Piazza del Carmine è deserta. Nel quartiere Mercato dove Napoli rispetta la quarantena da Covid 19, pochi si fanno vedere in giro, se non per  la spesa nei negozi di alimentari rimasti aperti. Sfidando la regola di restare a casa, un fedele entra nella magnifica basilica della Madonna bruna, facendosi il segno della croce e resta a capo chino pregando in silenzio.
Davanti a lui, nell’abbagliante santuario del barocco partenopeo dove stupefacente  è la traccia lasciata dallo scultore e architetto Cosimo Fanzago, si staglia l’immagine commovente del Cristo ligneo che colpisce davvero al cuore in questa atmosfera gonfia di dolore e morte.
Un momento solenne e speciale, perché il tabernacolo realizzato dal maestro Antonio Curata si apre mostrando il crocifisso solamente per pochi giorni, nel periodo natalizio, dal 26 dicembre al 2 gennaio.  E nel primo sabato di quaresima ricordando quando nel 1676 il crocifisso svelato per scongiurare la  terribile calamità preservò la città dal disastro.
Il Cristo dei miracoli ha storia bella e antica. Che ci trasporta nel quindicesimo secolo, ai tempi del conflitto tra Angioini e Aragonesi: il 17 ottobre 1439, Pietro, fratello d’Alfonso, dette ordine  ai suoi di fare fuoco in prossimità del campanile contro il nemico, ma il colpo di bombarda penetrò all’interno e il Cristo fu risparmiato perché chinò il capo, schivando la palla e perdendo solo la corona di spine.


 Pietro non desisté  il giorno seguente dal suo assalto, ma l’artiglieria avversaria lì posizionata gli tranciò la testa. Così Alfonso decise di rinunciare all’assedio. Successivamente, quando il sovrano d’Aragona usci vittorioso dal confronto con il nemico, entrando trionfante in città nel 1442 si recò nella chiesa dove era collocato il crocifisso miracoloso di cui gli avevano raccontato il prodigio compiuto tre anni prima. E commissionò proprio a Curata un tabernacolo per custodirlo. L’opera fu compiuta dopo la morte del re che avvenne il 26 dicembre del 1459. Ecco perché questa è la data in cui il Cristo viene offerto allo sguardo dei napoletani.
Nel magnifico scenario della Basilica, era previsto anche il concerto di apertura (martedì 17 marzo) della rassegna  Musica al Mercato promossa dall’istituto comprensivo statale Campo del Moricino che coinvolge le scuole musicali della città e anche il Conservatorio di san Pietro a Majella. Tra i partner, l’associazione  I Figlioli di Santa Maria di Loreto presieduta da Maurizio Rea, organista della Chiesa del Carmine.
La manifestazione sarà rinviata alla fine dell’emergenza, ma il lavoro dell’associazione non si ferma. Meticoloso l’attività di recupero del patrimonio culturale dell’antico conservatorio di Santa Maria di Loreto. Oltre ad aver collaborato alla redazione di alcuni testi dedicati a  musicisti  del ‘700  per la Treccani, sta lavorando alla produzione editoriale di 8 volumi dedicati a quel conservatorio e alla sua tradizione. Per far emergere un tesoro ignorato da molti.
In una città che trasuda arte, e non solo nella Spaccanapoli gremita dai turisti prima del Coronavirus. Anche nell’altro centro storico, dove le realtà territoriali lavorano con tenacia a un sogno (dopo i lavori Unesco ancora rinviati anche per il momento di disagio che il Paese sta vivendo): restituire a piazza Mercato, al Carmine e ai suoi dintorni il ruolo di primo piano che meritano negli itinerari turistici. Gemme tra le gemme.
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Nelle foto, l’interno della basilica del Carmine Maggiore con il suo Crocifisso e la facciata esterna della chiesa (questo scatto è stato realizzato prima del Coronavirus)

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