L’urlo è manifestazione di intimità non diversamente esprimibile.
Da Munch a Ginsberg è irruenza pura che si trasforma o in pittura perfettamente spiegabile, o in poema di immagini taglienti e fredde.
C’è un filone delle produzioni artistiche che ricerca la spietatezza, nella decostruzione dei significati legati alla corporeità, di cui la sessualità è solo un aspetto.

Qui sopra, una scena dello spettacolo. In alto, Luca Pizzurro firma copie nello stand
dell’editore Gremese, al Salone del libro
che si è svolto a Napoli dal primo al 4 luglio a Palazzo Reale

Il teatro si allinea alla dinamica di scontro, perché amplificatore di condizioni largamente condivise. E perché da sempre ha praticato l’aggiornamento sociale passando attraverso lo strappo, piuttosto netto, con il sentire comune.
Lo spettacolo teatrale costringe a vivere il contrasto, perché sul palco c’è la nostra stessa vita, riarrangiata ed espressa dalla contemporaneità di un corpo vivo che da un punto privilegiato ci urla, perfettamente, chi e che cosa siamo.
Alluccamm, di Luca Pizzurro, con Andrea Fiorillo e Mauro Collina, è inaspettato, ma non poco atteso, nella bellissima cornice del Real Bosco di Capodimonte.
Uno dei maggiori beni comuni di Napoli si trasforma in un carillon ciclopico per ospitare le messe in scena serali (un urlo improvviso al termine di mesi di coprifuoco) della sezione Osservatorio del Campania Teatro Festival.
Per Alluccamm, il palco è un punto luminoso nel Giardino paesaggistico di Porta Miano. Un percorso di luci color fuoco e di immagini in movimento proiettate sui grandi lecci segna la via fino alla platea.
Pizzurro porta, dove le lucciole mettono in scena i loro riti d’amore, una storia che ha il suo focus sul disamore.
Lo spettacolo è narrazione di un stato emergenziale. Vi è necessità di nascondere e nascondersi, in una circostanza in cui l’unico modo di sopravvivere, emotivamente e fisicamente, è limitarsi.
Si è a Napoli, nei quartieri spagnoli, nelle settimane seguenti l’armistizio del ‘43. I soldati nazisti irrompono nelle case, uccidono senza troppe parole,  giustiziano a beneficio di telecamere per la propaganda con masse di persone costrette ad osservare.
Dolores (Andrea Fiorillo) è un’ex sciantosa costretta alla prostituzione. Non esce più da una casa a cui dedica tutte le sue forze, ospita in loco i suoi clienti e ha un reale contatto umano solo con Jolanda (Mauro Collina), una giovane prostituta con cui condivide la medesima sorte, e null’altro.
Ma la linearità della trama si interrompe qui. Dolores e Jolanda sono due Femminielli, e la loro identità faticosamente costruita va in frantumi quando il reclutamento per i lavori forzati imposto dai nazisti mostra che la burocrazia poco è sensibile alla identità sessuale, se questa cozza con i tratti biologici.
La recitazione va avanti a singhiozzi. L’impossibilità di urlare quello che si è, quello che si vuole essere, è il centro di tutto. Lo spettacolo è giocato sul filo della tensione, continuamente, il dramma si confonde con momenti di euforia, persino gioiosa convivialità, ma sempre gravata dalla realtà che richiama inavvertitamente, improvvisa e furiosa. 
A differenza di Jolanda, persona frivola, Dolores si porta addosso una complessità d’animo che la rende personaggio difficilmente interpretabile.
La sua storia è il suo corpo, prima rifiutato, poi integrato in un ruolo socialmente riconosciuto, poi degradato nel momento in cui gli eventi la costringono a trovare un modo per ripensarsi. La sua vita è attraversata da continue ferite, da drammi interiori che la rendono oscura, imprevedibile.
Quello che non si dice non si intuisce, ma viene rivelato gradualmente.
Una serie di complicazioni trascinano le due amiche in una danza di odio e amore, in cui anche l’affetto si manifesta in un crescere di isteria.
L’incontro con una neonata, poi, farà provare loro la bellezza e il terrore di una maternità che non potranno mai vivere.
I due attori sul palco sono eccezionali, interpretando al meglio dei ruoli che con minore esperienza rischiano di volgere verso la macchietta. L’uso della lingua è sagace, con battute che in qualsiasi altro contesto stonerebbero.
Tutto è esuberanza e dramma, è scintillio e miseria, in una deformità quasi barocca, con eccesso e pochezza che si alternano senza soluzione di continuità.
Alluccamm è uno spettacolo attuale non per continuità, ma per contrasto.

I Femminielli napoletani erano personaggi chiave, nella vita del loro quartiere. Non occorreva che si nascondessero, non occorreva che nascondessero la loro natura sofferta, quella  matassa mbrugliata in un corpo che non sente suo. La perdita culturale di una figura cui Napoli deve molto, ci fa apparire il lavoro di Pizzurro come un semplice richiamo alle battaglie civili dei nostri giorni. Ma non è così.
Il femmeniello è una figura verso cui Napoli ha un grandissimo debito, che perse centralità solo con la trasformazione della città in metropoli, come dice Mariano d’Amora, in un articolo sulla centralità del Femminiello nella cultura e nel teatro napoletano.
Tuttavia, anche in Alluccamm la ricerca dell’identità è percorso doloroso. Pure se cercato nel favore degli altri, è questione molto più personale.
La ridefinizione dell’ identità arriva, per Dolores e Jolanda, attraverso la distruzione di quanto costruito. Una discesa verso il fondo che trova la sua massima espressione nel corpo ferito.
Il riconoscimento, della vera identità delle due, giunge in fine anche da parte della collettività.
I femminielli vengono riconosciuti per quello che sono nel momento in cui dalle barricate sono i primi a essere mandati incontro ai soldati tedeschi. Questi da lontano non sparano a quelle che sembrano donne.
Un riconoscimento che è ennesima beffa, aperto sfociare nel dramma. Tuttavia, permette a Dolores e Jolanda, novelle libertà alla guida del popolo, di alluccare pienamente la loro rinnovata identità.
©Riproduzione riservata 


La sceneggiatura di Alluccam, di Luca Pizzurro, è edita da Teatro Gremese, acquistabile a questo link al costo di 10 euro.

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