Una Mmesca Francesca. Lo dice chiaramente sul palco grande della Villa Floridiana al suo debutto in anteprima nazionale, in occasione del Campania Teatro Festival, Enzo Decaro che dà voce e corpo a Oreste Bruno da Nola, capo di una famiglia di teatranti in fuga da Napoli dove infuria la peste, insegue il suo sogno: incontrare un’eccellenza del palcoscenico, Jean-Baptiste Poquelin, ovvero il signor Molière, attore gigantesco e geniale commediografo d’oltralpe.
Il termine napoletano Mmesca Francesca vuol dire mescolanza, miscuglio e indica una minestra variegata, un’insalata di verdure miste, una farina di diversi grani, un insieme di cose, animali o persone: ed è davvero un intreccio di reminiscenze L’avaro immaginario che fa riferimento esplicito al personaggio di Arpagone, L’avaro dell’autore francese e all’altra emblematica figura tracciata dalla sua penna, l’ipocondriaco Argante.
Ma l’adattamento di Decaro, che oltre a esserne l’interprete, ne cura anche la regia, affonda la scrittura pure nella tradizione dei De Filippo, di Eduardo, ma anche di Peppino e suo figlio Luigi. E questa Mmesca Francesca richiede a chi recita immensa abilità nel dare un’anima alla storia, emozionando il pubblico.
Al centro della scena, la carretta della compagnia, simbolo di quel magico mondo che è il teatro intorno al quale ruota l’azione: una carovana sbilenca che rappresenta un’umanità in cerca di baricentro, in un secolo difficile, il Seicento (metafora dell’esistenza) flagellato dall’epidemia e dall’Inquisizione.
L’inquisizione si aggira come un’ombra insistente nelle parole degli attori e delle attrici: questa scalcinata compagnia di teatranti, che si arrabatta come può per racimolare qualcosa da mangiare ogni volta che si esibisce, è imparentata con Giordano (all’anagrafe Filippo) Bruno, il filosofo dominicano che finì sul rogo a Roma, a Campo dei Fiori per i suoi infiniti mondi e il suo libero pensiero che cozzava contro un potere arrogante e sordo.
La sua eresia, evocata attraverso la commedia il Candelaio, fa da specchio alla satira di Molière che per Oreste è uno che non le manda a dire alla società del tempo, mettendone a nudo le debolezze.
Il capocomico sottolinea che ci vorrebbe uno come lui per ridimensionare il potere spagnolo che soffoca con le tasse Napoli, città che ha resistito all’Inquisizione, sbarrandole il passo.
Un malinconico Decaro, sognatore che non smette di scrivere le sue lettere mai recapitate a Molière, si confronta in scena con una Nunzia Schiano completamente calata nei panni della sorella Filomena, capace di richiamarlo, attraverso la saggezza dei proverbi, ironicamente alla realtà (ribadisce spesso che è fernuto ‘o puorco, cioè non c’è più nulla da mettere sotto i denti) e di invitarlo a tornare a casa, dopo l’arrivo Parigi e la morte dell’amato Molière di cui si scopre infine un lato oscuro.
A completare la coppia artistica, personaggi di grande energia come Amadora, incarnata da Ingrid Sansone, donna dal fosco passato di maga/strega, sfuggita al fuoco del peccato.
Non di minore spessore, gli altri interpreti (Carlo Di Maio, Massimo Pagano, Giorgio Pinto, Fabiana Russo, Luigi Bignone) che, nella scena finale, ricordano in musica come il raggio di sole della vita sia proprio il teatro stesso. Da ottobre a dicembre, L’avaro immaginario sarà presentato in un intenso tour nazionale.
Intanto, tra i prossimi appuntamenti della rassegna diretta da Ruggero Cappuccio, domani martedì 4 luglio, alle 21, al Mercadante, una signora del palcoscenico come Angela Pagano, diretta da Antonio Marfella, ci racconterà ” Il diario ritrovato”, a cura di Francesco Scotto.
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In copertina, Enzo Decaro in scena, fotografato da Guglielmo Verrienti

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