si aiuta con enfatiche espressioni in primo piano. Ha bisogno di attivare forme sostitutive efficaci che non si limitino al mero movimento. Sono infatti risultati più apprezzabili gli episodi maggiormente segnati dai movimenti mimici.
A un piano linguisticamente più elevato, quello musicale, il pericolo della frammentariet  si ripropone in forma di eccessiva eterogeneit  belli in s i pezzi singolarmente presi (penso in particolare alla lettura in chiave jazzistica dell’aria pucciniana della Tosca, allo Stabat, ma poi il pop, la Preghiera di Stradella in esecuzione tenorile… Gli attori fanno del loro meglio con esiti alquanto diseguali. Tutti comunque encomiabili per i numerosi e rapidi cambi di costume effettuati in tempi da fare invidia a Brachetti. Corretto e puntuale il disegno luci di Guido Levi, fantasiosi i costumi di Lilli Kendaka. Apprezzati i movimenti mimici di Ivan Baciocchi.

Si replica stasera ore 19.30

www.napoliteatrofestival.it

Nelle foto, momenti dello spettacolo

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