Afrodite, Venere, Partenope, ‘A capa, Marianna, Marianna ‘a capa ‘e Napule. Dal periodo greco ad oggi cambia il suo nome, ma è sempre lei, una testa marmorea dalle grandi dimensioni. La testa femminile, se fosse stata umana, avrebbe avuto gli occhi grandi, neri e profondi, labbra piccole e carnose, un’acconciatura fatta con trecce avvolte tipica dell’età ellenica, un’età intorno ai trent’anni, per l’epoca doveva essere molto bella e poteva rappresentare la sintesi del concetto di bellezza e amore che già tremila anni fa la nostra città incarnava.
Era il 1594 quando, sul decumano maggiore, nella zona dell’Anticaglia, quartiere prevalentemente greco della nostra città, fu ritrovato un busto di marmo, o meglio quanto restava di esso: una grossa testa. Secondo le prime ricostruzioni storiche si ipotizzò che si trattasse della testa raffigurante il volto della sirena Partenope, altri studiosi attribuirono il capo ad una divinità pagana, Afrodite nel periodo greco e poi Venere in età romana. Nonostante fosse un reperto importante, rimase lì per tanto tempo abbandonata. Verso la fine del XVI secolo, un facoltoso napoletano, certo Alessandro di Miele, pensò bene di farla collocare su di una colonna all’angolo del palazzo di sua proprietà, all’incrocio tra via Duca di San Donato e via Sant’Eligio, nei pressi dell’omonima chiesa.
Era tra la gente, e la gente la considerava come una Madonna a cui rivolgere e affidare le proprie preghiere, suppliche, lacrime, preoccupazioni, pensieri e segreti. Inoltre quel luogo, allora, rappresentava lo scenario di tanti avvenimenti storici importanti. Sicché la “capa” rimase vittima di vandalismi durante i tumulti di Masaniello e durante quelli di Garibaldi, soprattutto il naso, distrutto e poi rifatto, cambiava dimensioni e fattezze rispetto all’originale.
Alcune fonti sostengono che la “capa” assunse il nome di Marianna durante il periodo della Repubblica Partenopea del 1799, il popolo fedele a Casa Borbone, la identificò con la famosa “Marianne” simbolo della Rivoluzione francese. Secondo altre fonti, invece, il nome le fu dato nell’800 quando venne collocata di fronte alla Chiesa di Santa Maria dell’Avvocata, dove era anche venerato il busto di Sant’Anna, e durante le celebrazioni della santa, le popolane erano solite abbellire la testa femminile con fiori, splendida ghirlande e nastri, terminando i festeggiamenti e rendendo omaggio danzandole attorno. Così, per analogia dei nomi Maria e Anna, le venne dato il nome Maria-Anna.
Durante la seconda guerra mondiale a causa della sua vicinanza alla zona portuale, obiettivo tra i più colpiti da parte dei bombardieri, Marianna, fu danneggiata gravemente. Il suo antico ardore di amore e bellezza cominciò a risplendere finalmente di nuova luce, a seguito di un ennesimo restauro, quello del 1961, quando trovò anche una sistemazione al sicuro presso il Museo Filangieri di via Duomo.
Da qualche anno è stata sistemata in bellavista sul pianerottolo dello scalone centrale di Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli. Nel 2003 una sua copia fu posta all’entrata della splendida Chiesa di San Giovanni a Mare per poterle fare respirare ancora l’aria del suo quartiere.
E’ lì che l’ho vista per la prima volta e l’ho amata subito, per le sue fattezze, per la sua collocazione per strada, per la misura diversa dagli altri monumenti, alla portata, tra la gente, per il suo volto non so perché familiare. La sua è una testa leggendaria testimonianza della nostra storia millenaria, simbolo femminile per eccellenza della città, incarnazione del destino sociale e politico di Napoli.
E come per tutte le donne napoletane: virtuose, devote, appassionate, peccatrici, rivoluzionarie e dannate anche in Marianna ‘a capa ‘e Napule si percepisce qualcosa di veramente vibrante che viene dal vivere tra tanto fascino e bellezza. Na’ capa tanta, la sua, simbolo per i nostri avi di sapienza ed intelletto, un mito di amore e bellezza, ma anche di semplicità, coraggio, forza, una vera donna insomma.
In foto, la copia ’entrata della splendida Chiesa di San Giovanni a mare

 

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