1799: nasce la Repubblica napoletana, dieci anni dopo la famosa Révolution di Francia. Soldati francesi, comandati dal generale Jean-Étienne Championnet, occupano Napoli con il favore degli intellettuali giacobini napoletani, che li considerano portatori di liberté ed égalité. Questi napoletani sono, per la maggior parte, borghesi ma tra loro vi sono anche dei nobili, che, facendo parte della Corte borbonica, hanno avuto dal re, come la nobildonna Eleonora Pimentel Fonzeca, denaro, privilegi e amicizia. Ferdinando di Borbone, che è re di Napoli e di Sicilia, si è rifugiato a Palermo, nel suo regno siciliano.  A Napoli  c’è il popolo. Che si oppone ai francesi. Dall’alto di Castel Sant’Elmo, gli “intellettuali”, tra loro c’è anche Eleonora, gli sparano contro palle di cannone, uccidendo molti popolani. Dicono che lo fanno per dargli la libertà.
Ma qualcosa non torna in questa storia. Eppure è questa la storia che ci hanno fatto studiare a scuola. E’ questa che ancora ci vanno ripetendo associazioni “culturali” che, nate nel nome dei “Martiri del Novantanove” e sovvenzionate a tal uopo, definiscono questi intellettuali “vittime innocenti” della violenza altrui. Le stesse associazioni ancora pubblicano libri e articoli, anche su internet, che parlano del “Cardinale assassino”.
Questi è Fabrizio Ruffo, calabrese di San Lucido. Di nobilissima famiglia, è un giovane brillante che è già cardinale, quando, a ventisei anni, decide di agire. Gli intellettuali giacobini professano l’ateismo e il mondialismo, quasi un’attualissima metafora dell’esperienza nostrana. Lui, invece, ama la sua patria, il suo popolo, la sua fede e il legittimo governo del suo re (che poi le costruzioni, le leggi, i documenti  e i fatti ci hanno rivelato che non era malvagio come una storia contraffatta ci ha propinato).
Fabrizio parte, diretto verso Napoli, dalla Calabria. Ha con sé un piccolo gruppo di amici che, via via, si infoltiscono, fino a diventare migliaia (circa venticinquemila, dicono), con  gente di tutti i tipi, però decisa e coraggiosa.  E’ una spedizione improvvisata, ma è guidata da un giovane  ben consapevole della situazione e della storia. Una spedizione che sarà vittoriosa.  Ce la racconta un personaggio che ne ha fatto  parte, il tenente colonnello Domenico Pietromasi, in un libro, pubblicato nel 1801: “Storia della spedizione dell’eminentissimo cardinale D. Fabrizio Ruffo”. Ora di questo libro è stata fatta una copia esatta, anastatica, che è fornita anche di una introduzione dello storico e giornalista Fernando Riccardi.

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Qui sopra, la locandina dell’evento. In alto, Ferdinando di Borbone

Questo libro verrà presentato, sabato, 17 giugno, alle 17.30, in un convegno che si terrà nell’ex Refettorio del Monastero delle Trentatré, in via Armani 16. L’antico Monastero è in uno dei luoghi più suggestivi del centro antico di Napoli: l’Anticaglia. Ha una strada su per giù parallela alla via del Purgatorio e a via San Biagio dei Librai. Alla quale si può accedere da questi decumani, oppure da via Costantinopoli o anche da via Duomo.
Il Monastero delle Trentatré è chiamato così perché erano in questo numero le monache clarisse cappuccine che, sulla scia di Santa Chiara, la nobile Maria Lorenza Longo (1463/ 1454), fondatrice anche dell’Ospedale degli Incurabili, vi riunì, con la benedizione del papa Paolo III Farnese. Ora, queste monache di clausura abitano ancora nel monastero, ma sono soltanto tredici. . Però sono, modernamente, anche su facebook.
Al convegno parteciperanno Francesco Galluccio, presidente dell’ “Atrio delle Trentatré Onlus”, Claudio Saltarelli, presidente dell’ “Associazione Altaterradilavoro”, Giuseppe Serroni, presidente de “I Sedili di Napoli”, Fernando Di Mieri, docente di Filosofia Teoretica e Fernando Riccardi, storico e giornalista, autore del saggio introduttivo del libro.

 

Per saperne di più
www.altaterradilavoro.com

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