Mathelda Balatresi torna a esporre nella galleria Alfonso Artiaco con “Uno stormo. Una sola che vola senza ali”. La personale, che occupa le prime due sale della galleria, resterà allestita fino al 26 luglio insieme all’esposizione di Victoria Civera, che abita, invece, le successive quattro sale dello spazio espositivo.
L’artista è toscana d’origine ma, ormai, napoletana a tutti gli effetti, sin dal 1950. A Napoli, infatti, frequenta prima il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti, inserendosi alla perfezione nel dibattito artistico – culturale degli anni Ottanta e “riscuotendo il consenso unanime della critica seppur collocata in una posizione [volutamente] appartata” (Filiberto Menna, catalogo Letto nel giardino, Villa Pignatelli – Napoli, maggio 1983). Sin dagli anni Sessanta si trova a dover lavorare in un mondo, quello dell’arte, che parla prevalentemente al maschile e ciò la conduce alla creazione di uno stile assolutamente personale, scegliendo il suo tema prediletto: il femminismo. Il suo lavoro è stato accolto dalla critica in maniera favorevole come si riscontra, oltre che negli scritti di Filiberto Menna, anche nei testi di Paolo Ricci, Achille Bonito Oliva, Nicola Spinosa e Massimo Bignardi.
Per Mathelda Balatresi si tratta di un ritorno nella galleria di Piazzetta Nilo, un secondo appuntamento, il primo risale al 2014 con l’installazione “Mine in fiore”, un prato gelido, bianco, ricco di oggetti metallici, dipinti, però, in maniera vivace, come fiori ricchi di grazia, un acuto gioco di contrasti.
L’artista presenta un ciclo di nuovi lavori pittorici. Le figure alate (foto), rappresentate nei suoi dipinti come corpi angelici, attraversano in volo il cielo azzurro. Il tratto utilizzato è semplice e delicato, abbinato a colori tenui e piatti. Utilizza toni pastello per le sue figure dal contorno deciso che subito riportano la mente ai libri di favole, zeppi di affascinanti illustrazioni.
E, a proposito della mostra, racconta: «Migrano gli uccelli, migrano le farfalle, migrano gli uomini ai quali ho fatto spuntare le ali come uccelli migratori, ali che permettano di giungere nei luoghi più favorevoli alla loro vita, come quando cercavano terreni più fertili, climi più temperati, acqua da bere, animali da allevare, colture di grano per il cibo. Noi abbiamo tolto loro tutto questo. Siamo stati capaci di andarli a rapire nei luoghi dove vivevano, per renderli schiavi, e ancora non ci vergogniamo di ciò. Io sola, volo senza ali. Si vola con la mente, si raggiungono i più lontani corpi celesti, ci si tuffa nell’acqua, nei prati, nei cieli, nei ricordi antichi e in quelli più giovani, nei colori, nei profumi, nelle vibrazioni delle foglie, nella terra che germoglia, nel sorriso degli amici, nel tempo che scorre nelle vene dei figli e dei nipoti e ci conduce in una eterna stagione sempre nuova».
Mathelda Balatresi continua, così, un’attenta e pungente riflessione operata attraverso l’arte e lo fa inserendo tra le delicate linee delle sue opere, discorsi di etica, passione e ribellione.

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