Oggi pomeriggio, mercoledì 28 dicembre, Vincenzo e Vincenzino propongono a lettrici e lettori un brindisi per festeggiare la nascita del loro libro “La vita di lunedì. Di sogni e altre quisquiglie” edito da ilmondodisuk. L’appuntamento è nel negozio di via Carducci numero 11 in quella Napoli di Chiaia di cui raccontano, insieme a tante altre cose, in oltre 200 pagine, accompagnati dalla penna frizzante, ironica e acuta di Francesca Vitelli. Di seguito, pubblichiamo uno stralcio del testo, estratto dal capitolo 12 intitolato “Della cazzimma e di altre quisquiglie”.

Quando l ’entusiasmo si allontana malfermo sulle gambe, scegliendo di andare a riposare altrove, il cielo si oscura, il soffio dell’anima si affievolisce abbandonandoci a un destino fatto di grigiore e tristezza. Vorremmo inseguirlo, aggrapparci al suo cardigan, quello che sempre indossa svolazzante perché perennemente accompagnato da un venticello brioso, vorremmo trattenerlo perché il sole che stende i raggi in una direzio- ne troppo lontana ci getta nello sconforto…

Vincenzino: ma che teniamo tutte queste cose belle la gente lo sa? Dovremmo fare un programma per uscire dalla chiavica in cui siamo sprofondati, come è possibile che tenevamo questo poco e stamme accussì sgarrupate?
Vincenzo: eh, domanda interessante, che programma?
Vincenzino: un programma politico, interessiamoci vuttammoce dentro alla politica, pare che qua la sanno fare tutti quanti e gli viene pure bene, diventano ricchi, stanno sempre in mezzo a ogni cosa e una volta che sono entrati a giro, a meno che nun fanne ’na strunzata gros- sa, non escono più. Ti ricordi da piccoli, facevamo il gioco della sedia con la musica che quando si spegneva la radio chi non correva a sedersi e rimaneva in piedi veniva eliminato? Ccà è uguale, le sedie stanno là e le persone – sempre le stesse – girano, poi se diventi bravo, ma bravo assai, succede che se rimani senza ’na poltrona la aggiungono apposta per te, te la costruiscono su misura e non ti devi stare a preoccupare se la musica si ferma e tu sei rimasto allerta comme ’nu baccalà.
Vincenzo: quando eravamo giovani, ci abbiamo creduto nella politica ma adesso siamo troppo scafati, sappiamo che niente serve a niente e che le cose non cambiano, no questo impiccio non fa per noi, per lanciarci da qualche parte dobbiamo entusiasmarci e qui con questa politica che ti vuoi entusiasmare, ti passa tutto il genio, come diceva Massimo Troisi quando nel film parlava con Sandro Pertini e gli diceva presidè perché guardate a me, io non lo so che fine hanno fatto i soldi per la rico- struzione del Belice. Ecco, se leggi un giornale o ascolti la televisione, si parla di miliardi che vanno e vengono e poi dove stanno, che ci hanno realizzato, per cosa sono stati usati?
Vincenzino: ’a verità è che noi non teniamo cazzimma, e senza quella la politica non la puoi fare, hanno voglia di dire che al Nord non sanno che cos’è la cazzimma, ’o sanno, ’o sanno benissimo, la chiameranno in un altro modo ma ce l’hanno pure loro. Una volta ci abbiamo provato a spiegare a una ragazza piemontese cos’è ma quella non capiva, le dicemmo: “tu mi chiedi cosa è la cazzimma? E io nun t’ ’o voglio dicere!”. E lei rispose “perché non me lo vuoi dire?”; ma come perché? Perché chesta è a cazzimma! Pare che non lo capiscono, ma ’o sanno pure loro, tutti lo sanno, la cazzimma è connaturata agli esseri umani, è nata prim’ essa e poi l’uomo delle caverne. Se si guarda bene secondo me ce sta pure nelle pitturelle che facevano loro ’ncoppa ai muri tra ’nu bisonte e ’nu dinosauro. Poi, certo, bisogna essere creativi e sviluppare delle sfumature: ci sta la cazzimma simplex, quella dei moicani, la cazzimma nera…
Vincenzo: esistono sensazioni che non si possono spiegare con le parole, ma vanno provate sulla pelle, noi napoletani troviamo delle espressioni per rappresentare dei concetti universali ma gli altri, quelli che non sono napoletani, confondono e pensano che perché noi abbiamo saputo descriverli e dargli un nome li abbiamo inventati e sono modi di fare che appartengono solo a noi, ma non è così. Siamo bravi a inventare espressioni efficaci che ti fanno subito abbinare un’idea, un concetto, a quell’espressione, a volte è anche una questione di suoni – onomatopeica si dice – che richiamano alla mente delle cose.
Vincenzino: a Napoli tutto è suono, rumore, vita, manco la notte ci sta silenzio, a Posillipo senti il rumore del mare, nel resto della città quello del traffico e quando vivi in un vicolo senti tutti i fatti della gente che abita vicino a te. Là nun ce sta bisogno dell’onomatopeica, siente e basta, ma mò ce lo vogliamo trovare un fatto da fare, ’nu triccheballacche che ci svuota la capa, stavo pensando a quando c’inventammo quelle belle borse da donna, erano originali proprio assai…
Vincenzo: era il 2010 e nostra figlia si era appassionata alla bigiotteria, così pensammo di inventarci qualcosa di nuovo e tirammo fuori delle borse in stoffa e plexiglass.
Vincenzino: ’a criatura aveva pigliato ’na capata su questa cosa, mi ricordo l’arrovellamento di cereviello per trovare un materiale da abbina- re alla stoffa che da sola si ammosciava tutta quanta. Il cuoio era banale, il legno non andava bene e così ci inventammo questa cosa, forse dovremmo riprendere a creare accessori.
Vincenzo: no, basta non tengo genio e poi quello lo avevamo fatto per aiutare la criatura, vorrei qualcosa per svuotare la testa dai pensieri e non mettermi dei vermi nel cervello.
Vincenzino: va bene allora i vermi mettiamoli a casa loro, nel terre- no, e diamoci al giardinaggio, a Ischia ci stanno alberi e piante. Possiamo svuotare la mente e lavorare con le mani, scaravoltiamo la terra dai vasi, zappiamo un poco che ci fa bene, piantiamo qualcosa e curiamolo fino a che non vediamo il miracolo, quando spunta ’na capuzzella, un germoglio dalla terra.
Vincenzo: bravo a Ischia, ma noi siamo in città prigionieri in un appartamento per evitare di diffondere il contagio del COVID, dove le facciamo spuntare queste capuzzelle?
Vincenzino: maronna mia, e che fatica trovare qualcosa da fare! Vincenzo: un triccheballacche che ci allontana i pensieri tristi e ci fa tornare un poco di entusiasmo? E dove sta? Se mi guardo intorno mi viene lo scoramento.
Vincenzino: tutta colpa ’e ’sta pandemia: c’ha accise ’a salute, nun se fatica, nun ce sta ’na lira e nun putimme ghì a nisciuna parte, qua la mattina ti svegli e non sai di che colore è diventato il posto dove stai progioniero: giallo paglierino, arancione scuro, rosso pallido, se puoi uscire solo sul pianerottolo o ti puoi avventurare fino all’angolo della strada.
Vincenzo: all’inizio speravamo che durasse poco, ci siamo chiusi in casa buoni buoni, convinti che sarebbe passata e invece precipitiamo sempre più giù. Di periodi difficili ne abbiamo affrontati, ma questa volta è come se non avessi la forza né la voglia di reagire, mi sento stanco, faccio fatica ad alzarmi la mattina, l’angoscia mi cammina al fianco, mi tallona, ha affondato gli artigli nell’anima e non molla la presa, sta con me pure quando dormo, anche nei sogni si infila, mi sento inerme e inutile. Ho sempre combattuto, ma adesso non posso, sono immobi- lizzato e quando sembra che il peggio sia passato e si ricomincia a lavo- rare a testa bassa come carri armati, ripiombiamo nell’incubo.
Vincenzino: noi che dormivamo poche ore perché sempre presi da tanti fatti da portare avanti che il tempo non ci bastava mai per tutto le cose che mettevamo in mezzo, le giornate e la fatica ce la mangiavamo, mò ogni mattina sembra uguale a ieri e niente ci prende, aspettiamo che le cose si mettano a posto ma così non facciamo niente per aggiustarle. Vincè, che ti sta succedendo? Come ti senti?
Vincenzo: mi sento una mezza botta.
Vincenzino: solo mezza, perché no una intera?
Vincenzo: perché bisogna sempre lasciarsi aperto uno spiraglio da cui far entrare la luce…
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Nell’immagine in alto, una delle foto raccolte nel libro: Piazza dei Martiri, com’era negli anni in cui Vincenzo e Vincenzino cominciano ad affacciarsi alla vita, tra lavoro e affetti

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