Qui sopra, la direttrice artistica. In pagina,
alcune delle opere esposte

La nuova stagione del Museo Madre riparte con oltre 50 artisti in esposizione
e sette opere che entrano in collezione, tra cui l’iconica di Joseph Beuys ‘Casa Orlandi’ del 1971, celebrando così anche la ricorrenza del centenario della nascita dell’artista tedesco.
In tanti alla conferenza stampa, nella sala che fino a poco tempo fa è stata un Covid Vaccine Center e che ritorna alla sua funzione di origine, accogliendo il Cda con la presidente Angela Tecce e la Vicepresidente Maria Letizia Magaldi e naturalmente la direttrice artistica Kathryn Weir.
C’è fervore nell’aria: la Weir, dopo i discorsi di rito insieme agli altri ospiti, ci conduce tra le opere in un percorso che coinvolge man mano che ci si inoltra. Le sezioni da scoprire sono sei: Spazio Urbano, Spazio Rurale, Spazio Periferico, Spazio Industriale, Spazio Extraterritoriale e Spazio del Corpo e la partecipazione degli artisti è a maggioranza campana. Ci mostrano il loro punto di vista su alcune tematiche di attualità come l’industrializzazione, lo sviluppo delle periferie, il rapporto tra uomo e natura, il concetto di libertà tra le mura, l’idea del lavoro al servizio del territorio e molto altro.


Apre le danze
l’artista Cherubino Gambardella con i suoi collage intitolati “Supernapoli”, donati alla Fondazione nel 2015 e, appena girato l’angolo della sala, i fotogrammi del mitico film “Le mani sulla città” di Francesco Rosi ci danno un’idea netta di quello e chiara del perchè del titolo della mostra. L’ Utopia di una città a misura d’uomo, in equilibrio tra le parti così come la vorrebbe il cittadino parte attiva di una comunità, contro la Distopia della realtà, con sviluppi e assetti sociali e politici altamente diversi e negativi. In pratica utopia positiva vs utopia negativa.

E questa dualità è una costante del percorso espositivo: “La periferia vi guarda con odio” ci dice in faccia il neon di Domenico Antonio Mancini, “Lavorare tutti, lavorare meno!!!” urla lo striscione di Danilo Correale, mentre più avanti Michele Jodice ci fa sentire un intenso profumo di erba bagnata e legno con “Migrazioni”, un grande nido messo al centro della sala, un intreccio che poeticamente ci mette di fronte alla realtà che quel nido è vuoto, vuoto come tutti gli spazi lasciati da chi decide di andarsene se la città o il paese non concede molta altra scelta.


Non mancano le mani, la terra e il lavoro visti dalla grande artista sarda Maria Lai, nè le inquadrature di Mimmo Jodice (che è con noi durante il tour), nè l’occhio di Biasiucci, nè il tocco di Dalisi.
Proseguendo ci si imbatte in “Patria”, delle due artiste Goldschmied&Chiari, una scritta creata con materiale edile di risulta, lasciata a terra, di forte impatto visivo che può rimandare a tanti significati, uno su tutti le morti sul lavoro.


A conclusione di tanti, spazi vuoti, grigiore, barlumi di prospettive luminose, cemento e urla mute, i versi di Pier Paolo Pasolini e di Anna Maria Ortese ci riportano ad una visione intimista.

Le opere sono tante ed era impossibile elencarle tutte, un valido motivo per visitare di nuovo il Madre che punta a diventare il principale polo di attrazione contemporaneo in collaborazione con il contesto campano e i progetti che si prospettano con la Regione, il Ministero e le collaborazioni estere. In primis ci si augura che dopo tanto tempo si recuperi anche quella visione di punto di convergenza per la realtà del quartiere circostante, in un luogo che nel cuore del centro storico di Napoli potrebbe permettersi di dialogare sia con le bellezze storiche a pochi passi (una su tutte la Chiesa di San Giovanni a Carbonara) sia con chi anima queste strade, per ricreare una cittadinanza attiva legata alla sfera museale e non lasciarci prevaricare dalla distopia di interessati aspetti socio/politici.
©Riproduzione riservata
LA MOSTRA
Utopia Distopia: il mito del progresso partendo dal Sud 
a cura di Kathryn Weir

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