Finalmente da Parigi è arrivata a Napoli, al Museo di Capodimonte, la più grande opera di Picasso (circa metri 10 x metri 17). E’ stato difficile trasportarla fin qua e sistemarla. E’ un enorme sipario, in effetti un enorme quadro, commissionato da Sergej Djagilev, l’impresario dei “Balletti Russi”, per il balletto Parade, che tratta, appunto, di una parata di circensi. Picasso la dipinse dopo aver conosciuto Napoli. Era il 1917.
Ora, dopo un secolo, Picasso torna a Napoli con quest’opera che proprio la città gli ha ispirato. E così si riscopre un momento poco analizzato della storia dell’arte: l’incontro di Picasso con Napoli. Per il quale il balletto, il dipinto e la stessa storia dell’arte subiscono una metamorfosi: il passaggio dal cubismo al surrealismo, da una realtà resa irriconoscibile da una ragione che vorrebbe conoscerla, alla visione intuitiva di una realtà mediata dal sogno. «Non si tratta di portare in scena il cubismo, … si tratta di portarvi arte popolare di marionette, di pupi, delle figure del presepe» dice Sylvain Bellenger, direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte, nel bel catalogo (ed. Electa) scritto insieme a Luigi Gallo.
Finalmente Parade è arrivata. Ed è una sorpresa. Apollinaire la disse “sconvolgente”, ma non ci si aspettava lo fosse in questo modo. Sorprendente. Qui, nell’ampio Salone da Ballo della Reggia– Museo di Capodimonte, svuotato dal resto, c’è solo lei, Parade, e i magnifici lampadari, che ora hanno centinaia e centinaia di lampadine rosse, creano, per lei, una particolare luce da sogno.
Nelle altre sale, si è voluto ricreare quella sorta di magia della cultura popolare napoletana che Picasso aveva riconosciuta e amata. Siamo accolti dalla melodia delle canzoni d’epoca suonate dai posteggiatori. Aurora Giglio sta cantando “Era di maggio” (Costa-Di Giacomo – 1885), non si può fare a meno di fermarsi ad ascoltarla. Ci ricevono bianchi pulcinella, bianchi tutù di ballerine e lo stesso Picasso, che appare, in una gigantografia, a Pompei con il coreografo-ballerino Massine. Ci sono pure due grandi pupi, un presepio e un teatrino delle guarattelle con un Pulcinella animato dal guarattellaro internazionale Bruno Leone. Sono gli elementi popolari che colpirono Picasso e i suoi amici.
Questo è il giorno dell’anteprima per la stampa e c’è il discorso del presidente della Regione Vincenzo De Luca: ha promesso fondi a Capodimonte per interventi strutturali e per l’arrivo di due van Gogh e di opere di artisti francesi. Perché Napoli sta ridiventando la capitale mondiale della cultura, dice.
E poi ci sono le altre autorità e il ringraziamento commosso del direttore Bellenger, curatore della mostra insieme a Luigi Gallo, a quanti hanno lavorato senza risparmiarsi alla realizzazione dell’evento, dal direttore del Musée Picasso di Parigi alla Regione Campania, dall’Electa allo Staff museale di Capodimonte, dai custodi ai funzionari del museo, come Linda Martino, che è rimasta a lavorare, il giorno prima, fino a mezzanotte.
Lei, che è il capo coordinatore, poi si schermisce. Ma… «Io sono andato via che erano le dieci e la ho lasciata che ancora lavorava» mi dice Maurizio Vitiello, un altro funzionario, mio amico. Ora sono tutti emozionati. Anche i custodi, mentre, generalmente, quelli dei musei sono piuttosto apatici. Tutti sono partecipi e comprendono che hanno lavorato per un evento importante, che è un grande momento: è la presentazione di una grande opera d’arte e l’esaltazione di Napoli, la testimonianza della continua influenza sulla storia artistica e culturale internazionale della sua particolare visione del mondo e della vita.
Visito le altre sale, dove sono in mostra altri dipinti di Picasso; ci sono elementi napoletani pure qua e Maria Tamajo, una gentile funzionaria che mi fa da guida, mi spiega che Picasso copia, è vero, ma ciò che copia lo rende proprio e lo attualizza, anzi lo fa diventare futuro.
Ritorno nel Salone da Ballo a guardare Parade. Ora non ci sono più i tanti giornalisti che lo affollavano. Forse sono andati al loro giornale oppure ora sono al buffet. È vero che Picasso ne aveva già dipinto tanti di pagliacci, acrobati e ballerine: quelli del “periodo blu”, quando era triste per il suicidio dell’amico Carlos Casagemas, e quelli del “periodo rosa”, quando era innamorato della bella Fernande. Ma qui il contesto, l’ambiente, è diverso.
Incominciando dal fatto che Parade, che è sistemata tra le tende di un sipario, ha su di sé dipinto un altro sipario, cosicché davvero questi pagliacci disegnati e colorati da Picasso sembrano veri. Guardo a lungo Parade. E, mentre un tempo Picasso mi aveva colpito con la sua violenza cubista, ora mi vince con la forza della sua intima straordinaria dolcezza.
La morbidezza delle linee e dei colori, la dolcezza di quella testa amorosa di donna che sempre più si abbandona sulla spalla del suo amico Pulcinella, del puledro che si accuccia sotto la cavalla con le grandi ali, di quel tenero infantile pallone blu con le stelle, del caldo raggomitolarsi del cane in primo piano, della donna con il cappello che guarda sognante, della bambina ballerina con le ali di bianco vestita …
Questi, tanti, i particolari…. Ma volevo vederne l’insieme. Ho spesso pensato che le opere che sono nei musei dovrebbero essere guardate come se si trovassero ancora nel luogo per il quale sono state dipinte. Ad esempio, le immagini sacre dovrebbero essere viste come se fossero ancora nelle chiese, soprattutto quelle pale che prima si trovavano lì in alto, oltre l’altare.
Il sipario Parade era stato composto da Picasso per essere guardato dagli spettatori del balletto. Come realmente fu visto, nel maggio del 1917, dagli spettatori del Theatre du Châtelet di Parigi. Quindi, per vederne l’insieme, mi allontano dal dipinto, arretro e mi trovo giusto al centro, di fronte al quadro. Qui, c’è una tenda e oltre la tenda un balcone.
Scosto la tenda e arretro verso il balcone, mi rannicchio chinandomi, mi rimpicciolisco per stare all’altezza di uno spettatore, tenendo aperto, della tenda, uno spiraglio; ecco questo è il punto di vista giusto, ecco che le figure sono lì come Picasso le aveva pensate e le doghe di legno del pavimento del finto palcoscenico, che sembravano disegnate alla rinfusa, ora sembrano raccordarsi, creando uno spazio, quello dove stanno felici a sognare i circensi: è un bellissimo mondo rotondo.
Accipicchia quel geniaccio di genio sapeva bene quello che faceva! Guardo il cane accucciato che sta quasi alla mia altezza, il suo profilo è una curva che poi si indirizza verso l’alto e, sempre ondeggiando, arriva fino a quando la rossa tenda di destra del sipario si collega in alto a quella più scura; ed entrambe incorniciano un pezzo di cielo azzurro con delle nuvole bianche sopra il profilo ondulato dei monti: «Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del mondo» (ricordo Cocteau). Una meraviglia da sogno!
Ma ecco, di colpo, la tenda viene aperta e davanti a me ci sono due signore vecchiette, piccoline, molto compite, che mi guardano esterrefatte, stupite, scandalizzate. E «lei che cosa ci fa qui?» mi dice, severa, una di loro, il sospetto è nei loro occhi, credono che io dietro la tenda mi nasconda per chissà quali trame o forse giochi a nascondino come una scema. «No, no io, io non…» balbetto imbarazzata«volevo…, devo scrivere un articolo». «Si, si va bene, ma ora vada via da qui».
Il tono è perentorio, sembrano dell’Esercito della Salvezza. Ho fatto una figuraccia. Giustamente. Poi, al ricordo, mi verrà da ridere, mi sentirò ridicola. Ma ora sono soltanto mortificata. E vado al tavolo rotondo del buffet e mi lascio consolare dal nocerino, dal carmasciano, dal caprino, dal pecorino… i formaggi, una mia irrefrenabile passione!…e da due dita di un magnifico vino rosso dei Feudi di San Gregorio.
Picasso e Napoli: Parade
Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli
Antiquarium, Scavi di Pompei
8 aprile – 10 luglio 2017
In foto, Bellenger davanti a Parade