Al centro dell’aula universitaria, davanti allo schermo, la ricercatrice Carla Panico. In copertina, la commissione europea a Bruxelles (foto da Pixabay)

Giorgia Meloni è emersa come protagonista indiscussa dell’ultima campagna elettorale, che ne ha segnato l’ascesa al governo del Paese. Figura complessa da decifrare, che non fa mistero dei suoi legami con il neofascismo, è tuttavia la prima donna che riesce ad affermarsi come leader di una coalizione di forze di destra, mettendo in evidenza l’incapacità cronica della sinistra istituzionale di favorire un’alternativa. Ne parliamo con Carla Panico, dottoranda in studi post coloniali all’Università di Coimbra (Portogallo), che attualmente vive e lavora a Napoli.
Di cosa ti occupi nei tuoi studi?
Ho studiato per molto tempo il nazionalismo italiano e il modo in cui viene ciclicamente riproposto nella storia del nostro Paese.
Quali sono i cardini su cui regge?
Il nazionalismo utilizza alcuni stereotipi di razza e di genere, che fissano nell’immaginario collettivo un concetto mostruoso di “altro”, fino a trasformarlo in un nemico contro cui lottare dentro e fuori i confini dello stato-nazione per affermare un presunto primato dell’italianità. Il mio lavoro consiste nello smontare questi stereotipi, spesso intrisi di sessismo, come quello dell’uomo forte che protegge la nazione.
Perché hai cominciato a occuparti di Giorgia Meloni?
Un anno e mezzo fa, a seguito di un progetto con l’Università di Coimbra, dovevo partecipare a una conferenza sulle maschilità estreme, cioè sulle figure di quei leader, solitamente di estrema destra, che hanno nuovamente guadagnato enormi consensi in molti paesi del mondo, negli ultimi anni. Dovevo lavorare sulla leadership di Salvini, ma stava già vivendo un momento di declino. Mi sono chiesta: perché non studiare allora una figura femminile? Così, mi sono messa a lavorare sul “passaggio di consegne” tra Salvini e Meloni.

Giorgia Meloni
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Com’è crollato il mito del leader della Lega? Salvini era diventato abile nel narrare il paese sotto assedio. Lui agitava costantemente questa idea dei migranti che premevano sui nostri confini per entrare. Le persone che fuggivano da fame e guerre erano così divenute il nemico esterno contro cui combattere quando poi, fino al giorno prima, l’”altro” da respingere eravamo noi meridionali. Questa formula è entrata in crisi con la pandemia, perché l’odio verso i migranti non interessava più.

Perché?
Salvini provò a scaricare il contagio su di loro, ma questa accusa cadde quando in molti capirono che il Covid-19 viaggiava più sugli aerei extra-lusso dei dirigenti delle multinazionali, che vanno da un continente all’altro, che non sulle navi di chi attraversa il Mediterraneo. Teniamo poi conto anche del fatto che, con le prime misure di contenimento della pandemia, le persone hanno sperimentato cosa significhi il varcare illegalmente delle frontiere stabilite (si pensi ai ritorni di massa dalla Lombardia verso il Sud Italia). Quando si crea un’empatia diversa, crollano determinati discorsi.
Qual è la fonte del successo di Giorgia Meloni?
Ho letto il suo libro, ho visto i suoi video, ho seguito le sue interviste. Ho provato a ragionare su quale formula tenesse assieme le caratteristiche storiche di una leadership maschile, muscolare, molto forte, molto aggressiva, con l’immagine di una donna. In questo periodo storico, lei risorge dalle sue ceneri, perché riesce a modulare il discorso di odio, che comunque mantiene verso tutta una serie di alterità, ma declinata su una figura femminile. Ricordo che all’inizio della pandemia lei riuscì a mostrarsi come rassicurante e seria. Non strizzò l’occhio al negazionismo, si mostrò responsabile e si mise a disposizione del Ministero della salute.
Come ha fatto una donna a emergere come figura carismatica in un campo notoriamente di destra e maschilista?
In un momento di crisi come quello della pandemia, ha coniugato alcune caratteristiche stereotipiche che vengono attribuite alle donne (l’essere rassicuranti, accoglienti) con la retorica ipermaschile dell’estrema destra. E bisogna riconoscere che ha funzionato molto bene. Questo è il momento in cui avviene il passaggio da un paradigma all’altro. Il segreto della Meloni non è solo uno, ma un mix di vari elementi. Nella mia lettura, insisto molto su un elemento: lei ha fatto proprie parole come la serietà, l’affidabilità, l’essere rassicurante.
La tua interpretazione, in effetti, ribalta le opinioni stucchevoli che hanno dato fin qui intellettuali e politici progressisti. Da dove trae origine la tua analisi?
Ho fatto un ragionamento a partire dagli studi di Sandro Bellassai, che è uno studioso dell’identità di genere nella storia della politica italiana. In particolare, Bellassai ha lavorato sul Partito comunista, che era ossessionato dall’idea di creare uomini seri e donne morali. L’Italia tutta, in realtà, è ossessionata da questa moralità di facciata dei politici. Aggiungo in modo paradossale, perché siamo pur sempre il paese del berlusconismo. La sinistra ha pagato tanto questa moralità. La Meloni è riuscita a incarnare sia la serietà dell’uomo comunista, sia la moralità della donna comunista, ma a destra. Nel momento in cui ha coniugato in modo formidabile queste due cose, la sinistra è rimasta senza armi. Ma questo in realtà è molto più un problema per la sinistra, che non un suo merito.
Non è un paradosso che la prima donna a divenire Presidente del Consiglio in Italia sia di destra e non di sinistra?
No, anzi. È molto lineare con la storia di questo Paese. Intanto, questa è una sconfitta per tutte e tutti noi. Meloni incarna una cosa molto chiara: in Italia, le donne possono sfondare il “tetto di cristallo” solo quando assicurano che non metteranno in discussione i rapporti di forze esistenti e il modo in cui il sistema politico si è strutturato. Lei non è una donna femminista. Semmai, la questione molto complessa legata alla leadership femminile è che il trovare spazio in strutture estremamente maschilizzate e sessiste, è possibile soltanto a patto di essere donne che continuano a garantire la stabilità del potere. Questo è il paradosso.
Cosa intendi?
Il punto del femminismo al potere è che il potere andrebbe cambiato, non andrebbe mantenuto con le stesse strutture e le stesse categorie concepite dagli uomini. I risultati per le donne non si ottengono sostituendo una singola donna a un uomo come garante della stabilità del sistema. Le classi dirigenti sono ossessionate dalla minaccia di un protagonismo femminile e femminista in politica. E fanno bene a essere terrorizzate, perché il giorno il cui il femminismo sarà la potere – un femminismo transfemminista, anticapitalista, antirazzista – cambierà davvero tutto. Le figure come Meloni, invece, garantiscono la stabilità e vengono presentate come il modello di carriera per la donna. Il problema, se vogliamo, è tutto a sinistra, perché questo campo non è pronto a consentire l’affermazione della figura femminile in un altro modo.
Ha fallito la politica di genere della sinistra?
I partiti della sinistra istituzionale hanno sempre trattato la figura delle donne in modo strumentale e terribile o come figura di presenza e complemento. A sinistra, le donne sono state messe ai margini quando non servivano e non difese quando venivano attaccate violentemente. La Meloni analizza in maniera impeccabile questo elemento. Giustamente, lei dice che la sinistra è ipersessista e sottolinea che ha problemi con le figure femminili. Dal suo punto di vista, la destra non ha questo problema.
Meloni racconta di essere ascesa al vertice dopo tanta gavetta. Lei vuole incarnare anche un modello di emancipazione?
Il problema risiede tutto in una retorica sui gruppi subalterni, perché c’hanno raccontato che non c’era un problema strutturale di rapporti di forze, non c’era un problema che il potere fosse concentrato fra le mani di cinquanta maschi bianchi straricchi. La novella raccontata fin qui è che nel capitalismo tutti abbiamo le stesse opportunità. Non importa se sei donna, nero, povero. Basta essere bravo o brava, ma abbiamo tutti le stesse opportunità. Poi, però devi affermarti da solo, perché con la meritocrazia si potrà arrivare in alto. Il risultato di questa retorica è Giorgia Meloni, perché, quando non si ragiona sulle strutture di potere oppressivo, che non permettono a tutte e tutti ma solo ad alcuni di arrivare al potere, il risultato è questo. Il problema dunque è della sinistra istituzionale, ma noi dovremmo ragionare anche nei luoghi di movimento e riflettere meglio su come si costruiscano spazi di possibilità e di emancipazione collettiva dal potere, che rompano anche con il cliché dell’ascesa del solito leader maschile.
Parliamo di Sud e classi subalterne. L’analisi dei flussi elettorali, dimostra un dato preoccupante: in alcune zone del Mezzogiorno, circa il 50% degli aventi diritto non si è recato alle urne. Come va letto questo dato?
C’è un primo elemento che mi colpisce e viene molto poco citato. Nei miei studi mi occupo principalmente di emigrazione. Al Sud fisicamente le persone non ci sono. Rimango scioccata dall’assenza di questo dato, che sparisce puntualmente dal dibattito pubblico ad ogni elezione.
Ti riferisci allo spopolamento delle aree interne?
Non solo. Il Sud è storicamente un luogo di emigrazione. Oggi lo è come e più di prima, considerando oltretutto che, dal 2008, l’Italia intera è in una nuova fase di emigrazione all’estero fortissima. Il nostro Paese è tra i primi dieci paesi al mondo di provenienza di emigranti. Dal Sud c’è un doppio movimento, interno ed esterno, perché c’è una migrazione verso il Nord e verso l’estero. Entrambi questi fenomeni migratori non si associano al cambio di residenza. Intendo dire che chi va all’estero non si iscrive subito alle liste di residenza, ma lo fa in media dopo quattro anni dalla partenza. In Italia, non ci si pone minimamente il problema di far votare queste persone in una maniera all’altezza dei sistemi tecnologici vigenti. Non c’è un ragionamento sullo svuotamento che attraversano paesi e città. Queste persone non hanno accesso facile al voto. Tornare per farlo non è facile e i costi dei trasporti non agevolano.
Quindi, il problema non sono tanto gli ingressi clandestini, quanto le partenze verso l’estero di chi nasce qui?
È incredibile che il dibattito sull’emigrazione sia stato cancellato, anche perché è un tratto essenziale della questione meridionale. Questo è un grande successo della retorica di Salvini e Meloni che c’hanno convinto del fatto che siamo un paese sotto assedio, in cui la gente vuole venire e non un posto che la gente vuole abbandonare. Questa è un’altra grave lacuna della sinistra. Tornando al discorso della partecipazione al voto, c’è poi da dire che fra chi rimane c’è disaffezione, che poi è un dato globale in comune con l’Occidente e il Nord del Mondo. Ciò che si nota è che la disaffezione interessa soprattutto le categorie più giovani della popolazione. In Italia, questo fenomeno è esponenziale, perché abbiamo una classe dirigente vecchia, stantia. Gli unici esempi di giovanilismo che abbiamo, per giunta inquietante, sono Di Maio e Sartori, che hanno fatto della loro de-politicizzazione un vanto. Anziché recuperare il valore del crescere all’interno della militanza di base, ci si sputa sopra. Meloni, al contrario, lo fa, tra l’altro rivendicando militanza di base nei gruppi neofascisti, come se niente fosse. Eppure, è l’unica che ne parla. Anche su questo c’è da riflettere.
Accennavi della questione meridionale. È ancora attuale?
Il Sud Italia è una delle aree più depresse e povere d’Europa. Coi tassi di disoccupazione più alti. Vivere in un paese in cui ci si sente costantemente negligenziati da uno Stato molto lontano non è il massimo. Carlo Levi, parlando del Sud Italia, diceva che: “Qui lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte”. Disaffezione verso il voto nasce perché ci sente alle periferie non solo geografiche, ma soprattutto politiche. Tuttavia, in Sud Italia ci sono altre forme di partecipazione politica che sono anche molto vivaci e capillari. Esiste un attivismo di base, esistono associazioni, spazi occupati, collettivi che, proprio durante la pandemia, in questi territori già dimenticati dallo Stato, hanno dimostrato che vuol dire reggere grazie all’autorganizzazione di chi già era abituato a resistere da solo.
Un altro dato rilevante è che al Sud il primo partito è ancora il Movimento 5 stelle. È per questo che la Meloni si è scagliata da subito contro il reddito di cittadinanza?
Contro il voto al Movimento 5 stelle e il reddito di cittadinanza esiste una crociata che è intrisa di una feroce pulsione antimeridionale. Si parla dei percettori di reddito come se avessero una pulsione antropologica al non voler lavorare, che c’arriva pari pari da Lombroso. Non c’è un ragionamento su una realtà come Napoli, che è la terza città d’Italia, in cui la disoccupazione giovanile sfiora il 50% perché non ci sono lavoro e prospettive di piena occupazionalità. È ovvio che il reddito venga ritenuto come una misura che consente alle persone di arrivare alla fine del mese. Il discorso dell’eliminare il Rdc è cavalcato tanto dalla Meloni quanto a sinistra, perché è molto forcaiolo e continua a far riecheggiare tutta una serie di ragionamenti sulla pigrizia meridionale, che non riusciamo ad attaccare e che stanno ancora tutti là. Per quanto il nazionalismo italiano negli ultimi anni con Salvini abbia fatto questa grande opera di “nazionalizzare” il Sud, continua a basarsi sull’alterità del Mezzogiorno, perché in quest’area del Belpaese c’è qualcuno che è meno italiano degli altri.

Foto di Maruf Rahman da Pixabay 

Cosa pensi della rivolta delle donne in Iran?
Non sono un’esperta di Medio Oriente. Mi interessano molto i processi di lotta ed emancipazione femminista che non partono in maniera così unidirezionale dall’idea che ci sono, da un lato, donne più emancipate, evolute e moderne e, dall’altro, donne meno emancipate e moderne che devono essere salvate dalle prime. Questo è un grande problema presente nel femminismo europeo, che spesso dà una lettura distorta dei paesi arabi e delle società islamiche. Lo sguardo che noi esercitiamo verso questa rivolta delle donne iraniane è molto interessato, ma non deve essere paternalista. In Francia, ci sono già tentativi di strumentalizzare questa rivolta per rinforzare una serie di leggi che proibiscono l’uso del velo alle donne musulmane, questo perché la Francia ha un problema di islamofobia pesantissimo. Paola Rivetti, che insegna in Irlanda, sta facendo un lavoro di documentazione importantissima al riguardo. Per ciò che concerne noi, più che pensare di come dare la pacca sulla spalla alle donne iraniane, dovremmo chiederci cosa imparare da loro, perché in questo momento storico – in cui ci troviamo Meloni al governo, la Corte suprema degli USA che vuole eliminare l’aborto come un valore universale nel ventre di quella che viene ritenuta la grande democrazia occidentale- forse dovremmo mettere in discussione chi deve dare lezioni a chi.
Se le sinistre dovessero tornare a scuola, quale lezione dovrebbero apprendere per tornare a essere riferimento per le classi subalterne? Penso che in Italia, a un certo punto, ci sia stato un grande problema nell’intendere la relazione tra i diritti civili e i diritti sociali. I diritti civili sono stati visti come un qualcosa di più, come un vezzo per chi è in una posizione privilegiata. Questa è una retorica di destra, che però è stata inverata e incarnata a sinistra. Tutto ciò è delirante. Ci troviamo dunque schiacciati in questa retorica che tira fuori all’occorrenza la bandierina dei diritti civili – come fa il Partito Democratico con discorsi con discorsi edulcorati e ipocriti- quando sono stati al governo e hanno votato leggi razziste e assassine sui migranti.

L’hashtag Metoo da cui si è sviluppato il movimento femminista con gli abusi sessuali dal 2017.  Foto di Mihai Surdu da Pixabay 


E la sinistra radicale?
Qui, invece, viene applicato il discorso inverso, a volte atterrente. Si parla della necessità di tornare alla lotta di classe, intesa come difesa dei diritti sociali, come se questa cosa stesse da un’altra parte rispetto ai diritti civili. In sintesi, è come se difendere il diritto al lavoro non significasse difendere i diritti di persone trans, non bianche, donne per le quali accedere ai diritti lavorativi non fosse ancora più difficile. Come se femminismo, antirazzismo e anticapitalismo non fossero la stessa cosa, che deve essere tenuta insieme. Essere donne e lottare contro le molestie non è solo il tweet della donna bianca hollywoodiana miliardaria, ma l’esperienza di donne che tutti i giorni subiscono molestie nell’andare a lavoro o perdono il posto se lo denunciano. Siamo un Paese in cui un’insegnante trans è morta suicida per il livello di mobbing che ha subito, perché le impedivano di fare il proprio lavoro. Questa è lotta di classe.
In breve, bisogna tornare a unire battaglie per i diritti civili e battaglie per i diritti sociali?
Audre Lorde diceva che non esiste una lotta single issue, legata a un solo tema. Noi non viviamo vite a compartimenti stagni. È disperante tutto questo ed è assurdo che si faccia ancora così tanta fatica nel comprendere la materialità in cui le lotte si intersecano nella vita delle persone. Si parla molto di intersezionalità, ma sembra una parola vuota se non la riempiamo della vita e delle storie delle persone che si posizionano all’interno delle oppressioni e delle lotte che fanno per resisterci.
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