“devo ritrovare me stesso. Devo . E lo devo a me stesso. Devo. E lo devo adesso. Non può essere che non mi ritrovi più.” Cristiano Godano

Qui sopra, ritratto di Antonella Romano. In alto, particolare di un’opera. In basso, altri particolari dei suoi lavori in mostra Gli scatti sono di Antonio Conte

Antonella Romano è un’attrice, vive di teatro e in questa mostra si vede la sua naturale propensione allo spazio e alla luce, al movimento all’interno di uno spazio, un palco o come in questo caso le sale al primo piano di Palazzo Fondi (fino al 31 luglio).
Vuole che lo spettatore non sia un semplice fruitore ma un soggetto attivo e partecipe. Così traccia delle fughe, degli indizi nascosti come terra a indicare un possibile percorso .
La mostra ha un suo ritmo, una sua scansione del tempo dettata dalle installazioni di Antonella, che in cinque stanze ci presenta momenti della vita di una persona, attimi lunghi un’esistenza intera, storie, situazioni e sensazioni che appartengono alla donna, all’attrice, all’artista. Che appartengono a tutti noi.
Fragile è il titolo di questa mostra e fragili appaiono i lavori, delicati come il fil di ferro che l’artista ricama con le proprie mani, frangibili come il corpo che ci portiamo addosso, leggeri come i pensieri che riusciamo a fare certe mattine, e meravigliosi come i fiori che ritornano in tutte le opere, come il cuore che batte “e non si ferma mai e a noi ci tocca sempre andare” . 
E proprio un fiore è l’opera prima che ci dà il benvenuto. Una presenza in punta di piedi che nasce da un sampietrino: Antonella è napoletana e ha ben presenti quali sono le sue radici. Radici e origini che però ci portiamo dentro e in parte trasfigurano la nostra realtà. Ci condizionano e non sempre ci fanno vedere le situazioni per quelle che sono.
Siamo noi quelle radici? Siamo noi la nostra origine? O siamo questo percorso che l’artista ci invita a fare? Un mondo a testa in giù, uno specchio che deforma la realtà ci fa entrare nella parte più colorata di tutta la mostra, i colori non mentono e Antonella deve saperlo bene. Ci invita ad andare oltre “un mondo che tu non vuoi”.
Questi piccoli fiori racchiusi sono la parte più profonda di noi che dobbiamo proteggere e coltivare, perché è facile che ci vengano strappati, che sfioriscano o che appassiscano. Dobbiamo tenerli al sicuro per non perderci, in fondo siamo anime fragili proprio come le opere esposte.
È un viaggio quello che Antonella fa prima di tutto dentro se stessa, come ogni artista dovrebbe sempre fare, scavare, andare a fondo, farsi male, trovare quella ferita che pungola i nostri pensieri più intimi. E aprirla per entrarci dentro, portarci una manciata di sale che brucia e creare un giaciglio dove restare a dormire almeno per un giorno. Almeno per il tempo di visitare questa mostra, per arrivare a conoscerci, a guardare i nostri mostri negli occhi, nei nostri bellissimi, profondi occhi neri e arrivare così a comprenderli. Sconfiggerli non possiamo, sono parte di noi.
Ma, come Antonella ci svela, possiamo capirli, come se all’improvviso stessimo fuori di noi , dalla ferita più profonda, scavata dentro noi stessi possiamo guardare il meccanismo da lontano: e se lo guardi lo fai tuo.
Non sei più tu un ingranaggio del meccanismo, un pezzo della giostra, sei tu il giostraio, sei tu l’operaio capace di riparare il meccanisimo. Puoi sorridere di te stesso, puoi sorridere con te stesso. Un sorriso sornione, amaro ,sofferto , un sorriso che porta con se tutti i tuoi errori, tutti i tuoi orrori.


La ferita fa male, brucia ma tu puoi uscire dal bozzolo, nudo, debole e fragile, proprio come questa mostra. E ti ritrovi in un campo di rose ricamate in un mare di sale, che caustica, si può guarire solo se ti fai davvero male.
Antonella lo sa, adesso lo sappiamo anche noi. E possiamo passare alla prossima stanza, al prossimo attimo, forse adesso è tutto in discesa , forse è tutto più semplice ma Antonella è un’artista e gli artisti mentono e dicono la verità allo stesso tempo. Niente è facile. Ci troviamo in una stanza tra corpi sospesi , dei busti di donna, materni come certe madonne. Stiamo rinascendo e portiamo dentro di noi racchiuso un piccolo fiore.
Una nuova speranza, una seconda possibilità, forse è solo quel seme che nato all’inizio da un sampietrino si sta riscoprendo consapevole. Entriamo e ci perdiamo tra queste figure leggere, diventiamo parte dell’opera, pronti, con il sorriso che contraddistingue chi sa, a passare alla prossima stanza, per capire che possiamo ancora volare alto, essere il totem di noi stessi, la nostra forza che svetta alto e illumina tutto intorno a creare dei coni di luce, la nostra luce, che stavamo perdendo perché siamo al tempo stesso fragili, come questa mostra  e forti  come il filo di metallo ricamato, come Antonella.
Lei lo sa che possiamo avere tutte possibilità che vogliamo , riprovare e continuare a riprovare all’infinito. Che però tutto questo non servirà a niente se prima non riusciamo a vedere noi stessi, dentro noi stessi. E così Antonella ci porta per mano nell’ultima stanza della mostra.
Dove ci aspetta la prova più difficile, perché tocca a noi decidere, l’artista ci da la possibilità di scegliere, vuole da noi un atto di coraggio, un po di sana follia e tanta forza di volontà. Riuscire a scendere in profondità. è questa la sfida più complicata. Ma solo così è possibile poi risalire ed essere finalmente liberi e leggeri. E come farfalle volanti andare oltre , oltre tutto e oltre noi stessi, con la piena consapevolezza di quello che siamo e di quello che possiamo essere ancora. 
In quel momento , accompagnati dall’ultimo lavoro di questa fragile mostra capiamo che non stiamo guardando l’esposizione di  Antonella Romano, stiamo guardando dentro di noi, un viaggio che dalla nascita del primo fiore ci porta alla possibilità di andare verso una coscienza superiore, un percorso catartico di accettazione delle proprie fragilità.
Ci ritroviamo da soli alla fine di questo percorso e l’unica cosa che possiamo fare e ricominciare da capo. Trovarci di fronte a quel fiore, che adesso sappiamo essere noi e guardarlo con amore, vedendo tutte le sue fragilità, le sue debolezze, scoprendo i nervi nascosti e sperando che in questo modo nel nuovo percorso che prenderà la nostra vita ci saranno meno ferite, meno spine e più consapevolezza.  
Antonella Romano  svetta come le sue installazioni, emana luce e forza e fragilità, proprio come questa sua personale. Questo è il suo invito per noi.
©Riproduzione riservata 

La mostra di Palazzo Fondi è curata da Anna Cuono e inserita nel programma del Napoli Teatro Festival Italia 2020. Visitabile fino al 31 luglio, dal giovedì alla domenica, 17- 20.

 

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