“Flegrea – Un futuro per Bagnoli”. In anteprima per due giorni allo storico cinema Perla. Il docufilm, che segna l’esordio del regista Stefano Romano, è frutto di un progetto ideato assieme a Salvatore Cosentino (attivista) e Raffaele Vaccaro (Nisida Environment). Grazie al loro inesauribile entusiasmo, i tre giovani sono riusciti ad aggregare un team di professionisti e a raccogliere, tramite una campagna di crowfunding, fondi a sostegno della pellicola.
Il docufilm, nato con lo scopo di divulgare una delle tante ingiustizie ambientali e socio-economiche del Mezzogiorno, non rivolge il suo sguardo al passato, ma parla al presente, attraverso i tormenti esistenziali dei due attori protagonisti, Ciro e Federica.  Accanto a loro, nella pellicola appaiono i volti di tante attiviste ed attivisti, che accompagnano il filo rosso della narrazione. A latere del film, è stato possibile visitare la mostra fotografica di Dimitri d’Ippolito ed Ernesto Rollando.
La proiezione è stata letteralmente bagnata dalla folla: tanti, gli abitanti di Bagnoli, riuniti nell’Osservatorio popolare che monitora la bonifica dell’area dell’ex Italsider. Dell’opera abbiamo parlato con i tre ideatori del progetto.

In copertina: L’ingresso del cinema La perla all’anteprima del docufilm Flegrea – Un futuro per Bagnoli. Sopra, da sinistra a destra: Stefano Romano, Salvatore Cosentino,
Raffaele Vaccaro

In una precedente intervista pubblicata da questa testata, dicevate di essere in alto mare col progetto. Adesso che l’avete portato nelle sale cinematografiche, raccogliendo una grande partecipazione, vi sentite soddisfatti?
Stefano Romano: Proviamo una soddisfazione immensa. Abbiamo vissuto con grande emozione ogni istante della prima. La cosa più importante per noi era il raccontare questa storia sia alle persone del quartiere, sia a chi non conosceva affatto questa vicenda. Ho ricevuto messaggi di persone che mi hanno detto che è stato bello conoscere non solo la storia del territorio, ma anche, tramite le vicende vissute nella pellicola da Ciro e Federica, una narrazione su Bagnoli finalmente inquadrata nel presente.
Salvatore Cosentino: Non ci aspettavamo tutte queste presenze anche se, nelle ultime settimane, abbiamo visto crescere nel pubblico l’aspettativa. Ciò significa che c’è molta voglia di relazionarsi con una narrazione che parta da quella che è la vita all’interno di questo quartiere. Non era scontato immaginare questo tipo di partecipazione. Ci fa piacere che le persone si siano riconosciute all’interno della narrazione di due ragazzi che non avevano mai vissuto dall’interno la fabbrica. Ma ci fa anche piacere che il pubblico si sia immedesimato nelle problematiche che vivono i protagonisti, dal lavoro precario alla sopravvivenza quotidiana in questi quartieri, passando dai bisogni dei giovani e non solo. Abbiamo provato a far arrivare tutti questi temi ad un livello di racconto. Abbiamo scelto il cinema, perché è quello che ci permetteva di dialogare su più aspetti.
Raffaele Vaccaro: La soddisfazione è enorme. Qui non è impossibile fare cose importanti e belle, ma è più difficle che in altri posti. Quindi, essere riusciti a completare un progetto complesso con ricerca di finanziamenti, aiuti vari, la costruzione della troupe su un territorio come quello di Napoli e del Sud in generale, è una grande soddisfazione. Il progetto però è appena agli inizi. L’obiettivo di questo film non è di diventare un bestseller mondiale, ma creare un cambiamento sul territorio di Bagnoli, ma anche negli altri luoghi che subiscono lo stesso tipo di dinamiche.
La vicenda che voi state cercando di raccontare è ancora viva sotto la pelle di questa città?
Stefano: Sin dal principio, il nostro obiettivo era di raccontare Bagnoli in funzione di una narrazione universale. Bagnoli è, dal punto di vista dell’aggiornamento sulla bonifica e sulla risoluzione della questione Italsider, immobile da trent’anni. Ma non lo è dal punto di vista della vita delle persone che ci abitano, né dal punto di vista dell’attivismo politico. Stessa cosa succede in altri luoghi d’Italia, come Taranto, e in altri paesi d’Europa, come in Inghilterra, Francia, Spagna, dove aree deindustrializzate dettano l’agenda politica. Con questo progetto volevamo utilizzare Bagnoli per raccontare una storia che andasse al di là dei confini della città. Speriamo di essere riusciti a comunicare l’esigenza di sbloccare questo immobilismo.
C’è in programma una proiezione di Flegrea al di fuori dei confini della Campania?
Salvatore: Pensiamo sia importantissimo andare oltre il quartiere e la città. Non puntiamo a raccontare la vita di Bagnoli alle persone che già vivono qui e percepiscono alcuni bisogni. Il racconto serve, più che altro, a immaginarsi uno spazio diverso rispetto all’immobilismo di cui parlava Stefano. Noi volevamo rompere con mano quel muro che circonda il perimetro della fabbrica attraverso l’occhio del cinema. Questa cosa serviva per dialogare con gli abitanti del quartiere e dirgli: guardate che c’è qualcosa dietro quel muro, non è uno spazio vuoto, né un buco nero e dobbiamo imparare a romperlo. Pensiamo che questa storia non riguardi solo le persone che vivono qui, ma anche altre aree deindustrializzate d’Italia e del Mondo. Questo tipo di storie necessitano di essere raccontate anche all’interno di una dimensione ambientale, che diventa sempre più urgente. Bisogna sconfiggere il vecchio ricatto lavoro-ambiente, ma anche il paradigma immobilismo-ambiente, cercando non di immaginarsi soltanto uno spazio che sia profitto per pochi, ma un luogo di vita per gli abitanti dei vari quartieri deindustrializzati.
Raffaele: Per quanto riguarda la parte artistica e di percorso festivaliero, Stefano si è già messo all’opera. Mi piacerebbe arrivare in tutti quei luoghi in Italia che hanno subito le stesse vessazioni di Bagnoli e poi, come abbiamo provato a raccontare con elementi di internazionalità, riuscire a replicare questa cosa in altri paesi. Durante la ricerca e la fase di sviluppo su questi elementi, ci siamo resi conto che la situazione di Bagnoli accomuna tantissime città in Europa e, al di là di quello che si può pensare quando magari si dice: “a Napoli non si è fatto niente, altrove si rigenera”, le cose cose non stanno così. In verità, al di là di qualche esempio positivo in Germania e Belgio, la grandissima maggioranza dei siti industriali dismessi rimane abbandonata a sé stessa. Quindi sogniamo che questo nostro lavoro possa essere utile anche ad altre città in Europa.

Un momento della partecipazione in sala

Il vostro docufilm può diventare uno strumento di lotta politica per scardinare l’immobilismo istituzionale sulla bonifica di Bagnoli?
Stefano: Deve. Nel senso che il documentario e il cinema sono strumenti che servono al cambiamento nella vita reale. Noi raccontiamo una storia per fare in modo che qualcuno si riveda nelle vicende di Ciro e Federica, i due protagonisti, e faccia in modo che questa situazione di immobilismo, questa precarietà che loro vivono all’interno di Bagnoli non si ripeta più. Dall’inizio, la nostra speranza era di raccontare una storia, sensibilizzare e provocare un cambiamento. La soluzione riguardo l’uso dell’area dell’ex Italsider non ce l’abbiamo e non abbiamo mai imboccato questa strada. Quello che vogliamo, è sottolineare l’urgenza di un cambiamento e faremo di tutto come cittadini e abitanti di Bagnoli per continuare a farlo nel nostro piccolo.
Raffaele: Assolutamente sì. Non solo politico, ma anche sociale, ambientale. È quello che abbiamo voluto sottolineare, la conseguenza socio-economica del danno ambientale. Questa denuncia deve servire da strumento ai cittadini semplici, ma anche alle persone che hanno potere decisionale, per far andare le cose più rapidamente rispetto a come sono andate nel passato.
Che vi aspettate dal nuovo governo riguardo alle bonifiche?
Salvatore: Una linea molto specifica, che è stata dettata dai governi degli ultimi anni, è rimasta invariata. Lo abbiamo già visto non solo con gli esecutivi a trazione Partito Democratico, ma con la declinazione durante lo “Sblocca Italia” di Renzi. L’idea che resta è ancorata allo sbloccare i lavori di bonifica, ma per favorire gli interessi di settori della borghesia che hanno l’unico intento di produrre per loro stessi e non per il benessere degli abitanti. Se volessimo dare un giudizio sulle nomine dei nuovi ministri, il dare una delega a chi, dopo la politica, gestisce locali notturni sulla spiaggia, è già un indirizzo specifico ed è facilissimo fare parallelismi fra quanto accade sul litorale flegreo e su moltissimi altri litorali italiani. In altri termini, esiste il rischio di una privatizzazione selvaggia. Questa è una rappresentanzione molto diretta del tipo di sviluppo che hanno loro in testa.
Raffaele: Sicuramente un rinnovato interesse per l’area e un po’ più d’attenzione sui risultati degli effetti raggiunti nella bonifica e nella rigenerazione dell’area. Negli anni, c’è stato un innalzamento dell’attenzione mediatica e politica con il Ministro del Sud, le cabine di regie, il commissariamento affidato al sindaco, però adesso vorremmo risultati sul campo. Il ruolo del nuovo governo dovrà essere quello di assicurarsi che da parte del commissariamento e Invitalia arrivino risultati tangibili in tempi brevi.

La locandina del docufilm

Avete portato la partecipazione popolare sul grande schermo?
Stefano: C’hanno provato in parecchi prima di noi e molti altri seguiranno. Noi prendiamo le mosse dai film che amiamo sia in ambito documentaristico, coi lavori di Agostino Ferrente, sia coi film di finzione di Ken Loach. Abbiamo sempre cercato di non raccontare Bagnoli in una maniera univoca. Abbiamo cercato di portare innanzitutto i protagonisti nella lotta dell’Osservatorio popolare e di Villa Medusa e, attraverso il loro sguardo, raccontare anche quella parte del quartiere.
Salvatore: Soprattutto abbiamo lasciato molta libertà. Le scene del film che riguardano il vissuto quotidiano di Ciro e Federica non sono state per niente direzionate dalla produzione. C’è stato semplicemente un momento in cui gli abbiamo detto: parlate di questa cosa, parlate di quest’altra, ma perché dall’esterno era più facile capire cosa mancava e cosa si potesse aggiungere. La scena dell’assemblea, ad esempio, non è stata recitata. Semplicemente, si stava svolgendo per davvero un’assemblea e abbiamo avuto il permesso di filmare. Questa cosa c’ha dato l’opportunità di raccontare quello spaccato del quartiere attraverso il lavoro di due persone che non sono estranee o non sono giornalisti che vengono a guardare all’interno di uno spazio, ma che hanno vissuto in prima linea quelle battaglie. Ed era una cosa che tenevamo a rappresentare all’interno di un prodotto cinematografico.
Raffaele: Assolutamente sì. Anche se ci sono già prodotti in cui questo viene fatto. Quello che voglio cercare di creare assieme a Stefano e Salvatore è più che altro uno strumento di dialogo. Far vedere la presa di consapevolezza dei protagonisti all’interno del film, grazie all’incontro con associazioni e comitati che lottano ogni giorno e, allo stesso tempo, creare il dialogo tra queste due parti della società napoletana con il potere decisionale. Noi saremo contenti quando metteremo tutti attorno a un tavolo avendo il rappresentante del comitato dell’associazione e dei cittadini allo stesso livello della struttura commissariale di Invitalia. Più che la lotta popolare all’interno di un film, volevamo fare un processo di empowerment della società civile.
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