La tradizione gastronomico-letteraria del Mezzogiorno ha carattere nazionale ed è stata la prima d’Occidente. Parola di Gennaro Avano nel suo saggio: “Letteratura gastronomica del Meridione d’Italia”, Editore Besa – pagg. 166, euro 17.”Un viaggio nella cultura demo-etno-antropologica del Sud”, etichetta nella prefazione Antonella Laudisi.
Questo saggio non è il solito “ricettario storico camuffato di sapere che deve giustificare una cultura identitaria, ma piuttosto si sforza di analizzare la gastronomia del sud in relazione alla società ed alle sue componenti etniche. Insomma, alla cucina di Napoli come capitale del Regno sta stretta la definizione di “cucina a carattere regionale”. Siamo al contrario in presenza di piatti e prodotti che da Napoli hanno attraversato il mondo.
Ruperto de Nola, cuoco al servizio di Re Ferdinando, parla, nel 1500, di spezie ed essenze che connotavano il gusto aristocratico rinascimentale. Un ricettario lucano del 1524 individua l’aroma “acqua di rose”.

Borbone| olmondodisuk.com
Qui sopra, la copertina del libro. In alto, la tavola ai tempo dei Borbone

Nel 1600 la cucina italica sembra soccombere a quella francese. Ma nonostante il declino dello stivale nella Napoli vicereale spicca Giambattista Crisci, quest’ultimo apporta un largo contributo alla letteratura gastronomica che gli valse non poca notorietà. Crisci è stato il primo a parlare dell’abbinamento tra pasta e pesce, ovvero di maccheroni e sarde “in coppo” (timballo). La sua pubblicazione non conteneva ricette, bensì quattrocento menù riportanti dai 18 ai 20 piatti ciascuno.
Anche Antonio Latini emerge in questo secolo con la sua opera “Lo Scalco alla moderna”. Due volumi, diciotto trattati e otto banchetti. Il primo volume a base di pietanze di carne. Sul “porco” (maiale) il Latini, pur condividendo essere quest’ultimo un animale immondo ammette avere la  carne saporitissima. Per quanto riguarda il pomodoro il letterato intende questi un capriccio per aristocratici annoiati.
Interessante la pubblicistica del 1700 che verrà egemonizzata per quasi tutto il secolo dal pugliese Vincenzo Corrado, con il suo saggio “Il cuoco galante”, quindici trattati in tutto.
Nel 1800 emerge la pubblicazione di Ippolito CavalcantiLa cucina teorico pratica”, che segna al suo attivo ben 9 ristampe.
Anche l’Europa si interroga sulla gastronomia meridionale. Nel 1900 i testi di Caréme etichettano questa tra le espressioni culinarie più rinomate, “degna di comparire tra le più raffinate scuole d’Europa”.
Un libro questo di Gennaro Avano da leggere tutto in una sola volta. Se ne esce più ricchi, più completi, si diventa più consapevoli di cose il sud è stato anche “a tavola”.

 

 

 

 

 

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