“Giù le armi, su i salari”, è stato uno dei numerosi slogan emersi dalla manifestazione che il 5 novembre ha sfilato per le strade di Napoli per protestare contro guerra, carovita, disoccupazione.
Migliaia di partecipanti – secondo gli organizzatori, ventimila – provenienti da diverse realtà d’Italia, hanno dato spessore ad un corteo che ha riproposto lo slogan “Insorgiamo”, mutuato dalla lotta degli operai fiorentini della GKN, presenti al corteo con una delegazione che si è stretta in un abbraccio fraterno e solidale con i colleghi della Whirpool di Napoli. Notevole è stata la partecipazione di studenti e disoccupati, che hanno dato forma e colore alla protesta, fra gli striscioni di organizzazioni politiche e sindacali di base.

In copertina: un momento della manifestazione. Sopra: lo spezzone degli operai fiorentini della GKN al corteo di Napoli

La manifestazione partenopea si è svolta in simultanea all’imponente corteo per la pace tenutosi a Roma ma, rispetto ad esso, ha differito in alcuni punti alla base della piattaforma che ha convocato l’adunata. Come si può dedurre dal manifesto del Comitato contro la guerra Napoli, fra i promotori del corteo, si chiede l’immediato cessate il fuoco e la ripresa delle trattative fra Russia e Ucraina, al fine di porre un freno all’inquietante escalation militare in atto.
Si chiede anche di bloccare immediatamente l’invio di armi in Ucraina che, oltre a perpetuare la guerra, dal 2015 a oggi sono costate circa 500 milioni di euro ai contribuenti italiani. Infine, i manifestanti hanno chiesto la rimozione delle sanzioni alla Russia, che non vengono comminate ad altri feroci regimi nel Mondo e producono soltanto un insostenibile aumento del costo della vita.
L’origine delle sanzioni alla Russia viene da lontano. Come spiega l’economista Emiliano Brancaccio a Roberto Ciccarelli in una recente intervista (Il Manifesto, 3/11/2022): «L’inizio delle “sanzioni” americane e occidentali risale a molto prima dell’invasione russa dell’Ucraina, addirittura a prima di Trump. Con l’invasione sono chiaramente aumentate. Ma inviterei a interpretarle in una prospettiva storica molto più ampia. Dagli anni del libero scambio globale gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri paesi occidentali alleati hanno accumulato un enorme debito verso l’estero, in primis verso la Cina ma anche verso la Russia e altri paesi asiatici. Da tempo gli occidentali tentano di porre rimedio a questo colossale squilibrio con chiusure finanziarie e commerciali che giustificano con varie pennellate ideologiche, non ultima la scusa di voler chiudere a regimi che oggi definiscono «illiberali» ma con i quali in passato facevano affari senza tanti scrupoli. Oggi le chiamano «sanzioni» ma in realtà è una continuazione del protezionismo».
Accanto a questi temi, si sono fatte largo nella piazza altre questioni più marcatamente sociali, come la richiesta di calmierare i prezzi di affitti e bollette, la difesa del reddito di cittadinanza a fronte della povertà dilagante, il superamento della disoccupazione nel Mezzogiorno. Non a caso, uno degli spezzoni più imponenti è stato quello del Movimento di Lotta – Disoccupati “7 novembre”, che ha chiesto di sanzionare i profitti delle banche e delle multinazionali, contro “salari da fame, carovita, repressione”.
La piazza di Napoli si è caratterizzata per una richiesta netta di fuoriuscita dell’Italia dalla Nato. Va da sé che moltissimi manifestanti napoletani e meridionali si sono recati anche a Roma, dove si è svolto un corteo per la pace che ha fatto registare, secondo gli organizzatori, circa centomila partecipanti. In un momento così delicato, in cui si osserva un’instabilità delle relazioni internazionali fra le grandi potenze capitalistiche, è da evidenziare che la ripresa di queste mobilitazioni per la pace siano del tutto salutari anche per disintossicarsi da una propaganda bellicista che infesta quotidianamente giornali e notiziari televisivi.
L’auspicio è che, nel moltiplicarsi delle iniziative, si tenda a confluire in un unico movimento per la pace che riesca a imporre al governo una sterzata dall’aumento delle spese militari a discapito di istruzione, sanità, ambiente, ricerca, lavoro.

Uno scatto della nutrita partecipazione alla protesta [Photo credit: Fabrizio Greco, Movimento di Lotta – Disoccupati “7 novembre” e InfoAut, che si ringrazia per l’amichevole collaborazione]

Secondo l’ultimo sondaggio della Ipsos, solo un italiano su quattro ritiene che si debba continuare ad inviare armi in sostegno del governo ucraino. In base a quanto riportato dalla Swg, invece: «il 46% degli italiani auspica un accordo per far cessare la guerra anche a costo di concedere alla Russia una parte del territorio ucraino» (fonte: Il Fatto quotidiano, 5/11/2022).
Resta il fatto che la maggioranza degli italiani vuole la pace e chiede maggiori misure a sostegno delle classi lavoratrici e delle fasce sociali più colpite dalle crisi sistemiche e dai venti di guerra. Motivo per cui è presumibile che, nei prossimi mesi, assisteremo a nuove mobilitazioni.

ALCUNE FONTI E LINKS DA CONSULTARE:

https://ilmanifesto.it/brancaccio-sabato-in-piazza-per-la-pace-giu-le-armi-e-su-i-salari

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/05/piazza-pace-sondaggisti-opinione-diplomazia-consenso-armi/6861731/

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