“Odio” è il titolo del nuovo racconto di Francesco Divenuto. Di seguito, pubblichiamo la seconda parte parte.
SECONDA PARTE

La funzionaria della casa editrice saluta e si allontana senza insistere; la serata si è prolungata più del previsto; il suo compito è finito e lei ora ha soltanto desiderio di andar via. La sera è fresca ed è piacevole passeggiare mentre il pensiero è ancora preso dalla questione; in realtà ancora non sa dare una risposta alla domanda: che cos’è l’odio?
– Buona sera professore.
– Oh! buona sera, è lei;
mi dispiace signora, avrei voluto fermarmi ancora ma come ha visto…ma noi ci conosciamo?
– Sì, …sono io.
– Oh! la voce mi era sembrata familiare
ma da dove ero non si vedeva bene. Come stai?
– Bene. Vedo che hai fatto carriera; del resto era quello che volevi, no?
– Si, non posso lamentarmi. E tu, che cosa fai ora?
Il professore finge di non cogliere il tono leggermente astioso delle parole della donna. Possiamo fermarci se vuoi, non so, sederci da qualche parte.
– Non vorrei farti perdere il treno.
– No, ho ancora tempo.
Ma ecco, possiamo entrare lì.
– Come sapevi che sarei venuto? Io ora abito in un’altra città.
– Sì. Ho seguito la tua vita, ma con discrezione- aggiunge seria-. Sono abbonata alla libreria che mi manda il calendario delle manifestazioni.
– Prendiamo qualcosa? Approfittando della presenza del cameriere tacciono.
Nessuno dei due ha ancora deciso se quel fortuito incontro deve diventare un campo di battaglia. Si guardano, in silenzio; certo si studiano.
– Ti trovo bene; vivi sempre qui? I tuoi studi come vanno?
– Sì insegno al Liceo; per continuare con l’Università avrei dovuto trasferirmi come mi suggeriva anche il mio professore. Poi i genitori anziani, sai, il tempo passa e alla fine si rinuncia. Anche tu stai bene. Ho letto i tuoi libri.
– Oh! mi fa piacere; continui a interessarti della disciplina?
– È l’unico legame con il passato, ti assicuro.
L’amaro della voce si materializza in una smorfia dolorosa. La donna, evidentemente, aspettava quell’incontro e non ha intenzione di spostare l’attenzione su argomenti futili. Le cose da dire sono tante e anche se possono risultare dolorose, è determinata a continuare.
– Non mi hai perdonato, vero?
Ormai il professore capisce che è del tutto inutile girare intorno a una domanda che è lì fra loro, che incombe e pretende di essere espressa.
– No, hai ragione, non ti ho perdonato ma soprattutto non ho perdonato me per non aver capito il tuo disegno, possiamo definirlo egoismo? Per non aver capito che saresti passato su tutto e su tutti pur di raggiungere il tuo scopo. Oh! certo quando si è giovani! L’ambizione, ecco un altro sentimento umano molto presente nelle nostre azioni, atteggiamento che non è da disprezzare anche se tu hai scelto la scorciatoia sposando la figlia de direttore; a proposito, come sta tua moglie?
– Ci siamo separati, troppo diversi.
– Sarei ipocrita  se ti dicessi che mi dispiace. Non sempre tutti i fili orditi ottengono un buon risultato.
– Già.
Dopo qualche minuto
, durante i quali ognuno dei due guarda nella sua tazza, il professore riprende:
– Per fortuna non abbiamo avuto figli; e ora eccomi, sono solo. Anche gli assistenti sai, ho sempre l’impressione che mi stiano trattando aspettando di ottenere qualcosa per la loro carriera.
– Di che cosa ti meravigli? La storia si ripete.
– Vedo che non mi risparmi. Sei amara; ma hai ragione. Ti ho ferita molto?
– Sì, ti ho odiato; per molto tempo. Ho trascorso giorni interi, settimane a pensarti nella maniera più cattiva possibile. No, non ti ho mai augurato il male fisico, non sono cattolica ma ho anch’io una morale ed anche una dignità; anche se quest’ultima, spesso, l’ho messa a dura prova come quando, ora, a pensarci, mi vien da ridere, scrivevo le recensioni ai tuoi studi, insinuando sempre che, dietro le tue ricerche ci fosse una squadra che faceva il lavoro sporco. Insomma ti ho accusato di baronaggio, di sfruttatore del lavoro dei tanti giovani studiosi che ti giravano intorno.
– Oh! eri tu quella odiosa che, oltre tutto, era capace di scoprire il lato debole del ragionamento.
– Non dirmi che le hai lette?
– C’era sempre qualcuno
che mi faceva trovare una fotocopia sulla scrivania; ma in maniera anonima. Certo qualche collega invidioso.
– No, fossi in te, non la chiamerei invidia; piuttosto è possibile che anche quel gesto fosse dettato dall’odio, odio di qualche collega al quale avevi fatto un torto; possibile che non hai mai sospettato di qualcuno?
– No. Ma forse avrei dovuto capire che eri tu.
– No, e come potevi; io pubblicavo con uno pseudonimo e poi le riviste che accettavano  le mie recensioni erano poche, e non quello che fanno tendenza. Il tuo nome, ormai, era intoccabile.
– Ma le considerazioni che facevi dovevano ricondurmi a te. Riprendevi argomenti sui quali avevamo discusso tante volte; non mi so dare una spiegazione.
– Oramai io ero lontana dai tuoi pensieri, oltre che dai tuoi interessi scientifici; mi avevi cancellata con tutte le tue forze. Mi sono sempre chiesta come hai potuto così da un giorno all’altro. Già. Io invece vivevo per ferirti; eri diventato un’ossessione. Vedi, anche in questa mia attività scientifica c’era odio. Certo, potrei aggiungere, giustificato dal torto subito. Ma questa sera tu hai detto una cosa giusta; hai detto che l’odio può anche essere considerato una forma, certo esasperata, di amore. Hai ragione, ti ho molto amato; in una maniera furiosa. Non accettavo ragionamenti, da parte di nessuno. Niente doveva distrarmi dal mio risentimento o meglio, sì, dal mio odio. E quando, dopo tanto tempo, ho smesso di amarti allora mi sono accorta che anche l’odio era svanito. Ora che ci penso non saprei quale dei due aspetti sia svanito prima; il confine, come tu giustamente hai ricordato questa sera, è labile ed io ogni giorno, come si sceglie l’abito da indossare, decidevo se, in quel giorno, la mia mente sarebbe stata interamente occupata dall’amore o dall’odio-.
La donna ha intenzione di colpire basso; e non è facile resisterle. Il professore la guarda ma senza rancore; la guarda come si guarda la propria immagine riflessa in uno specchio. Tutto il suo passato gli è messo lì davanti in maniera spietata. Se quella donna era stata capace di tanto odio, ebbene, lui era stato la causa di tutto questo.
– Eh! la tua vita come va? Il professore tenta di arginare la fredda voce della sua accusatrice, una voce che, anche se ora sembra senza rancore, cala come una lama e, soprattutto, non ha alcuna intenzione di smettere. Non vi è tregua possibile.
– Oh! vuoi sapere se sono sposata? Se ho un compagno? Insomma qualcuno con il quale condividere le mie giornate? No, sono sola. Non ho avuto tempo per coltivare amori o amicizie. Sì, sono stata molto presa. Sai l’odio è un sentimento che richiede tempo e applicazione costante anche se poi…-
Il professore è svelto a inserirsi in questa pausa interpretandola come un ripensamento.
– Sei pentita per tutto questo?
– No, non fraintendermi.
Rifarei tutto quello che ho fatto; ripercorrerei le stesse tappe, rivivrei gli stessi struggenti giorni d’amore anche a costo di rifare gli stessi errori ma certo questa volta starei ben attenta a distinguere i ruoli: il carnefice e la vittima. E ti assicuro, adesso saprei quale ruolo scegliere-.
Le tazze ora sono vuote e anche le loro voci.
– Professore, ma lei è ancora qui, come mai? Non è ancora andato. Di sicuro avrà perduto il treno.
Il professore guarda la funzionaria della Casa Editrice, come un naufrago guarda la costa che si avvicina. Ma è solo un attimo; poi decide di non approfittare dell’insperata possibilità.
– Oh! Non importa, prenderò il prossimo; ho incontrato una cara collega che non vedevo da tanto tempo e mi ha fatto piacere fermarmi a parlare con lei.
– Bene, allora buona notte. Arrivederci.
– Devo preoccuparmi? Mi hai presentata come una collega! E poi CARA? Quando dovrò aspettare ancora perché lo scorpione colpisca con il suo colpo mortale? Non sorridere, ti prego.
– Non nego di aver sbagliato nei tuoi confronti; puoi non credermi ma soprattutto non mi perdono per avere, sia pure involontariamente, sottratto una sicura e dotata studiosa ad una brillante carriera.
– Devo credere che mi stimassi tanto?
– Sì, molto ma, per favore,
non interrompermi; permettimi di aggiungere ancora qualche parola. L’ambiente nel quale viviamo, la stessa famiglia e poi le persone che incontriamo nella nostra formazione, hanno un certo peso per quanto riguarda le nostre scelte di vita non c’è dubbio. Fermarsi soltanto a questo dato, però, può risultare riduttivo e, a ben vedere, anche assolutorio. Tu hai deciso di interrompere i tuoi studi rinunciando ad ogni possibilità di carriera. Perché? Non eri convinta delle tue capacità? Ora è passato tempo sufficiente perché tu possa, con serenità, esaminare le vere, più profonde ragioni della tua rinuncia. In altri termini il nostro ruolo nella società, ossia la nostra volontà di affermarci, deve prevalere altrimenti fermarsi alle cause ambientali, culturali e familiari significa che nessuno è responsabile delle proprie azioni. È un ragionamento, questo sì, pericoloso, perché ci priva di ogni responsabilità, ossia dell’autodeterminazione.
E così tendiamo a nascondere, dietro stupide giustificazioni, i nostri fallimenti che poi, nella maggior parte dei casi, non sono veri fallimenti ma soltanto risultati diversi da quella costruzione mentale che avevamo fatto del proprio io, costruzione che quasi mai coincide con i risultati ottenuti e che ricordiamo con nostalgia senza, però, appunto, fare un serio esame.
Ciò nonostante, ammetto, risulta difficile individuare l’effettivo ruolo delle nostre scelte delle quali, pure, non possiamo fare a meno. Ma non ti rammaricare delle tue; ognuno deve, dico deve, tendere al disegno che desidera sopra ogni cosa senza preoccuparsi delle conseguenze. Io ho scelto la carriera e stai sicura che, anche senza quella che tu hai chiamato scorciatoia, avrei comunque combattuto per ottenere il risultato al quale aspiravo. Certo, mi è costato, e non poco, ma ho dovuto scegliere. Tu avevi privilegiato i sentimenti, la vita privata e mia moglie, ha puntato tutto sul giovane, brillante docente, assistente di suo padre. Alla fine, come vedi, abbiamo perso tutti anche se, sono sicuro, potendo ritornare indietro, rifaremmo gli stessi errori.
– Tu spieghi tutto e così ti assolvi. Tutti responsabili, tutti colpevoli. Anche questa è una scorciatoia. La vita è molto più complessa e non tutti gli avvenimenti si possono prevedere o affrontare senza pagare dazio. Ma ora è meglio che vai; non credo che ci siano molti treni a quest’ora.
– Mi ha fatto piacere rivederti.
– Per favore risparmiamoci stupidi e scontati luoghi comuni.
Questo nostro incontro è stato, come lo vogliamo definire: crudele? Disumano? Spietato? Scegli tu l’aggettivo più adatto per questa nostra partita; forse doveva essere, almeno da parte mia, una resa dei conti ma, alla fine, non abbiamo risolto niente ed ognuno rimane solo con la sua amara solitudine.
La mano del professore resta lì a mezz’aria ignorata dalla donna che, girate le spalle, si allontana piano.
Una volta giunto a casa, il professore invierà un messaggio alla Casa Editrice chiedendo di stampare una nuova edizione del libro per potervi inserire un altro capitolo.
(2.fine)

 


PRIMA PARTE
– Abbiamo tempo ancora per una domanda, ma non più di una, mi dispiace. Prego.
Non è molto tardi ma la libreria, dove si svolge l’incontro, ha orari precisi per i propri addetti; e poi il professore, del quale oggi si presenta il libro, ha già avvertito che non può fermarsi in città e che, dovendo rientrare con il treno, deve rispettare anche lui un orario.
– Prego, vedo una signora, lì, in fondo, prego signora, dica pure.
La funzionaria che presiede non è nuova a questi riti nei quali l’editore la coinvolge per promuovere la diffusione di un libro.
Questa sera l’autore è un importante docente universitario la cui presenza ha attirato molte persone, in particolare giovani.
– Prego, dica pure.
Come spesso accade in queste occasioni gli intervenuti si distinguono in due categorie molto precise: intellettuali frustrati, docenti trombati o scrittori falliti i quali con il pretesto di chiedere qualcosa in realtà approfittano di quel tempo concesso per esporre le proprie idee e non è raro il caso in cui queste abbiano poco in comune con l’argomento di cui si dovrebbe discutere. Insomma, il loro momento di notorietà è lì a portata di mano; quello è un palcoscenico inaspettato e loro intendono sfruttare l’occasione.
Vi è poi una seconda categoria fatta di persone, spesso molto timide, ma che trovano quello il momento giusto per tentare di superare la propria congenita difficoltà a parlare in pubblico.
La signora che ha alzato la mano certo appartiene a questa seconda categoria perché dopo un primo balbettio e un silenzioso raschiare in gola nella speranza di ottenere un suono più chiaro, porge la domanda breve e diretta e subito dopo, certo meravigliata lei stessa del coraggio che non sapeva di avere, si è quasi nascosta.
La moderatrice, avendo intuito le difficoltà dell’intervenuta e volendo aiutarla anche per accelerare i tempi, con voce alta si rivolge al professore.
– La signora chiede come mai nel suo libro, professore, avendo parlato dei sentimenti umani, ossia di quei moti, spesso istintivi, che regolano le nostre azioni, lei non ha parlato dell’odio.
Il docente spinge nel buio il proprio sguardo nel tentativo di distinguere la persona che ha avanzato la domanda, richiesta per nulla banale come lui stesso dice complimentandosi con l’anonima signora la quale intanto si è riseduta ritornando nell’anonimato. La penombra che avvolge le ultime file dell’affollata sala non aiuta per cui il professore si rassegna a parlare a tutti laddove non gli sarebbe dispiaciuto di rivolgersi alla persona in particolare.
L’argomento, infatti, era stato oggetto di incontri con i responsabili della collana i quali gli avevano rivolto la stessa osservazione. Ricorda, quasi con precisione, gli estremi della discussione che era stata lunga e non facile. La sua autorevolezza nella disciplina aveva alla fine convinto i curatori della Casa Editrice. Ed ecco che l’argomento ora ritorna nella sua brutale e, solo apparentemente semplice, oggettività.
Lui stesso, una volta deciso il “si stampi”, era stato preso da dubbi ma non aveva ritenuto opportuno recedere dalla decisione. Ed anche i suoi assistenti avevano compreso che non era il caso di ritornare sull’argomento.
Il comportamento umano, tante volte regolato dall’odio, non rientrava nello studio che il docente aveva pubblicato dopo anni di inchieste e indagini sul campo. Queste ultime avevano costituito la parte più difficile del lavoro. Dopo mesi di ricerche, molte delle quali avevano avuto come soggetto, gli autori di efferati delitti, di avvenimenti che avevano sconvolto l’opinione pubblica, aveva deciso di eliminare questo, diciamo sentimento, dall’oggetto delle sue analisi. Si era convinto, infatti, che le decisioni prese in momenti particolari della propria vita non potessero costituire materia di studio in quanto erano, quasi sempre, riconducibili ad avvenimenti imprevedibili, scatti d’ira, insomma comportamenti non dettati da un ragionamento, ossia da una logica che determina il nostro pensiero.
Prima di iniziare il docente si alza, certo per una cortesia verso i presenti ma, in realtà, nella speranza di vedere il volto della interlocutrice la cui voce, per uno strano flash della memoria, gli ha rimandato un tempo e, purtroppo, anche una persona della quale pensava di aver cancellato anche il ricordo.
– Lei, gentile signora, mi chiede perché non ho parlato dell’odio come uno dei sentimenti umani, certo uno di quelli ai quali molto spesso nella nostra vita ricorriamo o del quale, e questo quasi sempre contro la nostra volontà, siamo vittime; azioni delle quali subiamo conseguenze devastanti senza saper opporre nessuna difesa, senza poter evitare l’attuarsi del nefasto disegno, senza riuscire ad agire nel tentativo almeno di attutire il lacerante dolore che esso provoca in. noi oltre che nella vittima.
La voce del professore nel completare la frase si è quasi incrinata, particolare che non è sfuggito ai presenti e certo nemmeno all’anonima signora la quale se poteva prevedere le conseguenze della sua domanda certo non poteva misurarne l’intensità.
Ora il professore tace e, rendendosi conto dell’involontario clima che le sue parole hanno suscitato, si siede asciugandosi la fronte da un leggero velo di sudore. Nella sala il silenzio, seguito alle sue parole, è irreale. Con un sorriso la funzionaria gli porge un bicchiere d’acqua nel tentativo di attutire quell’onda di emozioni e dargli il tempo di riprendersi.
Il docente la guarda ma rifiuta e con un atteggiamento risoluto si rialza.
– Gentile signora, non so con quanta consapevolezza lei mi ha rivolto la domanda, riaprendo, certo involontariamente, una diatriba che ha già interessato alcuni amici e colleghi i quali, devo dar loro atto, hanno tentato, invano, di convincermi a inserire, nel mio studio, questo sentimento al quale lei ora faceva riferimento: l’odio. “Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s’addimanda? Oggi per poeva intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odî sottrarre”.
Il disagio che attraversa i presenti è palpabile. Che cosa significano questi versi e perché richiamati ora?
Il professore guarda i presenti con un sorriso ben consapevole dello sconcerto che le sue parole hanno suscitato.
– Avrei anche potuto ricordare quanto odio è nella letteratura; per esempio, nei personaggi danteschi ma non crediate, riprende ora rivolgendosi a tutti, che io con questi versi del sommo Leopardi, intenda sfuggire alla domanda della signora che, ripeto, è la questione che per mesi non mi ha lasciato sereno. Spesso uscivo dalle discussioni con i miei collaboratori spossato, fiaccato e, non poche volte, deciso a lasciar perdere tutto. Devo all’insistenza dei miei assistenti ed all’affetto degli amici della Casa Editrice se, infine, questo lavoro ha visto, come si dice, la luce. È vero, nel libro, come lei ha notato, non c’è alcun riferimento a questo atteggiamento così presente nella nostra vita. Presumo che lei sia una persona, forse una dei pochi, che abbia letto il libro, intendo dire tutto senza cioè soffermarsi soltanto su alcuni capitoli semmai spinti dalla curiosità di un argomento in particolare.
– Si, lo so, non abbiamo molto tempo, ora dice alla moderatrice che gli ha ricordato del suo treno, ma l’argomento è di quelli determinanti ed intendo rispondere semmai chiedendo ai gentili funzionari della libreria di concedermi tutto il tempo possibile.
– Dunque lei dice: l’odio. Come avrà certo notato gli argomenti trattati nel mio studio hanno una caratteristica in comune; sono tutti dettati da una esigenza, direi dalla necessità di derivare da un ragionamento; in altri termini, e qui semplifico soltanto perché sia più chiaro il concetto, ogni nostra azione è il risultato di un ragionamento; questo può essere più o meno ponderato ma è comunque il primo atto, direi il primo tempo dal quale, solo dopo, scaturirà la nostra azione. Le conseguenze, a volte anche negative di queste, non mi interessano; voglio dire che non ho voluto  giudicare l’etica di ogni azione. Questo è, semmai, compito di un’altra disciplina, un altro campo nel quale subentra l’azione giuridica e, se volete, anche quella morale. Ma ripeto, questi aspetti non mi hanno sollecitato nessuna riflessione. Ho semplicemente, mi si perdoni l’avverbio, voluto studiare la causa, il determinarsi di un ragionamento fino alle sue conseguenze, ossia fino alla messa in pratica di un’azione, diretta dipendenza di quel ragionamento. In altri termini, insieme ai miei collaboratori, abbiamo notato che nella gran maggioranza dei casi ad un determinato ragionamento, non può se non discendere per forza quella e soltanto quella azione.
Lei dice: odio.
Ecco ma chiediamoci allora
che cosa è questo sentimento che definiamo odio. Si potrebbe dire che è la causa, ossia il ragionamento primo dal quale discenderebbe poi una nostra azione. Ma in questo modo abbiamo soltanto spostato all’indietro il ragionamento.
Certo ora non ho tutto il tempo per riferire quanta verità ma anche quanta ragione contraria è possibile avanzare per questo ragionamento. Cercherò, quindi, di essere il più chiaro possibile senza, per questo, non rispondere, almeno spero, alla sua domanda.
Dopo una serie di indagini, di studi, di inchieste mi sono reso conto, confortato anche dai miei collaboratori, che è possibile individuare diciamo due forme di odio. Vi prego di accettare questa mia semplificazione dovuta anche al poco tempo a disposizione. Dallo studio di tanti casi di cronaca è emerso che la maggior parte delle azioni nefaste, ossia nelle quali è possibile individuare l’odio come sentimento determinate, l’azione era stata compiuta in un raptus, senza una eccessiva riflessione, direi senza un ragionamento costruito.
Non è un caso che quasi tutti gli autori di efferati delitti, dopo aver commesso questa loro azione, interrogati, hanno dichiarato di non ricordare molto. Lasciamo perdere i millantatori o, peggio, quelli che hanno detto di aver agito sotto l’influenza di suggestioni o addirittura voci che hanno dettato loro quel determinato comportamento. Tutte le indagini scientifiche hanno constatato e accertato la effettiva cancellazione dalla mente dell’imputato di ogni traccia del suo delittuoso comportamento.
Ebbene io dico che, in questo caso, il sentimento odio, se vogliamo ancora definirlo sentimento, entra, a pieno diritto, in un campo scientifico, un campo nel quale altri studiosi possono indagare e, semmai, cercarne le cause; tare ereditarie o ambienti fuorvianti nei quali questi soggetti si sono formati, costituiscono, com’è evidente, campi di studi determinati.
Ho anche voluto trascurare quello che, forse con eccessiva semplicità, ho individuato come altra forma di odio. Una forma molto più complessa della prima in quanto non sempre presenta le stesse caratteristiche.
Spesso l’odio può essere il prodotto di un desiderio negato o, anche, la cancellazione di una persona molesta o più brava di noi e, in alcuni casi,  questo odio si rivolge alla persona sbagliata, ossia innocente, nel desiderio che abbiamo di colpire la persona che, a nostro dire, ci ha fatto un torto, ferendolo nei suoi affetti.
Per essere più chiari non è raro il caso in cui l’odio è il risultato di un amore mal riposto; in altri termini è possibile notare che il confine fra amore e odio diventa così sottile da confondere i due sentimenti entrambi capaci di farci perdere la ragione”-.
Il disagio, più che il silenzio, che si avverte fra i presenti, è evidente, cosa di cui lo stesso professore si rende conto per cui, improvvisamente, tace.
L’applauso della moderatrice rompe quel senso di malessere che sembrava aver sorpreso tutti inibendo ogni altra reazione.
– Scusate, per favore. Ci piacerebbe ascoltare ancora il professore ma, come ho già detto, purtroppo il tempo a disposizione non ce lo consente. Grazie per essere intervenuti così numerosi, grazie ancora a Lei, professore. L’aspettiamo per una prossima occasione, Grazie a tutti.
Il rumore delle sedie copre il mormorio di molti che forse avrebbero ancora voluto fare domande. Fuori della libreria qualcuno avvicina il professore chiedendogli di autografare il libro appena acquistato. Tutto secondo un rito consolidato quanto, a volte, fastidioso.
– Professore, la macchina per accompagnarla alla stazione è qui, venga.
– No, grazie, ho ancora tempo, preferisco andare a piedi. Grazie ancora, mi ha fatto piacere incontrarla, mi saluti gli amici. Arrivederci.
(1.continua)
©Riproduzione riservata 
In foto, gridare come sintomo di odio nella coppia
Lunedì 23 giugno 2020

 

L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quello a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019).
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “Assuntina”.

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