Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli. La mostra dal 29 aprile al 3 luglio 2023 al Museo Diocesano – Complesso Donnaregina di Napoli è a cura di Pierluigi Leone de Castris, docente all’università Suor Orsola Benincasa.. Finanziata dalla Regione Campania.


Qui sopra, ARTEMISIA GENTILESCHI
Maddalena (1615-1616)
olio su tela
Firenze, Palazzo Pitti. In copertina, prima Sala Coro delle Monache


(…) L’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità” Roberto Longhi, 1916

Il viso è rivolto verso l’alto incorniciato da capelli lunghi e mossi. Ha l’aspetto di una giovane donna, avvenente ed elegante, la Maria Maddalena di Artemisia Gentileschi. La santa, con il suo sontuoso abito di seta gialla dai panneggi gonfi e morbidi, che evocano certo sensualità e ricchezza ma coprono interamente il corpo lasciando scoperta solo una spalla e la piega del seno, è rappresentata come una dama di alto rango. Il dipinto non ha nulla di  provocatorio.
Il nome con cui era conosciuto La conversione della Maddalena,probabilmente, descrive meglio quanto riportato dalla tela. Il piede nudo che spunta dalla lussuosa veste sembra voler alludere ad un proposito di rinuncia, un intento che viene confermato dalla postura delle mani. Quella di destra è posta sul petto come atto di contrizione per i peccati e l’altra protesa ad allontanare qualcosa che si intravede a mala pena nell’ombra. Si tratta di uno specchio, simbolo per antonomasia della vanità sulla cui cornice sono incise le parole del Vangelo Optimam Partem Elegit”[1], ha scelto la parte migliore, quella della virtù e della ricerca del Signore. Maria Maddalena è seduta su una elegante poltrona, arricchita con importanti decori. Su un lato dello schienale è dipinta la firma Artimisia Lomi nome con il quale la pittrice ha firmato le opere del periodo fiorentino.
La Maddalena è stato da sempre un soggetto molto amato dai pittori perché offre ampia possibilità interpretativa, un dialogo tra due modelli iconografici: la prostituta sensuale e la peccatrice pentita, un  conversione che arriva dopo l’incontro con Gesù. Artemisia Gentileschi, per raccontare questo cammino, che è un passaggio difficile e un nuovo inizio, utilizza una giovane donna con i capelli scomposti e uno sguardo che sembra ancora esitante prima di rivolgersi verso l’alto.
La rappresentazione è decisamente caravaggesca: lo sfondo buio e il taglio di una luce intensa che investe la figura da destra e amplifica il senso del dramma che si sta consumando.
Il tormento interiore di Maddalena riflette in qualche modo le vicende di vita della pittrice, anche lei chiamata ad un nuovo inizio.  Reduce da uno stupro ad opera del pittore Agostino Tassi, scelto dal padre come guida nello studio della prospettiva, ha affrontato l’onta di un processo, che l’ha trasformata da vittima in accusata e l’ha sottoposta ad autentiche torture, per accertare la veridicità delle sue affermazioni.
Artemisia Gentileschi è un’artista straordinaria ed una donna di forte temperamento. Dopo aver sposato Pierantonio Stiattesi da Roma si trasferisce a Firenze dove riesce ad entrare, ed è la prima del suo genere, all’Accademia delle Arti e del Disegno, ad imparare, già grande, a leggere e scrivere, a suonare il liuto e a frequentare il mondo culturale. Conosce il discendente di Michelangelo Buonarroti e frequenta Galileo Galilei con il quale intrattiene un rapporto epistolario.
Un carattere deciso le permette di superare le violenze personali, di affrontare le difficoltà economiche, di scrivere lettere appassionate al suo amante Francesco Maria Maringhi, nobile raffinato quanto tenero e fedele compagno di una vita, che prende casa a Napoli per seguirla negli ultimi anni della sua vita.
Artemisia si trasferisce nella capitale del viceregno spagnolo nel 1630 e prende casa e bottega dalle parti di via Toledo, che diventa luogo di passaggio e sosta per artisti, intellettuali e politici. Morta di colera probabilmente nel 1656 viene seppellita nella Chiesa napoletana di S. Giovanni de’ Fiorentini con la sola indicazione: “heic artimisia”; la sua tomba risulta dispersa durante i lavori eseguiti nel 1785.
È Santa Maria di Maddalena[2], una delle quattro splendide opere inviate da Firenze, proveniente direttamente dal laboratorio dove è stata restaurata, a campeggiare sul manifesto della mostra inaugurata venerdì 28 aprile alle ore 15 dal vicario per la cultura della Curia di Napoli padre Adolfo Russo, dal professor Pierluigi Leone de Castris curatore dell’esposizione e dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Pierluigi Leone de Castris, docente all’università Suor Orsola Benincasa, ha realizzato l’esposizione con 16 dipinti provenienti da musei e collezioni private, 14 dei quali sono esposti per la prima volta a Napoli. L’intenzione è narrare in una monografica il percorso artistico di Artemisia dalle origini, a partire dal rapporto con il padre, di cui sono presenti alcune opere, e la sua evoluzione dopo l’incontro con il naturalismo di Caravaggio. I dipinti sono divisi in due sale nella prima, quella del Coro delle Monache, sono raccolte le opere dedicate al suo periodo tra Roma e Firenze, legato alla bottega paterna e alla formazione caravaggesca, nell’altra sala sono raccolte le opere legate al periodo napoletano.ù


ORAZIO E ARTEMISIA GENTILESCHI (?)
Giuditta e la fantesca Abra
con la testa di Oloferne (Anno ?)
olio su tela
Roma, Collezione Fabrizio Lemme

Il percorso inizia con il tema biblico dell’eroina ebrea Giuditta, che per liberare la città di Betulla dall’assedio dell’esercito babilonese guidato dal generale Oloferne, si introduce con l’inganno nell’accampamento, lo circuisce  e lo uccide decapitandolo.
Il tema è caro a Giuditta e lo ripropone più volte negli anni ritraendo, secondo alcuni studiosi, Oloferne con il volto del suo stupratore Agostino Tassi.
Il primo dipinto in mostra Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne è l’unica copia conosciuta con questo tema che ha un fondo chiaro; spettacolare l’elegante e pesante veste rossa della protagonista ricamata in oro e impreziosita da gioielli. Per Vittorio Sgarbi l’autore della tela, che proviene dalla collezione Fabrizio Lemme, è lo stesso Caravaggio mentre per Leone de Castris è più probabile che sia opera di Orazio Gentileschi con la collaborazione della figlia.


ARTEMISIA GENTILESCHI
Giuditta e la fantesca (1613-1614)
olio su tela
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina


Subito dopo un’altra splendida opera proveniente da Palazzo Pitti Giuditta e la fantesca che, ambientata nell’interno buio di una tenda, riporta il momento successivo alla decapitazione di Oloferne quando la protagonista e la sua ancella stanno per lasciare l’accampamento assiro. Le due donne, una accanto all’altra occupano tutto lo spazio del dipinto e rivolgono entrambe lo sguardo e la testa verso destra, fuori dal campo della tela, come richiamate da qualcosa che attira la loro attenzione.
Gli elementi fondamentali della narrazione sono la complicità delle due figure e il senso di sospensione nel dramma. La posa delle due donne ricorda quella delle due figure di Cristo e san Pietro nella Vocazione di san Matteo che Caravaggio aveva dipinto per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. La storica dell’arte Silvia Malaguzzi ci fa notare che il pomo della spada di Giuditta porta cesellato nell’argento un volto umano distorto dalla smorfia collocato sopra la testa di Oloferne: il racconto di una violenza trasferito nell’opera attraverso il sapiente uso di un metallo prezioso.
Un’altra versione Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne proviene dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, “Non presentata in precedenza”, sottolinea Leone de Castris. Alle raffinatezze cromatiche e alle qualità seriche dei panneggi, sempre straordinari e voluminosi, questa volta si aggiunge una postura e uno sguardo sospeso tra il severo, l’intenso ed il feroce. Sembra quasi rappresentare un assedio cui far fronte con una collaborazione tra donne indicata da una parabola disegnata dalle braccia delle protagoniste che ha il vertice nella spada e il fuoco nella testa di Oloferne.


ARTEMISIA GENTILESCHI
Giuditta e la fantesca Abra
con la testa do Oloferne
olio su tela
Terni, Fondazione Cassa di risparmio di Terni

I due piccoli dipinti su pietra di lavagna, provenienti dalla Quadreria arcivescovile di Milano, Davide con la testa di Golia firmata da papà Orazio e Giuditta decapita Oloferne di Artemisia, sono impreziositi da articolate e sontuose cornici.


 
ARTEMISIA GENTILESCHI (da)
Giuditta decapita Oloferne
olio su lavagna
Milano Quadreria Arcivescovile


L’olio su tela Ritratto di dama con ventaglio, in prestito dalla collezione d’arte del Sovrano Militare dell’Ordine di Malta, mostra una donna bella ed elegante. Il suo vestito nero ha raffinati ricami sulle maniche e sul colletto, una lunga collana e gli orecchini di perle, che ritroviamo in molte opere della pittrice, come simbolo della virtù ma anche, per il racconto affascinante della loro nascita: la fecondazione dell’ostrica da parte della rugiada celeste.


ARTEMISIA GENTILESCHI
Ritratto di dama con ventaglio
olio su tela
Sovrano Militare. Ordine di Malta

Questo dipinto, che per gli studiosi è stato realizzato tra il 1620 ed 1625 mentre Artemisia si è trasferita solo nel 1629 a Napoli, con il suo aspetto di donna matura sembra farci l’immaginare Artemisia nel periodo partenopeo.

La seconda sala, che espone la produzione del periodo napoletano oltre alle due grandi tele di Capodimonte Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne e L’Annunciazione si trovano diverse opere di piccolo formato ed una mai esposta in assoluto: il” Riposo nella fuga d’Egitto”.


 
ARTEMISIA GENTILESCHI
Riposo nella Fuga in Egitto
olio su rame,
Napoli, Giacometti old master paintings

Dopo la visita alla mostra un rapido sguardo alla collezione permanente permette di ammirare una ricchezza inimmaginabile costituita da tavole, tele, sculture, ori e argenti. Ogni singola opera custodisce di una storia e sembra essere in attesa di uomini in grado di svelarla e trasmetterla nei modi adatti ai tempi moderni alle nuove generazioni.
Quando si ritorna nel Coro delle Monache è ancora la Maddalena ad attrarre l’attenzione per i tanti richiami che la costruzione della scena offre. L’orecchino di destra è ben visibile mentre quello di sinistra lo si può scorgere riflesso nello specchio. La sua mano sinistra sembra voler allontanare con lo specchio, strumento di vanità, anche ciò che è riflesso, ovvero l’illusione creata dallo specchio, come a richiamare una frase tratta dalla Lettera di Paolo di Tarso ai Corinti: “Ora vediamo le cose attraverso uno specchio, per enigmi, ma un giorno le vedremo faccia a faccia[3]. Se un orecchino partecipa all’illusione dei sensi, l’altro rimane ben visibile: sottolinea l’orecchio e la sua disponibilità all’ascolto, una disponibilità rimarcata dalla sua posizione che è centrale rispetto alla rappresentazione dell’opera e trasforma Maddalena in un modello di ascolto della parola. Le perle come preziosità sono richiamate in un altro passo del Vangelo (Matteo VII, 6): Non gettate le cose sante ai cani e le perle ai porci, perché non le mettano sotto i piedi e vi si volgano contro per sbranarvi’.
Artemisia, giocando con l’orecchino destro, direttamente visibile, e, con l’altro riflesso dallo specchio sembra restituire ai gioielli quella duplicità simbolica che spesso hanno in pittura: emblema di vanità ma anche metafora di virtù. Tanti possibili piani di lettura in un’unica opera, eppure durante il processo Artemisia era descritta come analfabeta.


La Cupola del Complesso Monumentale di Donnaregina
sede del Museo diocesano di Napoli

In attesa che il catalogo, di prossima pubblicazione ci faccia conoscere il contributo di questa mostra nella conoscenza di Artemisia, è padre Adolfo Russo, vicario per la cultura della Curia a spiegare il motivo di una esposizione dedicata ad Artemisia nel Museo diocesano. Artemisia Gentileschi è stata a Napoli in un momento molto difficile. Nella seconda metà del Seicento c’era stata a Napoli l’eruzione del Vesuvio, la rivolta di Masaniello e addirittura la peste … In un momento difficile lei ha avuto la forza d’animo di guardare avanti e di sognare per il futuro. E questo dobbiamo fare noi oggi a Napoli e in tutt’Italia … nonostante  le difficoltà del presente guardare avanti … in alto e continuare a sognare.
 ©Riproduzione riservata


La chiesa seicentesca di Donnaregina Nuova
(interno)

NOTE

[1] Le parole sono tratte dal Vangelo di Luca 10,42.

[2] L’opera è riportata con questo nome nel Catalogo Generale dei beni culturali dalla Soprintendenza di Firenze https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0900162839

[3] La frase è tratta dalla Lettera di Paolo di Tarso ai Corinti, 13,12: “Videmus nunc per speculum et in enigmate, tunc autem facie ad faciem“, che significa: “Ora vediamo le cose attraverso uno specchio, per enigmi, ma un giorno le vedremo faccia a faccia“.

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