Quando Goethe[1] arriva a Napoli insieme a Johann Heinrich Wilhelm Tischbein[2] il 25 febbraio 1787 racconta di una città «libera, allegra, vivace» ma soprattutto splendida per le sue bellezze. Durante il suo soggiorno nella capitale del regno borbonico, dove incontra Jakob Philipp Hackert, celebre paesaggista, ed è ospite di Gaetano Filangieri, giurista e pensatore, voce riformatrice dell’Illuminismo, scrive: “il presepe per i napoletani è una passione, una delle antiche e connaturate passioni del popolo napoletano. Al presepe, infatti, si dedicano il Re e la Regina, la cameriera e il letterato, il Vescovo e il miscredente, tutti travolti da una misteriosa e contagiosa aficion come quella che spinge lo spagnolo nella Plaza de Toros”. Questa descrizione del presepe a Napoli è sintetica e allo stesso tempo la sua più fedele narrazione.

I re magi nello scatto di Valentina Cosentino (fonte Mann, ufficio stampa)

LA STORIA
La prima rappresentazione della Natività la si deve ai primi cristiani. Nelle catacombe di Priscilla a Roma, in uno stucco risalente al III secolo, è raffigurata la Madonna con il Bambino tra le braccia che ha accanto un profeta che indica una stella. Nello stesso luogo si trova un affresco che ritrae l’adorazione dei Magi.
Nel IV secolo l’iconografia riporta unicamente il Bambino nella mangiatoia, tra il bue e l’asinello: l’introduzione di Maria e Giuseppe è successiva. Per Luigi Correra[3] la prima menzione di un presepio a Napoli compare in un atto notarile, del 1021, in cui viene citata la chiesa di Santa Maria “ad praesepe”[4].

Sala 2 con videoproiezione

La nascita del Presepe, dal latino praesaepe ovvero mangiatoia, la si attribuisce a San Francesco d’Assisi che, di ritorno dalla Terra Santa, la notte di Natale del 1223 mette in scena la Natività nella chiesina di San Luca a Greccio mentre Il primo maestro presepista è stato Arnolfo di Cambio che, nel 1291, su commissione di papa Niccolò IV, scolpisce la Natività nella Basilica di Santa Maria in Praesepium in Roma.
Un testo del 1324 riporta di una “cappella del presepe di casa d’Alagni” ad Amalfi[5] mentre è la regina Sancia d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò, a regalare alle Clarisse nel 1340 un presepe per la loro nuova chiesa; la statua della Madonna è l’unica sopravvissuta ed è oggi conservata nel museo nazionale di San Martino.
Nel XV secolo si diffondono i figurarum sculptores, gli scultori che compongono le rappresentazioni sacre, come i fratelli Giovanni e Pietro Alemanno che nel 1478 realizzano dodici statue per la Chiesa di San Giovanni a Carbonara, attualmente esposte al Museo di S. Martino.
A Napoli, ed in particolare a Santa Chiara, San Giovanni a Carbonara, Sant’Eligio e San Domenico Maggiore, vi è la diffusione dei presepi. Nel 1532 con Domenico Impicciati, altro nome di Domenico Napoletano, autore di quella meraviglia che è la Cona dei Lani[6] di S. Eligio, si realizzano per la prima volta delle statuine in terracotta ad uso privato e uno dei personaggi, altra novità, prende le sembianze del committente: il nobile di Sorrento, Matteo Mastrogiudice della corte aragonese.
Gaetano Thiene, sacerdote e fondatore dell’ordine dei Chierici teatini, che a Roma conosce e rimane impressionato dal presepe della basilica di Santa Maria Maggiore, nel 1533 arriva a Napoli per fondare una casa dell’ordine. Proclamato santo, con decreto del 12 novembre 1670 viene nominato compatrono della città di Napoli per la sua testimonianza a realizzare, inventare e gestire opere di assistenza in tutte le sue forme per il popolo, specie dove c’è sofferenza.
San Gaetano da Thiene viene indicato come l'”inventore” del presepe napoletano: è il primo a vestire i personaggi con gli abiti del tempo ed è lui a dare inizio alla tradizione di allestire il presepe nelle chiese e nelle case private in occasione del Natale[7]
. Nella Chiesa degli scolopi il presepe viene smontato ogni anno e rimontato il Natale successivo: una grande innovazione dato che fino ad allora i presepi erano fissi. Nel 1640, grazie a Michele Perrone, i pastori, pur conservando testa ed arti in legno, vengono realizzati con un’anima in filo di ferro rivestito di stoppa per conferirne pose più plastiche e rivestiti di stoffe o di abiti.
Ma è dalla fine del Seicento in poi che il presepe napoletano acquisisce la sua tipica teatralità, mescolando sacro e profano per rappresentare, in ogni arte, la quotidianità che anima piazze e piazzette, vie e vicoli. Appaiono i nani, le donne con il gozzo, i pezzenti, i ciabattini, gli uomini e i derelitti. Il presepe napoletano appare come uno squarcio della Napoli del 700’, con i costumi, le attività, i volti di quell’epoca[8].

“Natività” di Giuseppe Sammartino


San Gaetano ha promosso il presepe per accrescere la devozione dei fedeli, negli anni successivi il presepe si allontana sempre più dalla sua connotazione mistica per diventare una rappresentazione spettacolare di tono profano.
Quello messo in scena nelle case dell’aristocrazia o della  ricca borghesia ha allestimenti sontuosi e utilizza materiali preziosi. Non a caso il presepe settecentesco viene definito da Raffaele Causa il “Presepe cortese”: voce tipica della cultura artistica nella Napoli del ‘700…. il presepe che diremo “cortese” per differenziarlo dal vecchio presepe di chiesa… si rivela esperienza mondana, sostanzialmente disincantata e laica, giuoco alla moda della corte, dell’aristocrazia , dei ricchi borghesi.. disimpegno d’elite di cui si attendeva nelle ore sfaccendate del giorno[9].
In sintesi esistono quindi due tipi di presepe napoletano: quello della nobiltà con una copiosa letteratura sull’argomento e quello popolare dove ci sono pochi accenni e solo di sfuggita. La differenza tra i due tipi è in realtà sostanziale anche se rappresentano, entrambi, un aspetto della cultura popolare napoletana.

Angelo della Natività di Giuseppe Sammartino


L’ESPOSIZIONE
L’esposizione “Il Presepe cortese” si sviluppa in tre sale limitrofe alla Meridiana del Museo Archeologico di Napoli e rimarrà allestita fino al 31 gennaio 2023. Due ambienti, con una saletta intermedia espositiva, ospitano un video immersivo, che permettono al visitatore di entrare letteralmente nelle scene e nelle architetture del presepe di Carlo mentre l’ultimo spazio è riservato a pezzi da collezione di pastori settecenteschi.
Il percorso espositivo è curato da Fabrizia Fiore, presidente dell’associazione Il Miracolo di  Carlo III, mentre l’allestimento multimediale è realizzato dall’architetto Marco Capasso e le musiche sono di Antonio Fresa. Il percorso espositivo intende sottolineare il dinamismo di Carlo di Borbone teso a rilanciare Napoli come grande capitale europea con la costruzione di grandi edifici reali ma anche la valorizzazione delle bellezze naturali e delle tradizioni culturali locali.
Carlo III di Borbone ha ereditato la consuetudine dell’allestimento del presepe dal padre Filippo V che, dopo aver avuto in dotazione un presepio napoletano da un certo Nicola Speruti, ogni anno, lo fa preparare in Spagna da abilissimi artigiani nel palazzo del Buen Retiro. Spesso gli allestimenti sono enormi e sontuosi ed occupano varie stanze attirando un pubblico proveniente da tutti i ceti sociali. Si dice che lo stesso Carlo di Borbone ama molto il presepe e nel periodo delle feste natalizie si diletta egli stesso nel disporre i pastori sul presepe allestito nelle sale del palazzo reale, mentre sua moglie Amalia diventa sarta impegnata a realizzare gli abiti per i personaggi di quel presepe.
Il presepe cortese napoletano è composto da una miriade di figure che rappresentano brani di vita quotidiana in cui sembra che la terra in cui è nato Gesù sia quella delle vie di Napoli con i suoi abitanti e i suoi artigiani. Sullo sfondo il Vesuvio fumante, angoli di campagne vesuviane con fiumi e laghetti disseminati di greggi, pastori, zampognari, pastorelli e contadini che portano doni al Bambinello.
Nella seconda sala ad essere rappresentate sono proprie le storie e i significati simbolici di questo “grande teatro” che è il presepe settecentesco dove si intrecciano i termini del sacro e del profano e dove la trasposizione della realtà conduce in un viaggio suggestivo. Immancabili sono i Magi con la folla multicolore e il seguito orientaleggiante: sultani, cammellieri, palafrenieri, guidatori di elefanti, suonatori di strumenti vari, con le loro sgargianti vesti orientali riproducono le splendide ambascerie che erano inviate nel Regno di Napoli da parte dei paesi dell’Africa e del vicino Oriente.
Le scoperte che provengono dagli scavi di Pompei ed Ercolano, volute dallo stesso sovrano Carlo III,  influenzano anche il presepe che nei pressi della grotta del Bambinello si arricchisce di rovine di templi greco-romani a sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo. L’esposizione si conclude nell’ultima sala con alcune pregiate statuette provenienti da diverse collezioni.
In particolare sono presenti: una “Natività” di Giuseppe Sammartino – l’autore del Cristo velato Cristo velato della Cappella Sansevero –  appartenente alla collezione Accardi, “Un Nobile” di Salvatore Di Franco – con un abito tipico del Settecento in velluto e seta di San Leucio e con bottoni in filigrana d’argento alla catalana – a rappresentare la variegata società del tempo, ”Un Nobile Orientale” con cane di Matteo Bottiglieri ed un “Oste” di Nicola Somma.
Per quanto riguarda la statuetta dell’oste, con la sua espressione arcigna e il porro sulla fronte, nel presepe simboleggia il Demonio, perché nel racconto evangelico fu proprio l’oste a cacciare la Madonna e San Giuseppe, costringendoli a rifugiarsi in una stalla. I pastori che raffigurano il Corteo dei Magi sono un omaggio alle ambasciate del Sultano Ottomano e del Bey di Tripoli che, in visita a Napoli tra il 1740 e 1741, destarono lo stupore della popolazione e, per questo, furono inserite nel Presepe.

La figura dell’oste


LA PRESENTAZIONE
Nella conferenza stampa è la curatrice della mostra Fabrizia Fiore ad introdurre i lavori “Il nostro obbiettivo non consiste solo nell’esporre il presepe napoletano del ‘700, ma soprattutto … a far conoscere … come è nato, il contesto storico in cui si è sviluppata l’arte presepiale e tutti i simboli che racchiude al suo interno”. “Il presepe cortese – spiega il Direttore del MANN, Paolo Giulierini durante la conferenza stampa di presentazione – è un’iniziativa di altissimo profilo culturale, perché sublima la grande arte presepiale con uno spirito contemporaneo di comunicazione … vale il riconoscimento Unesco”. 
Poi ricorda che “La multimedialità è uno strumento eccezionale per portare la cultura nell’ambito dei nostri tempi”. Il primo cittadino, Gaetano Manfredi ricorda che “La storia del presepe napoletano settecentesco è una parte importante della tradizione culturale della nostra cittàdell’identità culturale di Napoli e della sua immagine turistica… coniugare una grande tradizione con gli strumenti di rappresentazione innovativi come le nuove tecnologie tanto care ai giovani…  vuol dire essere capaci di coltivare la conservazione del nostro straordinario patrimonio ed essere capaci di innovarne anche il linguaggio”.

Tra gli abitanti del presepe cortese, un aristocratico orientale


Per Catello Maresca, tra gli ideatori della mostra, il progetto del Presepe cortese intende realizzare un percorso educativo capace di far conoscere e recuperare le radici partenopee e ricorda l’obiettivo di fare del presepe napoletano un patrimonio dell’umanità. “Questa esposizione è anche un pezzo di una storia d’amore, amore per la cultura ma anche amore verso delle personeio ho avuto mio padre che mi ha tramandato questa passione o di Fabrizia gli deriva dal nonno … “.
Eduardo De Filippo, uno dei maggiori drammaturghi italiani del Novecento, in una sua commedia Natale in casa Cupiello (1931) presenta una tipica famiglia piccolo-borghese della Napoli del Novecento dove il protagonista, Luca Cupiello, è ossessionato dall’allestimento del tradizionale presepe napoletano.
La domanda “Te piace ‘o presepio?” che Luca rivolge continuamente al figlio Tommasino, ricevendo in risposta solo dei bruschi dinieghi si ripresenta, per tutta la commedia, come un vero e proprio “tormentone”.
Per Stefano Piacenti, regista e docente di Storia dello spettacolo, i “tormentoni” spesso sono inseriti ad arte dagli autori non solo per far ridere il pubblico, ma anche e soprattutto per spronarlo a intraprendere una riflessione più profonda sul tema… un’occasione per intraprendere un’analisi profonda dei cambiamenti culturali e sociali verso i quali la società italiana dell’epoca andava incontro[10].

Un momento della conferenza stampa

Quella domanda ritratta talvolta in modo drammatico, altre volte in modo comico e ironico, e in certe occasioni in modo speranzoso o malinconico, tende a ricostruire un legame, evitare una frattura tra generazioni che può causare la perdita della dimensione identitaria personale e collettiva.
Napoli è sopravvissuta alle varie dominazioni perché ha saputo includere nelle sue risorse immateriali quelle dello straniero così che alla fine il conquistatore è stato sedotto dal conquistato. E le risorse immateriali della città sono tante: la poesia ed il teatro veicolate da una lingua musicale, le canzoni … l’arte del presepe dove l’osservatore è anche l’osservato. Rompere quella trasmissione, quel legame tra generazioni può essere drammatico … può voler dire perdere l’anima.

LA CAMPAGNA OPENMANN
Come da tradizione, riparte anche la campagna di abbonamento annuale OpenMann. Fino all’8 gennaio, è possibile acquistare la card a prezzi promozionali: 19 euro per adulto; 34 per coppie (due adulti over 25 anni+ minorenni); 4 per opzione Academy (studenti universitari o iscritti alle scuole di specializzazione, senza limiti di età).  Torna l’OpenMann Fest con dono dell’abbonamento ogni mille visitatori in occasione della #DomenicalMuseo.
OpenMann consente di accedere illimitatamente a collezioni permanenti ed esposizioni dell’Archeologico per 365 giorni dalla data di prima attivazione: chi si abbona presso la biglietteria dell’Istituto ha anche un piccolo cadeau. 
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Un nobile del grande teatro presepiale



NOTE

[1] Johann Wolfgang von Goethe ( Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, saggista, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d’arte e critico musicale tedesco  nella sua opera letteraria Italienische Reise parla del suo Viaggio in Italia. La sua visita a Napoli va dal 25 febbraio al 29 marzo 1787.

[2] Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, (Haina, 15 febbraio 1751 – Eutin, 26 febbraio 1829), è stato un pittore tedesco. Dal 1789 al 1799, Tischbein fu anche direttore dell’Accademia d’arte di Napoli Accademia di Belle Arti. Dal 1789 al 1799, Tischbein fu anche condirettore dell’Accademia d’arte di Napoli Accademia di Belle Arti insieme a Domenico Mondo (Capodrise, 12 maggio 1723 – Napoli, 10 gennaio 1806).

[3] Luigi Correra (Napoli, 1852 – Napoli, 24 gennaio 1916) figlio del giureconsulto Francesco Saverio Correra, in omaggio al volere del padre si laureò giovanissimo dottore in leggi, ma presto di dedicò agli studi storici e letterari e alle ricerche archeologiche al centro dei suoi interessi. Insegnò storia antica nella R. Università di Roma; storia antica ed epigrafia nella R. Università di Napoli.

[4] Luigi Correra, Il presepe a Napoli, fasc. IV, pag. 325, Università degli Studi di Palermo.

[5] Stefano de Caro et al., Patrimoni intangibili dell’umanità. Il distretto culturale del presepe a Napoli, Guida editore

[6] https://www.ilmondodisuk.com/la-storia-cona-dei-lani-quel-gran-lavoro-in-terracotta-dellingegnoso-mastro-cinquecentesco-domenico-napoletano/

[7] https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-01/l-anima-sacra-del-presepe-napoletano.html

[8] https://www.meteoweb.eu/2014/12/la-storia-del-presepe-napoletano-origini-evoluzione-e-simbologia/359157/

[9] Raffaele Causa, “Il Presepe Cortese”, in “Civiltà del 700 a Napoli”, Catalogo della mostra, Napoli, Dicembre 1979 – Ottobre 1980, pp. 292-300

[10] https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Natale_Cupiello.html


Per saperne di più
Museo archeologico nazionale di Napoli

Nella foto di copertina, Sala 1 con videoproiezione. Questa come le altre immagini in pagina (tranne una) sono di Carmine Negro

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