Nel 2018 sono stati investiti in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro capite rispetto a 278 nel Centro-Nord. La previsione è stata fatta dallo Svimez nelle anticipazioni del Rapporto 2019 intitolato “L’economia e la società del Mezzogiorno”, di prossima pubblicazione.
L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno fonderà tutto il ragionamento macroeconomico su un’Italia che cresce poco, dove il Sud vede lo spettro della recessione e si riapre il divario territoriale tra le due parti del paese.
Eppure il legislatore, sia pure con enormi contraddizioni, ha declamato la cosiddetta “perequazione infrastrutturale”. Infatti l’art. 22 della legge 42 del 2009 prevedeva la ricognizione degli interventi infrastrutturali riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali, trasporto pubblico locale e collegamenti con le isole. Sulla base di detta ricognizione bisognava recuperare il deficit infrastrutturale nelle aree sottoutilizzate con copertura finanziaria nelle successive leggi finanziarie. Nulla di più disatteso.
Anche per le Università finanziate dallo Stato la musica non cambia. Il Decreto Ministeriale 740 dell’8 agosto 2019, a firma dell’ex Ministro leghista Marco Bussetti, ha stabilito il contingente assunzionale delle Università pubbliche (Punti Organico 2019). Bussetti è quello che, a proposito delle scuole del Sud, sosteneva che non bisognava parlare solo di investimenti pubblici ma anche di “più sacrificio, più lavoro, più impegno”. Cioè le scuole del Mezzogiorno si dovevano impegnare forte.
Dall’analisi fatta dallo Svimez emerge con palmare evidenza che gli atenei più penalizzati risultano essere proprio quelli del Sud: Salento, Messina, Palermo, Perugia, Seconda Università di Napoli, Molise, Roma Tor Vergata, Calabria, Tuscia, Macerata, Basilicata. Cassino e Catania addirittura si vedono assegnare punti organico aggiuntivi “0”.
Questi tecnicismi stabiliti da Bussetti, e comunque anche dai suoi predecessori, consentono alle Università del Nord di poter assumere al 100%, ovvero un nuovo assunto per ogni pensionato; al Sud questo non è possibile ed il rapporto diventa nella maggior parte dei casi di 2 a 1, ovvero ogni due pensionati se ne assume solo uno.
Il risvolto pratico fa sì che le Università del Sud si impoveriscono di professori, di ricerca, di studenti e, inevitabilmente, di tasse incassate, con un quadro chiaro ed allarmante: il Sud perde ogni anno 120 professori al contrario del Nord che li aumenta, l’esodo di studenti che si sposta nel Settentrione fa perdere 3 miliardi l’anno al Meridione.
Opere pubbliche e Università sono quindi due ulteriori esempi concreti di sperequazione tra Nord e Sud, così facendo infatti si spendono (si investono) più soldi verso chi ne ha di più e si destinano meno fondi pubblici verso chi è più in ritardo di sviluppo.
Personalmente non sono pervaso dalla lamentela fine a se stessa, non serve, non produce indotti al mutamento. Mi baso invece sulla ricerca, su fonti e studi d’ambito e li interpreto senza fughe in avanti. Del resto lo Svimez, in particolare, è al di sopra di ogni sospetto nell’individuare dati e motivi di sofferenza territoriale del Sud rispetto alla parte “alta” del paese.
Se così stanno le cose non sembri retorico,  evocativo dunque se si afferma che il Nord sta rubando il futuro al Sud, se le disattenzioni di chi fa le leggi e di chi deve farle rispettare non stanno facendo bene quel che dovrebbero, se queste scelte “organizzano” scientificamente due differenti velocità. Concetto ripetitivo? Mai abbastanza quando si parla di una condizione di “stato” che decide il domani (e quindi la vita) di una parte della stessa Nazione.
In queste condizioni come si fa a recuperare il divario, a creare processi di parità territoriale? Allo stato delle cose sta succedendo esattamente il contrario, si sta pensando cioè alla “spallata” finale a opera dei Governatori del Nord che vogliono mano libera per statuire una sorta di regionalismo sovranista. Altro che perequazione territoriale.
Il Sud viene immaginato come una larga “area di riserva”, il figlio bello confinato a stereotipi di immagine e folclore (puntualmente denigrato quando serve) senza diritti di voce e di prospettive di pari equità di sviluppo.
Come risollevarsi, tornare a “esserci”? Ovviamente non ci sono risposte certe, solo conoscenza, studio, formazione di una classe dirigente e tante reti territoriali con lo scopo di pareggiare questa disonestà intellettuale.
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