la fine del dialogo, della conversazione.Lei che ti serve svogliatamente la cena, mentre il mega schermo da 50′ assorbe tutta la tua attenzione, cronaca calcistica o telegiornale fa lo stesso. Quegli occhi ostinatamente fissi sullo schermo che evitano di incrociare lo sguardo con i tuoi. L’indice rivelatore di stress quotidiano andato oltre la soglia è segnalato da uno zapping nervoso e insistito. Due fratellini che giocano ognuno con il suo gadget elettronico. Una vecchia coppia, logorata da annosa convivenza, volge le spalle a un vissuto comune e si dichiara implicitamente indisponibile alla rievocazione e al ricordo, la fine della condivisione individualizza le scelte perfino nell’entertainment televisivo, segnato dallo sky multivision.
A ciascuno il suo programma e il suo tv color in due ambienti diversi, naturalmente. Nemmeno più il divano biposto, gi  da tempo muto testimone della tangenza di due solitudini, irrimediabilmente chiuse in se stesse. Sempre di più. Il segno dei tempi. Eppure non si è mai parlato tanto come oggi notebook, il netbook, il tablet, il Pc, il cell, il tablet. Per quelli più avanti negli anni, le conversazioni disordinate, ricche di pause e interruzioni, irrispettose dei turni per l’ansia di dire, di rendere l’altro partecipe di una gioia o di un dolore, sono un pio ricordo.
Il lato positivo e umano della confusione custodiva in s un frutto prezioso lo scambio di idee. Gli interlocutori si guardavano in faccia, parlavano con gli occhi, la mimica del volto, le mani, le posizioni del corpo, oltre che con la voce con tutto il suo corredo di intonazioni, pause, esitazioni silenzi e non detto, carichi di significato quanto le parole e forse più. La conversazione virtuale piegata al ritmo sincopato e alla lapidaria brevit  di social networking e microblogging service. Con effetti linguistici macroscopici a livello lessicale e sintattico-grammaticale.
Lo tsunami non ha risparmiato nemmeno i segni di interpunzione. Al “punto e virgola” si recita gi  da tempo il de profundis. Parole trasformate a livello grafico in stringhe alfanumeriche “Ci6?”, “xch”… Il patriottismo linguistico boccheggia, è alle corde, cede a una offensiva particolarmente viva nell’area di significato relativa al campo informatico. Neologismi, angloamericanismi spesso inutili guai a indicare parole o argomenti chiavi in un Tweet denominando “cancelletto”, alla vecchia maniera il simbolo #, lo si chiama hashtag. Subiamo con rassegnata passivit , senza cadere nel ridicolo patriottismo linguistico dei francesi che optano, senza successo, per un improponibile “mot-diès”. La stessa “vecchia maniera” si indica con un “out of date”, ciò che fa tendenza con un “trendy” (sostitutivo del vecchio ”  la page” di quando imperavano, ma con maggiore sobriet , i francesismi).
Circolano in piena libert  cacofoniche italianizzazioni, si montora, si tagga, si twitta, si ciatta… Si parla di continuo, ma a spese di una vera conversazione. Si parla “a” l’altro invece che “con” l’altro. Internet, in versione mobile, ti permette di collegarti anche quando sei seduto in un caffè e di preferire il dialogo in differita a quello reale con l’interlocutore che ti sta di fronte, muto, sorpreso, imbarazzato se la tua presenza-assenza si prolunga eccessivamente nel tempo. Si scommette sulle partite e quant’altro, senza scomodarsi a raggiungere una sala scommesse, senza nemmeno raggiungere il Pc fisso nella postazione informatica che in un’altra stanza. Lo fai da dove ti trovi, magari steso sul divano, mentre in contemporanea ti giunge l’audio di un film che non stai guardando, guai a spegnere il televisore, o seduto sul water.
Invii sms, rispondi agli annunci, ti spacci, sposato con prole, come single; decanti una fisicit  immaginaria a una ignara e ingenua partner ancora in attesa dell’uomo giusto, spiattelli spudoratamente i tuoi gusti sessuali negli annunci personali; lanci profferte, menti, millanti, ti abbandoni alle adulazioni e alle audacie verbali, protetto dal vile ombrello dell’anonimato e del nick, proprio tu che nel confronto faccia a faccia e nella incertezza del confronto reale, saresti la perfetta incarnazione dell’imbranato.
Alone together, da soli assieme. Chiamatemi passatista, non importa, ma ridatemi la conversazione, quella vera, reale, l’intimit  della interazione viso a viso, l’emozione di cogliere un lampo di malizia in uno sguardo, la sgomento di leggere nei gesti dell’altro la disapprovazioni. Ridatemi il calore della conversazione umana e la scomodit  di raggiungere la persona che mi interessa in un posto lontano da me e con essa il rischio che il discorso prenda una piega imprevista, che mi becchi un vivo dissenso, un sonoro “no” o peggio ancora un “vaffa”. Di tutto, insomma, ma sempre meglio di una dialogo virtuale, di una conversazione in versione fantasmatica da ologramma.

Un foto emblematica dell’essere da soli, assieme

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