Edda Mussolini Ciano (1910-1995) fu la prima figlia di Benito Mussolini e Rachele Guidi. Nel 1930 sposò Gian Galeazzo Ciano conte di Cortellazzo e Buccari di cui rimase vedova quattordici anni più tardi, quando questi fu fucilato a Verona.
La sua è una figura complessa, su cui molto si è letto e sentito, ed Enrico Mannucci in “Morire è poco. L’esilio di Edda Ciano”, da poco pubblicato da Neri Pozza, ne scrive soffermandosi su un momento specifico della sua vita compreso tra la fuga in Svizzera – avvenuta nel gennaio del 1944 – e il rientro in Italia nell’agosto del 1945.
L’autore presenta una ricostruzione dei fatti attraverso una esposizione cronologica dei documenti disponibili: lettere e carteggi, relazioni e memorandum dei soggetti preposti al controllo della sua persona, analisi dello psichiatra direttore della clinica presso cui soggiornò e articoli apparsi sulla stampa dell’epoca.
Il momento storico in cui si svolsero i fatti fu tumultuoso, gli avvenimenti si succedevano in modo caotico – frenetico – e i soggetti coinvolti sulla scacchiera furono numerosi: spie tedesche, americane, inviati del Vaticano doppiogiochisti, membri della resistenza italiana.
Dopo l’arresto del marito, avvenuto in seguito al voto contrario al suocero il 25 luglio del 1943 espresso al Gran Consiglio del fascismo attraverso l’approvazione della mozione di Dino Grandi, Edda Ciano Mussolini – come si firmava – tentò in tutti i modi di salvarlo dalla condanna a morte.
La figlia del duce, considerata tra le donne più potenti dell’epoca, bussò a tutte le porte nella speranza di riuscire nell’intento, la prima verso cui si diresse fu quella del padre. Le sue speranze cozzarono con un deciso diniego che comportò la rottura del loro legame, un sentimento profondo che li aveva sempre visti uniti. Ci vollero decenni perché, intervistata, raccontasse di averlo perdonato.
Mannucci ripercorre i febbrili spostamenti che condussero la protagonista prima a cercare aiuto per salvare il marito e poi a fuggire in Svizzera portando con sé i diari di questi. I diari scritti da Galeazzo Ciano dal 1939 fino a poco prima della morte. Essi erano lo strumento attraverso il quale consumare la vendetta: darli agli americani era il modo per far sapere la sua verità sul comportamento del marito e portare a conoscenza delle potenze alleate prima – e dell’opinione pubblica poi – le circostanze nelle quali egli si era trovato ad agire.
Dei sette diari ne riuscì a portare con sé cinque che consegnò ad Allen W. Dulles a capo dell’Office of Strategic Services (OSS), l’ufficio da cui sarebbe, poi, nata l’“Agenzia”: la CIA. Riuscì nell’impresa con l’aiuto del marchese Emilio Pucci, futuro stilista e figura chiave per la sua fuga, che glieli cucì nella fodera di un soprabito.
Dalle pagine apprendiamo che aveva problemi di salute, che mal tollerava il regime di isolamento cui le autorità elvetiche la sottoposero – prima in un convento e poi in una clinica psichiatrica – e che era dotata di un carattere difficile da decifrare.
Attivò la rete di parentela, il cognato Massimo Magistrati – console d’Italia a Berna – e di amicizie per spezzare l’isolamento e fare pressione sul governo svizzero affinché potesse lasciare il convento per altra sistemazione, dialogò con le autorità che decidevano del suo regime di controllo per amministrare le risorse economiche necessarie a garantire il pagamento del suo soggiorno e dei figli presso le scuole e riuscì a eludere la sorveglianza contattando il responsabile del servizio segreto americano sul territorio per trattare la cessione dei diari.
«La peggior disgrazia per una donna è di essere intelligente; dovrebbe essere bella, e se fosse brutta e scema sarebbe felice lo stesso e questo è quello che conta. Mia figlia promette di essere bella ma ahimè ha una certa dose di intelligenza not particulary bright ma non c’è dubbio scema non è. Che peccato per lei».
Dalla lettura dei documenti appare chiaro che neanche a lei l’intelligenza difettasse. Per meglio comprendere la personalità e il carattere della protagonista, di cui l’autore scrive, ho accompagnato la lettura con la visione di un’intervista fattale da Nicola Caracciolo nel 1982, ho visto una donna non più giovane dal viso spigoloso, le risposte asciutte e brevi, infastidite quasi da parte di una persona poco incline a raccontarsi. L’intervista fu fatta a Roma, nei giardini di Villa Torlonia dove visse diversi anni con la famiglia.
Avvicinarsi alle storie delle persone che hanno vissuto eventi fuori dall’ordinarietà dovendo affrontare, nel bene e nel male, frangenti in cui oltre le proprie scelte pesano il momento storico, le pressioni familiari, l’opportunità politica e l’incertezza generata da uno stato di cose in continuo divenire richiede lucida obiettività.
La storia bisogna ricercarla mettendo insieme tutti i pezzi, è quello che Mannucci propone nel suo lavoro. Una proposta, in questo momento, utile più che mai e coraggiosa. L’autore sceglie per sé un posto sullo sfondo lasciando parlare i documenti. Del difficile rapporto tra Edda Ciano e la madre ne parla il medico psichiatra che dirigeva la clinica presso cui soggiornò, della trattativa per la cessione dei diari il responsabile del servizio segreto americano, dello stato di salute ne scrive lei nella corrispondenza.
La persona, la donna, è al centro del testo. Leggiamo del suo rifiuto a doversi mostrare penitente per scelte compiute da altri, dell’affermare di non essere di alcuna pericolosità per chicchessia e della necessità di mantenersi lucida davanti ai figli mentre il mondo, soprattutto il loro, cadeva in pezzi aprendo ferite laceranti per le singole esistenze e per intere nazioni.
Il libro si conclude con il rientro in Italia, quattro mesi dopo i fatti di Piazzale Loreto, con il trasferimento di Edda Ciano al confino sull’isola di Lipari.
Ho scelto di raccontare il libro di Mannucci leggendolo insieme con un altro, una biografia romanzata di Hannah Arendt a cui ho dedicato la recensione della scorsa settimana, perché – come la filosofa e politologa mi ha insegnato – fermamente convinta dell’importanza della completezza di analisi e pluralità di fonti e punti di vista, perché non tollero la censura che considero un atto repressivo e violento da qualunque parte essa sia esercitata e perché in questa rubrica scelgo storie che parlano di donne che sfidando le regole sociali della propria epoca hanno aperto nuove strade. Non v’è dubbio che Edda Ciano Mussolini le regole sociali della propria epoca le abbia sfidate.
 ©Riproduzione riservata

IL LIBRO
Enrico Mannucci,
Morire è poco. L’esilio di Edda Ciano,
Neri Pozza
Pagine 269
euro 20
L’AUTORE
Enrico Mannucci è nato a Firenze nel 1952. Giornalista in diversi quotidiani e settimanali, da Paese Sera all’Europeo, dalla Nazione al Corriere della Sera, è autore di biografie – su Tommaso Besozzi e su Emilio Pucci per la collana «Storie della storia d’Italia» diretta da Oreste Del Buono – e saggi: In guerra e in pace, sulle Forze Speciali delle Forze Armate Italiane; Caccia grossa ai diari del Duce, sui Diari «veri o presunti» di Mussolini; Casa Savoia, sulla dinastia nel Novecento prima e dopo la fine del regno.
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