Molti mi dicono che sono un artista, ma non ci tengo a passare per artista, sono un fotografo artigiano. Minimizza con queste parole Gianni Berengo Gardin la sua poetica capacità di catturare la realtà con l’apparecchio fotografico ma che sia un artista davvero lo conferma la prima personale napoletana ospitata fino al 9 luglio a Villa Pignatelli, in una Napoli presa d’assalto dai turisti in queste vacanze di Pasqua.
L’esposizione Gianni Berengo Gardin. L’occhio come mestiere è curata da Margherita Guccione, Alessandra Mauro e Marta Ragozzino, promossa dalla Direzione regionale Musei Campania e prodotta dal MAXXI, in collaborazione con Contrasto, Fondazione Forma per la Fotografia e Archivio Gianni Berengo Gardin.
La mostra propone oltre 200 fotografie tra immagini celebri, altre poco note o completamente inedite. Un racconto straordinario dedicato all’Italia, che riprende il titolo del celebre libro del 1970 curato da Cesare Colombo, L’occhio come mestiere, un’antologia di immagini del maestro che testimoniava l’importanza del suo sguardo, del suo metodo e della sua capacità fuori dal comune di narrare il suo tempo.
Maestro del bianco e nero, della fotografia di reportage e di indagine sociale, in quasi settant’anni di carriera Gianni Berengo Gardin ( nato a Santa Margherita Ligure nel 1930) ha raccontato con le sue immagini l’Italia dal dopoguerra a oggi, costruendo un patrimonio visivo unico caratterizzato da una grande coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio “artigianale” alla pratica fotografica.
Il percorso espositivo è introdotto da una sezione dedicata allo studio di Milano, per Berengo Gardin luogo di riflessione e di elaborazione, che appare come una sorta di camera delle meraviglie in cui emergono anche aspetti privati e meno noti della sua personalità.
Nel suo lavoro, centrale la figura umana e la sua collocazione nello spazio sociale; la natura concretamente ma anche poeticamente analogica della sua “vera fotografia” (formula con cui timbra le sue stampe autografe mai manipolate e che rimanda al lavoro del fotografo come “artigiano”); la potenza e la specificità del suo modo di costruire la sequenza narrativa, che non si limita a semplici descrizioni dello spazio ma costruisce naturalmente storie; l’adesione impegnata a una concezione della fotografia intesa come documento, eppure puntellata da dettagli spiazzanti e ironici.
Se il punto di partenza della mostra è Venezia, sua città d’elezione, nella versione partenopea non poteva mancare un focus dedicato a Napoli e al territorio campano, da Capri a Pompei.
Berengo Gardin immortala scorci del centro storico, dai vicoli ai monumenti e alle piazze della città, che si alternano a vedute dei paesaggi campani più celebri, in una visione personale e suggestiva, tra la fine degli anni Sessanta e Novanta.
Completa il percorso una sezione dedicata ai libri, destinazione principale e prediletta del suo lavoro, una sorta di libreria, rappresentativa delle oltre 250 pubblicazioni realizzate nel corso della sua lunga carriera, collaborando con autori quali Gabriele Basilico, Luciano D’Alessandro, Ferdinando Scianna, Renzo Piano e anche con Touring Club Italiano e con De Agostini.
Fondamentale, inoltre, la collaborazione con il settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio, dove tra il 1954 e il 1965 pubblica oltre 260 fotografie: «Nella mia vita -scrive- ho incontrato molti importanti intellettuali italiani che sono diventati amici e hanno influenzato moltissimo la mia fotografia. Il più importante è stato Mario Pannunzio».
Attraverso la scansione di un QR code, è possibile visitare la mostra condotti da lui stesso che racconta in prima persona aneddoti e ricordi legati alla propria vita personale e professionale, nel podcast prodotto dal MAXXI. La mostra è accompagnata dal libro L’occhio come mestiere, pubblicato da Contrasto.

Villa Pignatelli/ Gianni Berengo Gardin: black and white photos that narrate Italy

Many people tell me that I am an artist, but I do not care to pass as an artist, I am a craftsman photographer. Gianni Berengo Gardin understates with these words his poetic ability to capture reality with a camera, but that he is indeed an artist is confirmed by his first Neapolitan solo exhibition hosted until July 9 at Villa Pignatelli, in a Naples taken by storm by tourists during these Easter vacations.
The exhibition Gianni Berengo Gardin. L’occhio come mestiere is curated by Margherita Guccione, Alessandra Mauro and Marta Ragozzino, promoted by the Campania Regional Museums Directorate and produced by MAXXI, in collaboration with Contrasto, Fondazione Forma per la Fotografia and Archivio Gianni Berengo Gardin.
The exhibition presents more than 200 photographs including famous images, others little known or completely unpublished. An extraordinary story dedicated to Italy, which takes up the title of the famous 1970 book edited by Cesare Colombo, L’occhio come mestiere, an anthology of the master’s images that testified to the importance of his gaze, his method and his uncommon ability to narrate his time.
A master of black and white, reportage photography and social investigation, in almost seventy years of his career Gianni Berengo Gardin ( born in Santa Margherita Ligure in 1930) has narrated with his images Italy from the postwar period to the present, building a unique visual heritage characterized by a great consistency in linguistic choices and a “craft” approach to photographic practice.
The exhibition is introduced by a section devoted to the studio in Milan, for Berengo Gardin a place of reflection and elaboration, which appears as a sort of chamber of wonders in which private and lesser-known aspects of his personality also emerge.
Central to his work is the human figure and its place in social space; the concretely but also poetically analog nature of his “real photography” (a formula with which he stamps his autograph prints that have never been manipulated and which refers to the photographer’s work as a “craftsman”); the power and specificity of his way of constructing the narrative sequence, which is not limited to simple descriptions of space but naturally builds stories; and his committed adherence to a conception of photography understood as a document, yet punctuated by unsettling and ironic details.
If the starting point of the exhibition is Venice, his city of choice, the Neapolitan version could not miss a focus devoted to Naples and the Campania region, from Capri to Pompeii.
Berengo Gardin captures glimpses of the historic center, from the alleys to the monuments and squares of the city, which alternate with views of the most famous Campanian landscapes, in a personal and evocative vision, between the late 1960s and 1990s.
The itinerary is completed by a section devoted to books, the main and favorite destination of his work, a sort of library, representative of the more than 250 publications he has produced during his long career, collaborating with authors such as Gabriele Basilico, Luciano D’Alessandro, Ferdinando Scianna, Renzo Piano and also with Touring Club Italiano and De Agostini.
Also crucial was his collaboration with Mario Pannunzio’s magazine Il Mondo, where he published more than 260 photographs between 1954 and 1965: “In my life,” he writes, “I met many important Italian intellectuals who became friends and greatly influenced my photography. The most important was Mario Pannunzio.”
By scanning a QR code, it is possible to visit the exhibition conducted by himself, who tells firsthand anecdotes and memories related to his personal and professional life, in the podcast produced by MAXXI. The exhibition is accompanied by the book L’occhio come mestiere, published by Contrasto

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