5 domande per Napoli”“. Proseguiamo con la nostra rubrica di approfondimento politico. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Ne parliamo con Lucia Valenzi, presidente della Fondazione Valenzi Onlus 

Qui sopra, Lucia Valenzi, figlia dell’ex sindaco
di Napoli, Maurizio. In alto,
uno scorcio del nostro golfo


Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno ed un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo. Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
«Ciò che è mancato in questi anni è stata proprio una visione della città. Il fatto che Napoli si trovi tra più fuochi potrebbe essere un vantaggio in quanto le permetterebbe di svolgere una funzione centrale di coordinamento e agevolazione degli scambi, primo fra tutti quello tra le diverse sponde del Mediterraneo, nel momento in cui appare evidente l’importanza del nostro rapporto con il Nord Africa e non solo per il problema dei migranti. Si potrebbe cominciare dalle aree e le attività portuali. Stranamente ci dimentichiamo facilmente che Napoli è un porto, un porto al centro del Mediterraneo. Abbandonando suggestioni di un facile meridionalismo di maniera che sfiora gli atteggiamenti neoborbonici, si dovrebbe proiettare una immagine moderna della città valida a livello internazionale. In questo arte e cultura ci possono aiutare».
L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
«Mio padre, Maurizio Valenzi, ha detto spesso che “Napoli non si governa da un solo Palazzo”.  Quest’ultimo periodo ha visto un’assurda contrapposizione fra le istituzioni Comune, Regione, Stato. Per il bene della città e della sua economia andrebbe invece risolta la frammentazione dei centri decisionali. Sarebbe utile per il momento che si affermasse almeno la voglia di fare rete tra i soggetti privati operanti sul territorio, magari da un segnale del genere si potrebbe dare un buon esempio per le forze politiche di governo e di opposizione, per riportare ad unità l’insieme dei decisori politici e economici, senza la quale uno sviluppo sostenibile proiettato al futuro non è pensabile».
Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
«Un metodo di coordinamento concreto e continuativo tra istituzioni locali e nazionali, tra le forze pubbliche e private e non ultimo tra centro e periferia del territorio cittadino aiuterebbe anche un dialogo tra le “due città” di cui è fatta Napoli, due città divise socialmente che storicamente non si parlano. Questo dialogo non dovrebbe essere banalmente in un rapporto del centro con le periferie, ma in rapporto a tutto il territorio che una volta era chiamato Provincia. In sostanza, è necessaria una visione d’insieme e coerente, non più rinviabile, dell’intera Area metropolitana. È necessario un progetto sistematico, integrato e armonico con tutto il territorio circostante, trasformando in una istituzione reale il contenitore solo burocratico (e parecchio inefficiente) della Città Metropolitana».
Dopo il Covid– 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
«Il virus ha messo seriamente in crisi la nostra città. Ho la sensazione che le abbia fatto fare un passo indietro di almeno venti anni. Vedo immagini in giro per le strade che pensavo ormai cancellate per sempre. Ad esempio l’infanzia lasciata abbandonata a sé stessa, l’aumento dei senza dimora, il decadimento di tutti i tipi di servizi. Ma la base è il tessuto produttivo da sempre fragile che va invece rafforzato, rilanciato, sperando che funzioni il piano di ricostruzione europeo. Si dovranno attrarre investimenti, non legati alla logica dell’emergenza o peggio agli interessi elettorali, finalizzati alla stabilizzazione della forza lavoro. Una forte politica industriale intesa come fonti energetiche alternative e dell’informatica d’avanguardia. Attività legate alla formazione professionale e accademica di qualità, ma anche alla comunicazione e alla creatività che non ci dovrebbero mancare. Ma anche le attività di rigenerazione urbana e ambientale».
La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città?   
«Credo che la voglia di partecipare è forte ma rimane sotterranea perché non trova luoghi in cui esprimersi. Inoltre domina un senso di frustrazione perché non si riesce a incidere su nulla, le decisioni si prendono sempre altrove. Il decentramento si è tradotto in nuovi piccoli centri di potere e di burocrazia, si vedano ad esempio le Municipalità. Le forze politiche non coinvolgono più i giovani. Un’occasione perduta è stata anche la pandemia dove si sarebbero potuti incanalare i giovani in azioni di solidarietà. Mi dispiace su questo punto resto molto pessimista».
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