Riceviamo (e volentieri pubblichiamo) da Paolo Vittoria pedagogista, docente universitario e giornalista. Collabora con Il Manifesto e JornalGGN. Condirettore della rivista Educazione aperta

L’ex sindaco de Magistris durante un dibattito. Al suo fianco, Paolo Vittoria

Nell’ambito di una serie di incontri con movimenti sociali per la costruzione di un fronte popolare internazionale, Luigi de Magistris interviene sull’attuale situazione di crisi strutturale e sistemica: a partire dall’esperienza di Napoli – l’ex sindaco si proietta verso un’agenda globale che vede i movimenti stessi come protagonisti di una politica e diplomazia dal basso, alternativa al capitalismo, per la pace, la cooperazione e l’accoglienza.
In uno scenario di militarizzazione, sta crescendo un fronte pacifista anche a livello internazionale. Qual è il significato che dai alla parola “pace” alla luce della tua esperienza di sindaco di Napoli?
Credo che la maggioranza del Paese abbia una posizione molto profonda e attenta sulla pace. Nella mia esperienza di sindaco di Napoli abbiamo lavorato con la diplomazia dal basso, creando una serie di rapporti, collaborazioni, cooperazioni per la pace: amicizie tra città del Mediterraneo europeo, mediorientale, africano che hanno fatto di Napoli un luogo di incontro tra territori martoriati da guerre come il popolo curdo, palestinese, sahrawi. Con delibera approvata in Consiglio Comunale è stata dichiarata “Napoli città di Pace”; abbiamo dichiarato il porto di Napoli denuclearizzato: non benvenute navi, sommergibili, portaerei a propulsione nucleare e con bombe atomiche a bordo. Con le associazioni pacifiste abbiamo sostenuto i corpi civili di pace, in sostituzione di una militarizzazione sempre più roboante; abbiamo conferito la cittadinanza onoraria ad Ocalan e ad Abū Māzen; abbiamo organizzato l’accoglienza dei bambini sahrawi, l’apertura dei porti ai rifugiati politici delle altre guerre. Tutti questi atti non sono mai stati contro qualcuno, ma a favore dell’autodeterminazione dei popoli, del riconoscimento di comunità.
Con l’economia di guerra, invece, trionfa e sghignazza il capitalismo.
Il capitalismo è in crisi da tempo e mostra senilità, aggressività e brutalità. Sta, quindi, in una fase molto pericolosa. Basta leggere il discorso di Draghi – ovviamente uno dei custodi di questo sistema – secondo cui – per far ripartire l’economia e affrontare le crisi energetiche, bisogna rilanciare il carbone, il fossile, gli inceneritori, il nucleare, eliminare i limiti dei veleni in atmosfera. Ci troviamo di fronte ai dottori della politica che, per curare le malattie che loro stessi hanno prodotto, usano medicine ancora peggiori, rendendo il pianeta inguaribile. C’è un aumento di concentrazione delle ricchezze, basta vedere i profitti che hanno fatto le multinazionali dell’energie e delle armi. Si impone una concezione oligarchica, verticistica e sempre più privatista di tutti i beni, dei beni comuni, del patrimonio pubblico: siamo di fronte a una recrudescenza del sistema capitalistico con un intreccio pericoloso tra economia di guerra, economia criminale, economia predatoria.
Economia di guerra e criminale fanno affari con le emergenze e lo stato di eccezione.
Il sistema capitalista ha bisogno di emergenze, di uno stato d’eccezione e vuole che questo divenga ordinarietà. Pensiamo alle emergenze ambientali da cui il sistema criminale trae profitto. Il sistema criminale fatto di mafia, politica e affari, non vuole che l’emergenza – come la guerra – finisca. Più c’è emergenza, più circolano denari facili: affidamenti diretti, si salta ogni regola, si privatizza e la gente accetta perché c’è l’emergenza. Non possiamo più prendere petrolio e gas dalla Russia e si rilancia il carbone dimenticandosi del cambiamento climatico. Guerra e mafie hanno molto in comune, sul piano di atteggiamenti militari e culturali: la sopraffazione del più forte sul più debole, lo stragismo, la strategia di intimorire. Nel peso del rapporto tra pace e guerra – come tra mafie e giustizia sociale – credo che il protagonismo lo possano avere i movimenti popolari dal basso.
Siamo di fronte al populismo di Stato: un disegno che viene da lontano
Siamo nella piena attuazione de “Il piano di rinascita democratica” di Licio Gelli con un Parlamento che doveva essere controllato senza una reale dialettica maggioranza-opposizione. Oggi abbiamo un Parlamento omologato che ratifica con voti di fiducia; da anni non c’è un premier con legittimazione popolare; libertà di informazione e magistratura sono ridotte ai minimi termini; aumentano le campagne di criminalizzazione su chi dissente. Il disegno è ridurre gli spazi di libertà, consolidare l’ordine costituito e il potere, utilizzare la legalità formale come arma per contrastare anche chi non rinuncia a difendere e attuare i diritti costituzionali. In questo scenario è sempre più forte la saldatura tra i poteri criminali mafiosi di ultima generazione – nati dalla trattativa Stato-mafia – come parte di un sistema in cui la democrazia formale non coincide per nulla con la giustizia e con i diritti costituzionali. D’altra parte, si esalta la logica del profitto e passano sotto silenzio i modelli alternativi come economia circolare, economia solidale, beni comuni, beni demaniali, beni del popolo, proprietà collettive, fruizione popolare. Nel crollo morale si fa fatica a costruire un’alternativa, ma non è vero che non ci sia: dipende da una scelta politica.
L’alternativa va costruita fuori e contro il capitalismo…
Un lavoro complesso etico, politico, sociale, economico. Il punto di svolta può essere proprio nel momento più drammatico della crisi del sistema capitalista: guerra, pandemia, diseguaglianze, ambiente, crimine. E non parlo di rappresentanti, ma di sistema di fronte al quale non ci sono molte alternative: o si riesce a colpire al cuore in modo pacifico, democratico e costituzionalmente orientato questo sistema, sostituendolo con un altro modello, oppure ci troveremo in un punto di non ritorno. Le prossime guerre che saranno su beni essenziali come acqua e grano disegnano il fallimento estremo del capitalismo. Democrazia non è solo voto – tra l’altro con sistemi elettorali anticostituzionali – ma ben altri valori, principi, comportamenti, persone che devono avere un profilo etico in linea con la Costituzione Italiana nata dalla resistenza al nazifascismo e che va difesa. Il primo articolo della Costituzione pone la sovranità popolare come fondamento della Repubblica.
Quest’alternativa deve unire le forze autonome della sinistra: un fronte popolare in cooperazione internazionale con movimenti sociali di diversi territori?
Credo che la politica, anche quella della rappresentanza, delle Istituzioni deve connettersi con le masse popolari. Popolare è stare con la gente, ascoltarla, prendere decisioni insieme alle comunità, alle tante realtà che animano la vita democratica, esattamente il contrario di populista che – in senso spregiativo – strumentalizza il popolo, alimenta con la grancassa mediatica le paure, ansie e sofferenze per omologarci a un pensiero unico. La parola “popolo” per me ha un significato forte. Mi riferisco soprattutto alle fasce popolari più afflitte, con meno diritti, più martoriate. La mia esperienza di sindaco è stata anomala per il sistema, perché abbiamo governato Napoli per dieci anni senza un partito: un governo autonomo-popolare che aveva all’opposizione tutti i grandi partiti oggi presenti in parlamento. È più facile realizzare “grandi opere” che cambiare la mentalità, il sentimento, l’approccio, gli umori di un popolo, lavorando sulla giustizia, l’armonia, le energie giuste, sulla pace, la scuola e la cultura. In questo senso, “popolare” dà fastidio, perché sganciato dal sistema, ed è l’essenza etica e l’ideale politico per cui bisogna organizzarsi.
©Riproduzione riservata 
In copertina, Napoli in una foto di StockSnap da Pixabay



 

RISPONDI

This site is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.