Da qualche giorno si sono aperte le celebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita: tricolori, figuranti in camicia rossa, inni e discorsi tra Quarto e Marsala. Da più parti si invoca la necessit  di una “memoria condivisa” evitando “nostalgie borboniche” e rischi di storie “non scientifiche” che esalterebbero il Regno delle Due Sicilie. Ma qui non si tratta, però, di riportare un Borbone su un trono o di dividere l’Italia. E’ vero, magari, il contrario.

L’occasione di queste celebrazioni poteva (potrebbe) essere davvero importante per ritrovare verit  storiche che per 150 anni sono state dimenticate, trascurate o cancellate e che studi sempre più diffusi e documentati stanno riportando alla luce. Qui si tratta semplicemente di far parlare fatti, documenti e dati. Anche i recenti dibattiti sul federalismo o le accuse che da più parti piovono sistematicamente sui meridionali (“palla al piede del Nord Italia”, “sfruttatori dei settentrionali”, “approfittatori di pensioni false o di tasse altrui”) non possono non partire da certe verit .

Prima del 1860 il Sud conservava nelle sue banche 443 milioni di lire (668 erano quelli di tutte le banche italiane messe insieme) pari a diverse migliaia di miliardi di euro attuali, contava oltre 5000 fabbriche (tra esse quelle metalmeccaniche di Pietrarsa e Mongiana) e una media di occupati nelle industrie superiore a quella del resto dell’Italia (41,04% rispetto al 30,05% del Nord-Ovest, al 14,78% del Nord-est), vantava primati significativi come la prima flotta mercantile (terza in Europa) ed era il primo esportatore di merci, ad esempio, nelle Americhe; nostro anche il primato per titoli pubblicati all’anno o quello relativo alla più bassa percentuale di mortalit  infantile, con un prodotto interno lordo in media europea e italiana, senza nessuna questione meridionale e senza nessun emigrante (due piaghe ancora drammaticamente aperte sulla nostra pelle).

Perch dovrebbero essere “seri e rigorosi” gli studi che dipingono “i Mille” ancora come in una figurina ottocentesca intoccabile e non i dati sulle fabbriche ritrovati all’Archivio di Stato di Napoli o quelli del CNR di Napoli sul PIL pre-unitario? Perch dovremmo preoccuparci se qualcuno non “condivide” il fatto che circa 150.000 soldati piemontesi massacrarono per circa 10 anni centinaia di migliaia di nostri concittadini senza processi e senza motivo, se si esclude il fatto che volevano difendere la loro patria, le loro famiglie e il loro re (i cosiddetti “briganti”, spesso finanche “decapitati per comodit  di trasporto” come rivelano le carte degli archivi dell’esercito italiano)?

Anche se tra la Napoli capitale mondiale del Settecento e quella ridotta nelle condizioni che conosciamo oggi il confronto è drammatico (e la tentazione è forte), non c’è nessuna nostalgia tra chi vorrebbe altre celebrazioni. C’è solo l’urgenza di iniziare davvero a costruire un’identit  nazionale basata sulla verit  e non sulla retorica, dopo il fallimento ormai riconosciuto dei tentativi operati dalla cultura “ufficiale” per un secolo e mezzo.

C’è solo l’esigenza di far ritrovare soprattutto ai nostri giovani memorie, radici e orgoglio: elementi indispensabili per classi dirigenti finalmente e veramente nuove e per un riscatto che aspettiamo da troppo tempo.

Nella foto, una cartina del Regno delle Due Sicilie

*Movimento Neoborbonico

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