Giambattista Pittoni e l’epoca di Casanova. Viaggio nel ‘700 tra Venezia e Napoli è la mostra ospitata da Palazzo Reale di Napoli fini al 15 agosto nell’alcova della regina. Ne proppniamo un excursus di Carmine Negro diviso in due parti. Di seguito, la prima.

Sezione 2. Soffitto dell’alcova restaurato. In copertina, la mostra. Nell’alcova della regina sono esposti tre dipinti del pittore veneziano Giambattista Pittoni, che con la sua arte raffinata e teatrale evoca le atmosfere del Settecento. Un’epoca che ha visto anche le avventure di Giacomo Casanova, celebrato quest’anno per i 300 anni dalla nascita
PRIMA PARTE
Il gesto di Arpocrate[1] di mettere il dito sulle labbra è diventato un simbolo universale del silenzio e della segretezza. Lo ritroviamo nel dipinto ritrovato a Palazzo Reale nel soffitto dell’alcova[2] della regina. Nel dicembre del 1990 viene individuato l’appartamento privato della prima regina del nuovo Regno di Napoli al piano nobile.
Nel 1993 i saggi di prova nell’intonaco della volta rivelano, sotto i rilievi d’oro su fondo bianco[3] del soffitto, la presenza di una decorazione più antica. Nel 2013, nell’ambito di una convenzione con l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, inizia il restauro, un cantiere didattico del Corso di restauro di affreschi e pitture murali, che si concluse nel 2016.
I restauratori, eliminato l’intonaco ottocentesco con sfondo di ornati vegetali in cartapesta dorata e recuperato l’affresco con l’originaria decorazione rococò, hanno deciso di conservare una traccia della decorazione ottocentesca, lasciando ai quattro angoli la decorazione progettata da Gaetano Genovese. L’opera, ritenuta persa dalla bibliografia del Novecento, nei documenti e nelle notizie storico-letterarie è riportata con il nome dell’autore Nicola Maria Rossi, allievo di Francesco Solimena. È stata realizzata tra dicembre 1737 e i primi mesi del 1738 quando comincia il fervore di opere per l’arrivo della regina dopo il matrimonio, tra Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia, celebrato a Dresda per procura il 10 maggio 1738. Il dipinto viene descritto da Bernardo De Dominici nel 1742 «rappresentò Minerva, che con varie immagini di sogni presagisce a quella Maestà felicissima prole: vedendosi da lontano sorger l’Aurora, per argomento felice di fausto evento, come lo sono i matutini sogni; […] con altre bellissime immagini allusive al soggetto[4]».
L’alcova della Regina Maria Amalia di Sassonia è un piccolo ambiente[5], lo spazio rettangolare del soffitto presenta un’incorniciatura che sui vari lati mostra delle sporgenze con mascheroni alternate e vasi marmorei da cui fuoriescono fiori e ghirlande rialzate da alcuni puttini; altri puttini sono sospesi tra le nuvole del fondo ed accompagnano le figure rappresentate.
L’alcova, che all’epoca si presenta con una sola porta che dà sulla stanza del baciamano della regina, ha un ‘verso’, che corrisponde a quella dell’unica apertura. Dal letto di Maria Amalia, posizionato sulla parete di fondo, lo sguardo ricade sull’immagine più vicina: Imeneo, dio del matrimonio, che simboleggia una delle storie più romantiche di tutta la mitologia greca[6]. è ripreso a volteggiare mentre accompagna gli sposi nell’intimità del matrimonio. Intanto, al centro della scena, la Notte guarda sorridente verso il basso, apre il manto blu e dà via libera alla visione di sogno.

Dall’altro lato, attaccato alla notte, a dominare la scena è Minerva, dea della Saggezza: ha l’elmo dorato sormontato da uno strano uccello ed è ripresa mentre con la sua lancia dissipa le nuvole come a sottolineare la chiarezza della verità e della ragione[7].
Sembra guardare l’Aurora che arriva da lontano col suo carro di cavalli: ha in mano una fiaccola e con la sua luce giallo rosata annuncia un nuovo giorno ed un nuovo inizio. La Minerva sovrasta una donna seduta, in abito ‘moderno’ con vistosa scollatura, che accoglie in grembo un nido con due colombe bianche a simboleggiare la Fecondità. Sotto questa dama dai tratti naturalistici e con una sua propria fisionomia un angelo possente fora le nubi planando verso l’ingresso. Reca nella mano sinistra l’uroboro[8] in forma di corona, simbolo dell’infinito, del potere che rigenera sé stesso e si rinnova di continuo, mentre la mano destra indica le tre figure femminili principali, la Notte, Minerva e la Fecondità tutte orientate nello stesso verso.
Poco lontano non manca un velato sottinteso al pudore femminile: due figure nude e alate, una delle quali dopo aver indicato con la mano l’obiettivo della Fecondità, sembra incoraggiare l’altra che si schermisce chiudendo le braccia. A sinistra Arpocrate, che con il dito sulle labbra in segno di silenzio e in mano un ramo di pesco, è raffigurato in monocromo come una scultura di marmo che poggia su un piedistallo mentre guarda l’ingresso.
Sembra questo il ‘mistero’ a cui presiede Arpocrate: «il silenzio, amico della notte è anche presagio di eventi straordinari, come quello del concepimento e della nascita»[9]. Gli elementi del dipinto, che aleggiano in un vortice libero e animato dai diversi toni di azzurro rosa e verde, sembrano abbandonare la semplice azione decorativa per impregnare, con i loro colti rimandi, di fascino e magia le narrazioni rappresentate.
Il dipinto dell’alcova, che utilizza il mito per indicare le trasformazioni, le prove da superare, la presenza di un destino ineluttabile e rievocare la concezione ciclica del tempo e dell’esistenza, sembra ben rappresentare la relazione tra Carlo e Maria Amalia: non si sono scelti ma si ritrovano in un’intensa e fortunata storia d’amore.
I due, dopo il matrimonio per procura del 10 maggio a Dresda, si incontrano per la prima volta il 19 giugno 1738 a Portella, una località al confine del regno presso Fondi. Lui 22 anni, costituzione gracile e minuta e naso molto sporgente, tipico dei Borbone, ma con un carattere cordiale e una morale ferrea e cristallina e Lei, con meno di 14 anni, una bambina non ancora pronta a concepire, dalla personalità affabile e caritativa dotata di grande dignità e di gran fascino, si sono piaciuti da subito.
Carlo rimane affascinato da Maria Amalia: la trova «più bella che nel ritratto» mostratogli prima delle nozze, come in uso all’epoca e al padre e alla madre scrive che possiede «il genio di un angelo». Anche Maria Amalia è attratta dal marito e ai suoi genitori scrive di aver trovato «nel suo amato sposo tanto amore e compiacimento che l’avrebbero legata a lui per sempre[10]».
Carlo si lega fortemente alla consorte e per la regina ogni occasione è buona per essere al suo fianco: in poco tempo i due diventano inseparabili. A febbraio dall’anno successivo la regina si ammala di vaiolo e si barrica in quarantena a Palazzo Reale, mentre Carlo si ritira nella Reggia di Portici. I due soffrono la separazione e si inviano lettere anche due volte al giorno. Non appena Maria Amalia riesce ad alzarsi dal letto il re corre sotto le sue finestre per poterla vedere almeno da lontano. Per fortuna riesce a superare la terribile malattia che però lascia i segni del suo passaggio: le cicatrici sul volto. Sono cicatrici che non mutano il sentimento di Carlo nei suoi confronti che continua ad amarla e a desiderarla.

A dispetto della consuetudine dell’epoca, Carlo e Maria Amalia condividono sempre la stessa alcova, all’interno della loro residenza di Napoli. La semplicità di costume dei sovrani napoletani sorprende il magistrato e erudito francese Charles Des Brosses il quale, quando visita Napoli nel mese di novembre del 1739, ne loda il modello di assiduità coniugale: «Ho notato che non vi è letto nella camera del Re, tanto puntuale egli è ad andare a dormire nella camera della Regina. Senza dubbio questo è un bell’esempio di fedeltà coniugale[11]».
In Spagna, intanto, i genitori di Carlo, Filippo ed Elisabetta, sono ansiosi: la discendenza è di vitale importanza per qualsiasi monarchia per cui richiedono informazioni sulla fanciulla scelta e sulla vita coniugale. Carlo, che si mostra comprensivo nei confronti della richiesta perché «in quanto genitori, mi parlano con franchezza[12]», non esita a rispondere sulla vita intima della coppia, evidenziando la mentalità dell’epoca non ancora toccata dal repressivo clima vittoriano del secolo successivo. Dalla loro relazione sono nati 13 figli, dei quali solo sette riescono a raggiungere l’età adulta.
Donna colta e molto presente nelle decisioni del Regno, Maria Amalia è stata una sposa devota, consacrata alla vita matrimoniale e domestica non mostra mai plateali ingerenze, pur prendendo coscienza dei problemi del suo Stato e facendosene carico.
La regina è molto legata a Napoli e ha contributo, con la sua sensibilità, a renderla grande capitale come riporta in una lettera Charles De Brosses «Napoli è la sola città d’Italia che dia veramente la sensazione di essere una capitale; il movimento, l’affluenza del popolo, il gran numero e il fracasso continuo delle vetture; una Corte con tutte le regole, e molto brillante, il tono di vita e lo spettacolo magnifico dei grandi signori; tutto contribuisce a darle quell’aspetto esteriore vivo e animato che hanno Parigi e Londra, e che non si trova affatto a Roma … Napoli è la capitale musicale d’Europa, che vale a dire, del mondo intero[13]».
Nel 1759 Carlo viene incoronato come re di Spagna e la coppia si sposta a Madrid. Maria Amalia, che ha vissuto a Napoli per ventuno anni e si considera napoletana, parlando del Mezzogiorno come del suo paese, non riesce ad adattarsi all’atmosfera austera della corte spagnola: detesta gli intrighi e le conversazioni delle dame di corte, che lei considera «le creature più ignoranti del mondo».
Nell’anno in cui vive in Spagna si adopera per la modernizzazione dello stato ma non riesce a fare molto: i tredici parti ne avevano compromesso la salute e inasprito il carattere; l’allegria, la spontaneità erano scomparse da tempo per cedere il passo alla depressione, all’isteria, tanto da essere giudicata una «neurótica y avejentada reina» (nevrotica ed invecchiata regina)[14].
I catarri non curati di cui aveva sofferto a Caserta, la continua pratica di salassi, i postumi di una caduta da cavallo a Procida, l’abuso di tabacco e la rigidità del clima determinarono un peggioramento delle sue condizioni di salute. Muore quando non ha ancora compito trentasei anni nel palazzo del Buen Retiro il 27 settembre 1760, in seguito a complicazioni pleuropolmonari, e viene sepolta nel monastero dell’Escorial, un luogo della Spagna che ha saputo suscitare la sua ammirazione.
«In 22 anni di matrimonio, questo è il primo dispiacere che mi dà Amalia», scrive, con triste ironia, in una lettera il marito Carlo. Ed in un’altra lettera indirizzata a papa Clemente XIII aggiunge: «Il dolore che mi provoca tale irreparabile perdita è pari al tenero amore che le professavo[15]»
Carlo, che è stato uno sposo leale in vita e lo è anche nella morte: non c’è un secondo matrimonio né ci sono relazioni con altre donne. Rimanendo fedele per sempre alla memoria dell’amata compagna.
L’alcova della regina, con il suo affresco carico di simboli e significati, diventa così il custode silenzioso di una storia d’amore senza tempo. In questo spazio, oggi, sono esposti tre dipinti del pittore veneziano Giambattista Pittoni, che con la sua arte raffinata e teatrale evoca le atmosfere del Settecento.
Un’epoca che ha visto anche le avventure di Giacomo Casanova, celebrato quest’anno per i 300 anni dalla nascita. Casanova soggiornò a Napoli cinque volte, lasciando tracce del suo spirito libero e della sua intelligenza brillante. Tra Venezia e Napoli, tra mito e storia, questa mostra ci invita a riscoprire un secolo di passioni, sogni e trasformazioni.
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(1.continua)

Ritratto della principessa Maria Amalia di Sassonia in costume polacco (1738)
Olio su tela 260 cm x 181 cm
Museo Nazionale del Prado Madrid Spagna
Immagine di pubblico dominio
NOTE
[1] Arpocrate: Originariamente un dio egizio (Horus fanciullo), divenne in Grecia la divinità del silenzio. La sua raffigurazione con il dito sulle labbra è la sua caratteristica principale, che simboleggia il silenzio e la custode dei segreti.
[2] L’affresco riportato alla luce è opera documentata di Nicola Maria Rossi (1690-1758), che secondo documenti fu pagato nel 1739 cinquecento ducati per dipingere a fresco nell’Alcova di S. M. la Regina “un augurio di felicissima prole”.
[3] Le stanze private di Carlo e Maria Amalia andarono perse nella ristrutturazione neoclassica voluta da Ferdinando II Borbone e realizzata dall’architetto Gaetano Genovese: i lavori sono iniziati nel 1837 e conclusi nel 1858.
[4] Vite de’ pittori…, 1742-1745 circa, a cura di F. Sricchia Santoro – A. Zezza, 2008, p. 1316
[5] L’ambiente misura m 4,8 x 3,35 e ha un’altezza massima di circa sei metri.
[6] https://www.ilmondodisuk.com/palazzo-reale-di-napoli-riaperta-al-pubblico-la-prima-anticamera-dellappartamento-di-etichetta-il-potere-della-vita-nel-luccichio-sfavillante/ Nota 11
[7] J. Chevalier-A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, 1997, volume I, p.112 alla voce Atena.
[8] L’uroboro (serpente che si morde la coda) è uno dei modi per rappresentare l’eternità in Egitto. Nietzsche, interpreta l’uroboro, o serpente che si morde la coda, come un simbolo potente che rappresenta il concetto di eterno ritorno e la ciclicità dell’esistenza.
[9] Per la descrizione oltre ad altre fonti riportate si è fatto riferimento a Porzio, A. & Colalucci, S. (2016), Gli affreschi ritrovati di Nicola Maria Rossi nell’alcova di Maria Amalia di Sassonia in Palazzo Reale di Napoli. In: Carlo. L’utopia di un regno. Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli – Databenc, pp. 153-158.
[10] Peirò Claudia, Sexo “real” explícito: Carlos III de España, el rey que contó por carta todos los detalles de su noche de bodas, in Infobae Historia, 2021.
[11] Defilippis Felice, Il Palazzo Reale di Caserta e i Borboni di Napoli, Di Mauro Editore 1968.
[12] César Cervera La explícita carta entre el Rey Carlos III y sus padres contando todos los detalles de su noche de bodas, in ABC Historia, 2022.
[13] Da Viaggio in Italia. Lettere familiari, Parenti, Firenze, 1957
[14] José Antonio Vidal Sales, Crónica intima de las reinas de España, Barcelona 1996, p. 84.
[15] Peirò Claudia Opera citata