“La vagabonda”, scritto dalla penna versatile di Colette (1872-1954), fu pubblicato nel 1910 a puntate sulla rivista La vie parisienne e da lei stessa interpretato nella versione teatrale nel 1926.
Il 1910 è l’anno in cui divorziò dal marito Willy che, impossessandosi del suo lavoro, aveva fatto uscire – solo a suo nome – i precedenti successi del ciclo di Claudine, l’inquieta adolescente cui Colette aveva dato tratti autobiografici.
Con “La vagabonda” l’autrice si guarda in uno specchio e -con lucidità e senza infingimenti – si affronta per ritrovare sé stessa e il proprio equilibrio, si racconta e si vede per come è e non per come gli altri vorrebbero che fosse, abbraccia la sua libertà e indipendenza.
Sidonie-Gabrielle Colette fu una disobbediente, infranse le regole sociali per affermare una personalità dotata di talento e intraprendenza, scrittrice, giornalista, attrice teatrale e mimo sperimentò anche il cinema e l’imprenditoria.
La sua fu una vita guidata dalla curiosità intellettuale priva di limitazioni imposte da chi considerava la sua una condotta scandalosa, portava i capelli corti, si abbigliava in fogge maschili, si presentava in scena semi nuda e non nascondeva le relazioni con uomini e donne. Visse come voleva infischiandosene dei benpensanti.
La casa editrice L’orma le dedica un “cantiere” editoriale in cui propone nuove traduzioni presentate in una raffinata veste editoriale ispirata ai disegni di George Barbier, interprete di quella Belle Époque di cui la scrittrice fu indiscussa protagonista.
Il romanzo, che fa della scrittura quello strumento catartico che molte donne hanno individuato per superare barriere, elaborare lutti e affermare la voce che altri avrebbero voluto ridurre al silenzio, si sofferma sul percorso di uscita da un matrimonio fallito e la possibilità di avviare una nuova relazione, Daniela Brogi scrive nella prefazione: «La protagonista è una maschera che si guarda, però è anche una persona nuova, che cerca un volto diverso, altro rispetto all’unica e identica immagine femminile (sempre dai capelli biondi) che il marito pittore dipinge da vent’anni, rivelandoci, nella monotonia di questa ripetizione, una totale incapacità di vedere realmente le donne. La vagabonda, insieme all’artista in costume di scena, è la donna che rinasce attraverso la scrittura e il racconto di sé, perché è così, guardandosi, che potrà vedere e riconoscere i suoi più autentici bisogni».
Renée Néré -questo il nome della voce narrante- si guarda allo specchio interrogandosi sui sentimenti, sul futuro e sulla donna che vuole essere. Evita, finché può, l’incontro con chi ha popolato la sua vita precedente, dribblando salotti e persone di cui non cerca il giudizio né l’amicizia. Considera e soppesa – come chiunque – i vantaggi e gli svantaggi di legarsi a una persona con la quale condividere la quotidianità, da un lato valuta la piacevolezza del trovare una persona amata quando si rincasa e dall’altro i limiti di una routine che ossida e logora i rapporti.
Se può esser gradevole condividere momenti sereni non dimentica, però, la libertà di assumere decisioni in autonomia e senza vincoli, niente più che l’eterno dilemma che attanaglia gli esseri umani in procinto di una condivisione stabile di un rapporto sentimentale la quale implica convivenza e quotidianità di prossimità sotto lo stesso tetto. «Felice, passivo, si lascia servire, e lo guardo bere come se mi concedesse un gran favore. Se vuole gli annoderò la cravatta e baderò al menù della cena…Gli porterò le pantofole…E lui potrà chiedermi con tono da padrone: “Dove vai?” Femmina ero e femmina mi ritrovo, per soffrirne e per gioirne…»..
Alla fine la protagonista asseconda l’anelito di libertà e – pazienza- il tornare a casa e trovarla vuota perché questa sarà, comunque, piena delle proprie scelte, cose e abitudini. La storia si ispira alla carriera di mimo di Colette che nelle pagine fa vivere il respiro e le suggestioni del caffè concerto francese del primo Novecento.
Un romanzo, che a oltre un secolo di distanza, conserva intatta tutta l’attualità e la verità in esso contenuta sulla ribellione di una donna nei confronti di un’idea da secoli imperante: dover scomparire per non offuscare il marito: «Mio marito teneva banco, sorrideva, sentenziava, brillava…Non si vedeva altri che lui. Se per un istante guardavano me, credo fosse per compatirlo. Me lo facevano capire eccome, che senza di lui non esistevo!” “Oh, ma via… state esagerando…” “Nient’affatto, Hamond! Non protestate! Io mi impegnavo con tutta me stessa a scomparire il più possibile. Lo amavo in modo così stupido!” ».
Fulgido esempio di come le donne abbiano introiettato un concetto basilare: non fare ombra ma annullarsi, ridursi al silenzio, mimetizzarsi con il fondale. Colette squarcia il velo: non le sta più bene, non vuole diventare trasparente e afona, al contrario, vuole affermare le sue idee attraverso una molteplicità di mezzi espressivi: la scrittura, la recitazione, il mimo e le proprie scelte di vita. Una lezione importante da ricordare e porre sul tavolo come contributo al processo di cambiamento culturale. Colette fu una donna libera e come ogni persona che sceglie di esserlo fu consapevole del prezzo da pagare.
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IL LIBRO
Colette
La vagabonda
L’orma editore
Traduzione di Camilla Diez
Pagine 232
euro 20
L’AUTRICE
Sidonie-Gabrielle Colette scrittrice, giornalista e attrice teatrale, è stata un’indiscussa protagonista della Belle Époque. Considerata una delle maggiori autrici francesi, seconda donna a essere eletta membro dell’Académie Goncourt nel 1945, ha vissuto in maniera libera ed emancipata, dando scandalo negli ambienti parigini per via del suo anticonformismo, dei suoi abiti maschili, delle sue esibizioni senza veli, delle sue spregiudicate liaison amorose. La sua prolifica produzione letteraria – è stata autrice di romanzi, racconti, opere teatrali, articoli giornalistici, diari e memorie – sfidando il perbenismo borghese e ogni conservatorismo ha contribuito in maniera decisiva a liberare la donna dai moralismi del suo tempo.
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