La Thomas Dane Gallery presenta per la prima volta a Napoli la mostra personale dell’artista inglese Bob Law, il fondatore del minimalismo britannico ((22 gennaio 1934 – 17 aprile 2004) ). L’esposizione sarà visitabile gratuitamente fino al 18 dicembre 2021 ed è composta da opere che vanno dal 1950 al 2000.
Bene si prestano gli ambienti rarefatti, puliti e d’altri tempi della T.D. Gallery che contornano ed esaltano i punti di vista essenziali di Law. Per chi non fosse addentro al succitato movimento artistico e si trovasse spaesato di fronte a linee e campiture di colore senza un apparente contenuto di sostanza, diamo brevemente qualche spunto per saperne di più.
Il minimalismo muove i suoi primi passi intorno al 1960 e la corrente più purista è quella americana. Il concetto chiave è semplificare al massimo le forme e la quantità di colori per eliminare tutto il superfluo. Quindi anche lo sforzo creativo si riduce? Nella resa sicuramente, ma è vero anche che questo presuppone una ricerca alle spalle non così ovvia per arrivare a distaccarsi il più possibile da sagome conosciute.
Un ritornare un po’ alle origini e restituire quell’aspetto primitivo in cui poco o nulla si distingue più. Uno stato oggettivo delle cose: una linea, una forma geometrica, colori base, spazi scanditi con rigore.
Per esempio, un castello è formato da più cubi messi insieme e i cubi poi diventano dei quadrati. Non è scontato trasformare questa visione del mondo in un gesto artistico e intuitivo.

In pagina, scorci della mostra nella bella galleria di via Crispi


Con il tempo, anche la luce rientra tra gli elementi “basic” da poter sfruttare e si fanno largo neon e led per giocare con la percezione dell’ambiente circostante, quasi sempre vuoto. Da qui ad arrivare ad influenzare le architetture, il design e la moda il passo è breve, visto anche il contesto scalpitante di novità di quegli anni e del decennio successivo.
Bob Law esplorò svariati ambiti artistici, come la scultura. Tra i pezzi esposti, c’è la reinterpretazione dell’Ultima Cena realizzata in bronzo, in cui il tavolo è contornato dalle 13 sedie vuote degli Apostoli e c’è naturalmente anche quella di Giuda accanto al “trono” di Cristo ma è completamente rotta rispetto alle altre, quale simbolo del tradimento.
Per la pittura, invece, non si distacca dalla ricerca sulla profondità dei toni coloristici come fu anche per Rothko e per altri minimalisti. In una sala campeggia una grande tela rosso ciliegia con un angolo dipinto in verde prato. Questo tipo di opere forzano l’occhio a uno sguardo più duraturo e concentrato per poter coglierne la “vibrazione” del colore, che tecnicamente significa percepire la luminosità rispetto all’opacità e introiettare le emozioni che provoca. I due colori accostati sulla tela sono anche complementari e questo aumenta maggiormente la loro reciproca capacità vibrante.

Fu molto prolifico anche con i disegni, che fanno pensare che non abbia ignorato gli insegnamenti di Kandinsky in merito al tratto “ingenuo” dello scarabocchio, non tanto per il risultato che se ne distacca in quanto a pulizia delle linee, quanto piuttosto per il concetto di indagine sulla forma.

Per concludere, la volontà del minimalismo è quella che poi sfocerà nell’arte concettuale, cioè il voler sottrarre l’opera d’arte ai vincoli formali, in particolare ai canoni estetici, fino ad arrivare a prescindere dall’opera d’arte stessa.
Alla classica domanda “Ma si può ritenere arte questa?” o alla classica affermazione “Potevo farlo anche io!” si contrappone un’unica grande parola che è il motore di trasformazione dell’arte da secoli: IDEA. Riferiamola a una cosa completamente nuova o a una cosa rivista e rivalutata diversamente, l’importante è averne e darle forma. Senza questa, no, non puoi farlo anche tu.
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