Donne che raccontano di donne, un concentrato femminile avanzato con il linguaggio del corpo, della gestualit , le mani che “accompagnano” la parola. Quattro storie di genere.
Di questo tratta “La voce delle mani” di Delia Morea, edito da ilmondodisuklibri (pagg. 110 euro 11,00). Enzo Moscato chiosa i fondamentali nella prefazione.
La prima pièce è monopolizzata da Anna, vivandiera e prostituta che incrocia la vita di Giovanna D’Arco, la Pulzella d’Orlans, l’eroina di Francia portata al rogo dagli inglesi nel 1431.
Emerge con assoluta chiarezza il contrasto delle due vite, quella della vivandiera all’ombra dell’eroina di Francia, la trionfatrice, l’ammaliatrice del popolo francese. La prima fatta di stenti, di lavoro, di sudore, cacciata di casa minorenne per disonore. La seconda piena di successi, di trionfi guerrieri, di sentimenti positivi.
Il secondo testo, struggente e drammaticamente attuale. Un matrimonio avvenuto sull’onda giovanile, ambedue fieri e vogliosi di vita. Desideri e speranze in movimento.
Poi un aborto, sogni infranti. Lui laureato, precisino, tutto lavoro e libri. Lei ingabbiata in una vita piena di lui “assente”. Finale a sorpresa, naturalmente doloroso.
Mi chiamo E. è il titolo del terzo momento di questo libro.
Un dialogo immaginario di una donna. A questo punto del libro sovviene l’idea di uno scritto psicologico, introspettivo. Donne che si raccontano. Ansie, paure, niente luoghi comuni, niente prosa generalista ma che ricerca identit  personali, voci interiori.
Chiude con una recita straordinaria, narrativa lineare, scorrevole, commovente. La durezza della vita, gli stenti, la miseria. Il doversi “fingere” di fronte a ciò ma non perdendo mai la propria dignit , i propri valori, quella voglia di credere in se stessi fino all’ultimo respiro.
Napoletana, scrittrice e giornalista pubblicista, specializzata in critica teatrale. Collaboratrice di riviste e quotidiani, con Avagliano ha pubblicato nel 2007 il romanzo "Quelli che c’erano". Delia Morea ci porta sul palcoscenisco delle sue protagoniste.
Le inquietudini femminili raccontate da una donna. Il compito è più difficile?
Difficile e facile insieme. Difficile perch le donne che racconto – sia che si tratti di personaggi inventati sia che abbiano dei precisi riferimenti storici – sono “altre” da me. Come scrittrice ne racconto le vicende, compongo tratti caratteriali, impulsi, sentimenti, immagino il loro vissuto ma, nel contempo, ne sono fuori. Sono personaggi che vengono incontro, che hanno voglia di essere vissuti attraverso la narrazione, in questo caso drammaturgica. Le loro inquietudini diventano le mie nel momento in cui sono attraversate dalla scrittura. Facile perch non è impresa ardua, da donna, descrivere le inquietudini delle donne. Sono una donna che è immersa nel quotidiano, che osserva, che tenta di captare le sfumature, i momenti dolorosi e quelli di gioia, le insoddisfazioni, le inquietudini, appunto, che appartengono all’ “animus femminile”, a mio avviso oggi più di ieri. Tutto ciò viene da me metaforizzato, veicolato, nel tentativo di diventare momento di riflessione universale attraverso la scrittura.
Le sue pièce hanno tutte un epilogo drammatico. E’ solo linguaggio forte o altro?
Non ho mai deciso di scrivere queste storie teatrali per il solo gusto di usare un linguaggio forte. Non mi interessa nella scrittura meditare sull’uso di eventuali escamotage per creare un “fatto” narrativo. L’epilogo tragico deriva in maniera naturale dalle stesse storie che ho raccontato e il linguaggio usato ne è in qualche modo la veste adatta. Le protagoniste delle mie quattro pièce sono eroine conclamate storicamente oppure donne comuni. Ma tutte si scontrano con il loro destino. Ho scritto questi testi in epoche diverse ma la tragicit , forse l’amarezza di fondo li unisce come se fossero stati scritti l’uno di seguito all’altro. La mia visione della vita non è negativa ma di certo vuole dare conto del fatto che noi donne, spesso, navighiamo mari in tempesta. Ciò non esclude, nel futuro, che le cose possano cambiare.

I soggetti femminili vivono quasi sempre all’ombra di altre o altri. Qual è il senso?
Un senso che spesso è nell’ordine delle cose della vita. Si può vivere all’ombra degli altri o addirittura all’ombra di accadimenti più grandi di noi. Non tutti sono protagonisti o vincenti e io, spesso, amo i perdenti. Il tentativo della mia scrittura si propone di indagare tra gli umani.

In foto, la copertina del libro e l’autrice mentre firma le copie dei lettori incontrati alla Feltrinelli di via San Tommaso d’Aquino (Napoli) in occasione della presentazione del volume il 25 settembre

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